L’equilibrio? La prima delle condizioni per l’efficacia di un team

L'equilibrio? La prima delle condizioni per l'efficacia di un team

L'equilibrio non è solo una dimensione fisica. In un Team è anche una dimensione organizzativa, cognitiva ed emotiva.

Queste tre dimensioni influenzano in modo decisivo la possibilità che i Team realizzino prestazioni di livello superiore o che riescano nel compito di conseguire gli obiettivi assegnati. La messa in pratica di una condizione di equilibrio all’interno di un Team comporta un consapevole contributo individuale. È il primo degli investimenti che ciascun membro di un Team deve garantire.

La sfida consiste nel farlo districandosi tra molti elementi fuorvianti. A cominciare dal ruolo organizzativo che si ricopre rispetto agli altri componenti del Team. Per poi passare alla Seniority, e quindi al riconosciuto (o mancato riconoscimento) di un certo livello di autorevolezza su un tema che intercetta l’attività del Team. Nelle aziende imprenditoriali il cognome di uno dei componenti del Team può creare disequilibrio. Insieme all’attitudine personale, più o meno incline a favorire il gioco in squadra. L’esperienza, alla quale si possono associare, da parte di ciascuno, episodi di successo legati al lavoro in Team o, al contrario, di insuccesso. Le simpatie tra alcuni membri del Team. O le antipatie. 

L’elenco potrebbe proseguire a lungo senza esaurire una prima prospettiva statica. Lasciando quindi inevasa quella dinamica. Perché tutti gli elementi che possono influenzare l’equilibrio del Team evolvono nel tempo, mutando e trasformandosi per una quantità straordinaria di fattori: organizzativi, cognitivi ed emotivi.  

A coprire l’insieme di questi elementi, a rendere complicata la ricerca dell’equilibrio come condizione essenziale per la realizzazione delle performance richieste al Team è evidente quanto difficile da ammettere che si esercita una delle modalità sociali più evolute della razza umana: la menzogna.

La difficoltà nell’attivare l’equilibrio all’interno di un Team sta nel non detto, nel pensato ma non condiviso, nel verbalizzato in modo impreciso rispetto al sentito, nel “politically correct”, nel controllo mal celato e peggio riuscito degli stati emotivi, nelle convinzioni e nei valori che aprioristicamente inducono certi comportamenti all’interno dei Team che nulla hanno a che fare con il Team in sè.

Dunque, per chi si occupa di accompagnare e sostenere i Team alla ricerca della loro miglior possibile performance, “sminare” o quanto meno rendere sostenibile e dunque “equilibrante”, il livello di menzogne è determinante, oltre che normalmente prioritario rispetto a qualsiasi altra forma di allenamento possibile.

Per avere una misura di quanto questo esercizio sia determinante basta soffermarsi un attimo e riflettere individualmente: quante difficoltà affrontiamo quotidianamente lavorando in Team a causa di un livello di “non detto” troppo elevato? Quanto invece nell’esperienza personale di ciascuno di noi è palese il tasso di franchezza che ha caratterizzato la relazione all’interno di una squadra in cui ci siamo sentiti in grado di performare al meglio? 

La misura che sentiamo confrontando queste esperienze rappresenta l’importanza di affrontare il tema con grande determinazione. E perché no, con consapevole schiettezza. 

In sistemi organizzativi sempre più complessi e quindi deboli sotto il profilo delle più tradizionali soluzioni gerarchiche, il lavoro in Team ha preso il sopravvento come soluzione a molti, spesso a troppi problemi. Tutti siamo costantemente ingaggiati in lavori di squadra con le più disparate squadre e con i più disparati attori. Così tanti che viene ogni tanto da chiederci: ma di quanti Team faccio parte, complessivamente?

Quando inciampiamo in questa domanda il tempo necessario per trovare una risposta ci aiuta a capire la rilevanza di migliorare la nostra capacità di contribuire a Team di successo – non fosse altro per il fatto che praticamente l’unica cosa che facciamo è lavorare in Team. 

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