“Houston, we have a problem!”

"Houston, we have a problem!"

Quanto tempo investiamo per capire l'impatto della nostra comunicazione sull'interlocutore? Quanta consapevolezza abbiamo degli strumenti di comunicazione a nostra disposizione? I veri fattori abilitanti dello smart working o del lavoro a distanza richiedono lo sviluppo e l'allenamento di nuove dimensioni di comportamento: avere una buona comunicazione, saper "leggere" la prossemica dell'altro anche nel digitale, gestire la solitudine derivata dall'assenza del contesto lavorativo comunitario e sapersi organizzare in modo autonomo. Ne parla Rosalba Dambrosio.

Smart working o Lavoro Agile

Nel 1970 la tecnologia e l’organizzazione possedute dalla NASA, attivate durante le missioni spaziali, hanno rappresentato l’avanguardia di quel momento storico. Eppure, riferendoci alla sfida dell’Apollo 13, il più famoso ‘fallimento di successo‘ della NASA, sono stati ben altri gli elementi vincenti della missione stessa: abilità di problem solving, coraggio e cooperazione, tutte caratteristiche che serve attivare in questo momento in cui il lavoro a distanza diventa particolarmente richiesto a causa delle necessità del momento.

Siamo spesso convinti che lo smart working, inteso come lavoro da remoto, più o meno efficace, sia la risultante di una tecnologia efficiente dimenticandoci che (forse) i veri fattori abilitanti sono altri.

Nato come un benefit, uno strumento di welfare aziendale e di flessibilità, solo successivamente è stato riconosciuto dalle aziende come volano per un vero cambiamento culturale.

Ma in questi giorni, come mai prima d’ora, le organizzazioni sono alla ricerca spasmodica del vademecum perfetto a riguardo, del manifesto assoluto dei DO e dei DON’T da applicare a questa modalità di lavorare, di comunicare, di agire all’interno dei nostri ambienti lavorativi.

Ma una cosa è certa, a tecnologia data: lavorare in maniera smart richiede lo sviluppo e l’allenamento di nuove dimensioni di comportamento. Richiede la necessità di entrare in confidenza con aspetti dei nostri comportamenti che ancora, per la maggior parte, sono sopiti o semplicemente poco allenati.

In principio era la comunicazione…

Come ci insegnano P. Watzlawick e la scuola di Palo Alto, non si può non comunicare.

La comunicazione è insita nella vita di ciascuno, tutti i comportamenti sono una forma di comunicazione, sia a livello implicito che esplicito. E questo, nel Lavoro Agile, si vede molto di più!

Tuttavia, come nelle migliori tradizioni, la questione può essere affrontata sotto due punti di vista completamente diversi:

Approccio numero 1: il linguaggio del corpo influenza ben il 55% della comunicazione, il tono della voce il 38% e il linguaggio verbale solo il 7%. Quindi, in digitale, in presenza di contatto fisico ridotto al minimo (il concetto di prossemica è di fatto diminuito) e focalizzandoci soprattutto sul linguaggio verbale (7%), la maggior parte della comunicazione (93%) viene a mancare. Il non verbale e il paraverbale vengono meno. Ergo, lo smart working non funziona.

Oppure sarebbe utile adottare l’approccio numero 2: lavorare in digitale richiede una comunicazione chiara e semplice. Un modo di comunicare lineare, che va diretto al punto.

Nel lavoro da remoto sapersi spiegare, velocemente e agilmente, diventa fondamentale in ogni situazione e con qualsiasi interlocutore, sia a livello verbale ma anche a livello non verbale. Il tono di voce delle call, l’espressività e i gesti trasmessi via webcam, la postura durante le video-call; sono tutti quei comportamenti che sappiamo essere importanti ma che nelle relazioni quotidiane sottovalutiamo perché facilitati dalla presenza fisica degli interlocutori.

Per non parlare di tutti quegli elementi di cui non sempre siamo del tutto consapevoli, come i silenzi, la fluenza verbale, l’intonazione.

Quanto tempo investiamo per capire l’impatto della nostra comunicazione – ciò che arriva agli altri e come arriva – sull’interlocutore?

