Autonomia e controllo sul lavoro: come svilupparli e renderli efficaci

Anche se qualcuno l’ha più volte sostenuto e tuttora lo sostiene ancora, gli studi parlano chiaro: il remote work non significa nullafacenza. Ma la paura, soprattutto all’inizio, c’era. Lavorare da casa implica infatti l’impossibilità di controllare a vista i dipendenti e la necessità di affidarsi all’autonomia di questi ultimi: questo avrebbe in effetti potuto comportare una riduzione dell’impegno e del rendimento. In realtà invece, abbiamo lavorato molto di più, connessi ovunque, a qualunque ora e riducendo pause e distrazioni.

Queste considerazioni pongono l’attenzione e portano a riflettere in particolare su due aspetti, tra loro molto collegati, che diventano rilevanti a maggior ragione nelle nuove condizioni lavorative, ma che in realtà si rivelano determinanti per il successo nel business, a prescindere dalla modalità in presenza o a distanza:

  • Il controllo: considerando che il controllo inteso come “monitoraggio a vista” si è rivelato per lo più superfluo, visto che anche da casa le persone hanno lavorato, che tipo di controllo ha senso operare per essere davvero efficaci? Ma il controllo è anche uno stato emotivo: ha a che fare con il modo in cui le persone affrontano lo stato e l’andamento delle cose, e quindi con la percezione soggettiva. Lo spostamento in remote ha causato una perdita di controllo anche in questo senso, un senso di smarrimento che rischia effettivamente di compromettere il nostro operato, perché la gestione del lavoro è diventata più complessa: il sovrapporsi di sfera privata e professionale, la distanza fisica ed emotiva che rende difficoltoso il contatto con i colleghi, la digitalizzazione, l’incertezza e l’assenza di modelli efficaci consolidati. Vale la pena di riflettere su questo aspetto cruciale per il buon funzionamento delle organizzazioni: come sentirsi di avere la propria area di responsabilità sotto controllo? Come renderlo possibile per i propri collaboratori?
  • L’autonomia: come mettere le persone nelle condizioni ottimali per poter lavorare autonomamente ed esprimere il massimo del proprio potenziale?

Il Coaching consente di lavorare proprio su questi aspetti: attraverso la riflessione, la presa di consapevolezza di sé, dei propri punti di forza e delle aree di miglioramento, ma anche l’analisi delle dinamiche organizzative di cui fa parte, il Coachee esplora il proprio potenziale nell’ottica di esprimerlo a pieno, attuando comportamenti più solidi, consapevoli ed efficaci. In questo modo, sviluppa a pieno la propria autonomia: questa in particolare, è così proprio uno dei presupposti, e al contempo uno degli obiettivi ultimi, della disciplina.

Tutto sotto controllo, ma in modo efficace

In generale un modello manageriale eccessivamente controllante, in cui il lavoratore è monitorato in tutto ciò che fa e nel modo in cui lo fa si rivela inefficace, anche in presenza.

Innanzitutto perché, banalmente, l’essere umano non è una macchina, un automa che lavora e produce solo in base a stimoli esterni dati da altri, ma è mosso anche – e anzi soprattutto – da spinte interne, preferenze, motivazioni intrinseche. Anche nel lavoro: gli individui infatti non lavorano solo per il mero terrore di essere puniti se sorpresi a non farlo, non lavorano solo per “dovere”, ma hanno motivazioni personali, intrinseche al lavoro stesso (il piacere di svolgerlo, l’autorealizzazione, il valore che producono ecc..). Queste sono un motore molto efficace per spingerci all’azione.

Inoltre, lasciare agli individui un certo grado di libertà di decidere quando e come svolgere i task, porta benefici a tutta l’organizzazione, perché incentiva lo spirito di iniziativa, spinge le persone ad esprimere il loro potenziale, ad assumersi la responsabilità delle azioni perché le porta a sentirsi parte di qualcosa.

Così, un controllo che sia efficace non è il controllo di una persona su tutto ciò che accade. È piuttosto un controllo sugli obiettivi, finalizzato a monitorare l’andamento dell’attività e ad assicurare a tutti che ci si sta muovendo nella direzione prevista, verso il raggiungimento degli obiettivi aziendali comuni. Ma è anche un “controllo diffuso”, di interesse collettivo ma anche nel senso che ciascuno dei collaboratori ha il controllo su ciò che sta accadendo e soprattutto su di sé.

Come dicevamo il controllo ha a che fare anche – e forse in primo luogo – con il nostro sentito emotivo. Per ciascuno è diverso: io posso percepire di avere le cose sotto controllo se ho delle regole chiare e definite da seguire, mentre per qualcun altro questa situazione può generare l’effetto opposto. È importante lavorare su questa dimensione emotiva: la sensazione di non avere sotto controllo ciò che accade, la propria area di responsabilità, la direzione in cui l’azienda sta andando, è un forte segnale che l’organizzazione comincia a vacillare. A maggior ragione poi nelle nuove condizioni lavorative, in cui il rischio di dispersione è più elevato, in cui il singolo non è seguito passo passo, non ha un modello, una regola comprovata ma è tutto più flessibile, intangibile, imprevedibile.

Serve una leadership capace di dare serenità anche in questa fluidità contemporanea, che trasmetta la sensazione che “la barca è sotto controllo” e che metta anche le persone, ciascuna in base alle sue modalità, nelle condizioni per sentirsi in controllo. In questo modo, da una parte si lavora affinché ciascun individuo alleni il controllo, dall’altra parte si salvaguardano degli spazi di autonomia, all’interno dei quali ciascuno è libero di scegliere come organizzarsi, di esprimersi a pieno, perché disposto a farlo e competente nel farlo.