A questo proposito, quante volte scriviamo e cancelliamo le nostre mail, o i messaggi delle nostre chat immaginandoci la reazione di chi ci legge? Quanta consapevolezza abbiamo nell’utilizzo degli strumenti di comunicazione a nostra disposizione?

Inoltre, non avere accanto il proprio interlocutore impone la necessità di esprimere al meglio il proprio stato d’animo e le proprie emozioni “a distanza”. E di nuovo, se manteniamo la comunicazione il più semplice e lineare possibile, forse sarà possibile comunicare un’emozione in maniera più efficace anche attraverso una webcam (in fondo, il cinema in questo ci propone grandi spunti).

Attenti al burnout

Una volta si parlava di “solitudine del capo“, oggi ci si preoccupa della solitudine dello smart worker. Si riducono le interazioni faccia a faccia con i membri della propria organizzazione e questo può portare ad una sorta di isolamento, ad una perdita del senso di identità e del senso di appartenenza ad una community.

Il rischio di burnout, in queste occasioni, è dietro l’angolo. L’eccesso di lavoro dovuto all’incapacità di staccarsi dal PC e dalle e-mail, la mancanza dei nostri colleghi che si alzano dalle scrivanie o qualche altro tipo di cambiamento dell’ambiente che ci circonda, possono essere considerati un rischio per il nostro equilibrio.

Si tratta di imparare a gestire una modalità diversa di lavorare, volta a riscoprire la nostra capacità di auto organizzarci. Di porsi degli obiettivi specifici all’interno della propria giornata. Di gestire la propria agenda in maniera più efficace, forse anche più ‘concludente‘. Di ritagliarsi degli spazi per lo sviluppo di relazioni nuove facendo avvicinare due mondi ora separati: il lavoro presso il luogo/azienda e la vita privata all’interno della propria dimensione domestica.

Entrare in sintonia con i propri interlocutori, ascoltare attivamente, non solo sentire.

Fermiamoci solo per un secondo a riflettere: come ci poniamo di fronte all’ascolto e all’osservazione, se si parla di colleghi o dei propri capi?

Concentriamoci sul nostro interlocutore, servendoci di una buona dose di ascolto attivo e di osservazione. Rispettiamo gli spazi dei nostri interlocutori, evitando commenti, parole o giudizi che ci passano impulsivamente per la mente. Poniamoci con la curiosità di chi vuole scoprire qualcosa di nuovo, che non è ancora stato trovato.

Solo ascoltando ed osservando possiamo scoprire cosa è davvero importante per la nostra controparte… chiunque sia. Non sono queste delle buone pratiche da sviluppare per una buona comunicazione interpersonale in generale? Non sono questi comportamenti concreti da mettere in atto in una relazione di lavoro tanto fisica quanto virtuale?

A questo punto la domanda sorge spontanea: il futuro va verso lo smart working inteso come lavoro da remoto, o va verso un modo più efficace di relazionarsi?

Come sempre, l’equilibrio parte dalle persone e nasce dalla nostra maturità e dalla nostra capacità di educarci. È innegabile: spazio e luogo influenzano i comportamenti all’interno di un’organizzazione, ma per fare accadere le cose serve un buon equilibrio tra relazione e focalizzazione sui risultati.

A dimostrazione del fatto che tutto è possibile, in questo critico momento storico, in cui le relazioni umane sembrano ridotte all’osso è la componente esperienziale a farne le spese. Ma è altresì la dimostrazione che, se si creando le giuste condizioni (ascolto, apertura, concentrazione e focalizzazione) si può fare.

Houston, we solved the problem!

Ritorniamo ai nostri eroi della missione Apollo 13. Chiediamoci a questo punto, a tecnologia data: quali sono stati i comportamenti distintivi che le parti hanno messo in atto per raggiungere il loro obiettivo?

Avevano un piano. Erano focalizzati al risultato. Possedevano una forte abilità di problem solving. Hanno dimostrato coraggio, sangue freddo e capacità di adattamento. Ma soprattutto, quello che hanno saputo agire senza alcuna ombra di dubbio è stata una buona comunicazione, collaborazione e cooperazione tra team della NASA.

Ora, se in questo preciso momento storico, lo smart working sembra essere la nuova sfida delle organizzazioni, chiediamoci: cosa serve realmente affinché possa essere considerata una missione di successo?

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