Lavorare in autonomia: si può?

La possibilità di lavorare in autonomia è determinante per il benessere delle persone, ma anche in un’ottica di business. Le ricerche mostrano chiaramente come, specialmente per quanto riguarda i cosiddetti knowledge worker, un maggior livello di autonomia comporti infatti un più elevato livello di qualità del lavoro percepita e di conseguenza consenta un maggior rendimento e una maggior produttività.

Durante uno studio del 2005, è stato chiesto a 11.000 lavoratori dei paesi OCSE quali fattori fossero per loro importanti sul lavoro. Al terzo posto, troviamo proprio il livello di indipendenza e la possibilità di lavorare con un certo grado di autonomia. Coerentemente con questi risultati, le ricerche di Francis Green, dello University College di Londra, mostrano come la mancanza di autonomia sul posto di lavoro rappresenti la principale spiegazione per il calo della produttività e della soddisfazione professionale nel Regno Unito. Un’altra conferma arriva da uno studio del 2020, condotto sugli operatori sanitari, che mostra come l’autonomia lavorativa sia positivamente associata sia all’impegno lavorativo che alla salute generale.

Una spiegazione a questi risultati viene dalla psicologia, secondo cui se la motivazione è basata sull’autonomia, è più integrata con gli obiettivi, i valori e gli interessi personali e, in definitiva, si parla di motivazione intrinseca: così l’autonomia è associata a maggiori livelli di vitalità, energia, salute, crescita personale, impegno. Una grande differenza rispetto alla situazione per cui le attività sono fatte solo perché devono essere fatte, totalmente per conto di altri, che invece genera stress, tensione e malessere.

Ma cosa si intende con autonomia sul lavoro? In psicologia, si riferisce  «alla quantità di libertà e indipendenza all’interno di un lavoro così come la discrezione dell’individuo nella programmazione del lavoro e nella determinazione delle procedure» (Hackman e Oldham, 1976). Per autonomia, in questo senso, non si intende, chiaramente, la situazione in cui “ciascuno fa quello che vuole”, né tanto meno con un lavoro solipsistico, in cui l’individuo è lasciato a se stesso, isolato nei suoi task. Non è dunque una libertà assoluta, priva di vincoli, che non sarebbe costruttiva ma distruttiva e forse porterebbe davvero all’inattività. È piuttosto la capacità di svolgere un task senza la costante supervisione o approvazione da parte di terzi, per cui dunque l’individuo si sente disposto (motivazione) e in grado (capacità) di regolare autonomamente i propri compiti lavorativi in modo responsabile, per cui dunque si autoregola e autodetermina, si sente responsabile di sé e di quello che fa, è padrone di sé stesso e del suo raggio d’azione. In questo è fortemente connessa al controllo e ad un altra competenza chiave: la self-leadership.

Sviluppare l’autonomia propria e delle proprie persone, mantenendo un controllo su di sé e al contempo rinunciando ad una parte di controllo su ciò che fanno gli altri, diventa una vera e propria opportunità per migliorare le dinamiche organizzative, mantenendo più ingaggiati gli individui, trattenendo i talenti e al contempo creando le condizioni affinché possano davvero esprimere il massimo del proprio potenziale e dare un contributo davvero di valore.

Individui autonomi e più efficaci: cosa fare?

Innanzitutto, cosa si può fare a livello organizzativo?

Per creare spazi in cui ciascuno si senta davvero autonomo, è necessario definire e comunicare, in modo chiaro e preciso, quali sono gli obiettivi condivisi e i risultati che si vogliono ottenere. Per potersi sentire autonomo e responsabile, infatti, le persone devono aver chiara non solo la propria area di influenza, ma anche di avere accesso a tutte quelle informazioni di cui hanno bisogno per poter costruire una linea di azione, sentendosi sicuri di svolgere i task in autonomia. Un’altra condizione importante è poi che non vi sia il terrore di sbagliare, che disincentiva l’iniziativa e anche la responsabilità: l’errore, può essere percepito piuttosto come uno spunto per crescere e migliorare. Anche in quest’ottica, comunque, è importante lavorare sull’ingaggio delle persone, in modo che si sentano responsabilizzate per la propria area di azione.

Una delle sfide manageriali più grandi è poi quella di aiutare i propri riporti a comprendere l’influenza e l’effetto del loro operato su un ecosistema aziendale più vasto, rendendo evidente e comprensibile la relazione tra task individuali e il risultati di business più ampi.

Queste condizioni danno luogo così ad uno spazio all’interno del quale poi il singolo può e deve diventare autonomo, attraverso l’allenamento e la messa in pratica di comportamenti osservabili. Una persona che sta esercitando la sua autonomia:

  • prende posizione e interviene su problemi critici senza attendere stimoli esterni
  • si assume la responsabilità di decidere e agire sulla base dei propri criteri di giudizio, senza perdere di vista gli obiettivi aziendali occupando tutto lo spazio di delega ricevuto
  • coglie nuove opportunità di miglioramento o sviluppo di attività nella propria sfera d’azione costruendo programmi e mettendo in atto iniziative concrete.

Perché tutto questo sia possibile serve una forte responsabilizzazione dei singoli, che deve avvenire con il supporto di uno stile di leadership, che trasmetta chiarezza, motivazione e che così infonda sicurezza e serenità, anche nelle difficoltà e nell’incertezza del futuro.

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