Il Covid 19 visto dagli HR: una grande occasione di cambiamento

Il Covid 19 visto dagli HR: una grande occasione di cambiamento

Un sondaggio su vissuti emotivi e competenze richieste nell'era post-Covid. È quel che Performant ha effettuato tra gli HR di diversi settori produttivi. Ne è nato un workshop-laboratorio di approfondimento che ha fornito insight su ciò che è avvenuto, sugli scenari che si profilano, sugli apprendimenti possibili. Il messaggio che emerge: gli HR hanno oggi una occasione storica per essere veri agenti del cambiamento nelle aziende. Ecco come e perché.

Visti dalle stanze degli HR, i mesi di lockdown e di attuale ripartenza saranno ricordati come il discrimine tra un prima e un dopo, come la grande occasione, come il momento in cui innescare un cambio di velocità nella cultura aziendale e nel proprio stesso ruolo. Un passaggio epocale, in cui si è stati chiamati a fare la differenza per diventare business partner delle persone nelle organizzazioni.

A dirlo sono gli stessi responsabili delle risorse umane, che Performant ha ascoltato in un sondaggio – poi discusso in un workshop-laboratorio che si annuncia come il primo di una serie – sugli impatti organizzativi della pandemia. Quel che è emerso dalla discussione non è solo una fotografia dell’effetto Covid 19 in settori diversi, dall’IT ai servizi finanziari e bancari, dal lusso alla cosmesi. E’ un insight con dati ed esperienze di prima mano sul vissuto nelle aziende e sui possibili scenari.

Secondo gli HR italiani la crisi che attraversiamo ha caratteri inediti, velocità inattesa e sarà una enorme leva di trasformazione. Una grande opportunità per chi nelle aziende saprà ascoltare le proprie emozioni e aggiornare la cassetta delle competenze. 

Le emozioni nelle aziende: incertezza ma anche senso di appartenenza 

Il primo dato saliente emerso nel dibattito è il colore del vissuto emotivo. Non solo incertezza (68% delle risposte) e confusione (36%): il 50% degli HR indica il senso di appartenenza come sentiment chiave di questa fase, unito alla passione e alla fierezza di far parte di una squadra. Come se nel tempo apparentemente infinito del lockdown e in quello ancora indecifrabile della ripresa vi fosse l’idea di una comunità di destino che si sta gradualmente raggrumando nella coscienza di chi vive nelle aziende. Se ne esce insieme tutti o non se ne esce, per dirla in una frase.

L’impatto sulla leadership

Da questo punto di vista, la crisi è stata e continua a essere innanzitutto una gigantesca prova di sforzo per la leadership. Non a caso l’area maggiormente colpita, secondo gli HR, è stata proprio quella del rapporto tra capi dei team e collaboratori (50% delle risposte). Chi ha saputo incarnare leadership catalizzatrici, sviluppando – per scelta o necessità – meccanismi di delega e alimentando fiducia tra i collaboratori ha creato le condizioni perché l’appartenenza fosse agita e reale.
Nelle interazioni quotidiane ciò “ha spostato i confini abituali tra privato e professionale“, ha creato nuovi legami basandoli su una condivisione più estesa, e questo slittamento “sarà un dato irreversibile” in molte organizzazioni. Nel rapporto con i capi e tra i colleghi “hanno cioè fatto irruzione bisogni fin lì lasciati fuori dal perimetro” di ciò a cui si dà parola nel discorso abituale sul posto di lavoro: famiglia, futuro personale, modi per gestire l’ansia. Si è insomma “creata una nuova inedita intimità“.

Il vissuto emotivo degli HR

Appartenenza (36%), passione (36%), fierezza (22%) sono le emozioni indicate dagli HR anche riguardo al proprio ruolo. L’idea è di essere tuttora a un bivio chiave. L’8 marzo, data della remotizzazione forzata, ha selezionato chi anche nell’area delle risorse umane “è salito a bordo della crisi e ha provato a governarla“, ha contribuito “ad avviare la macchina dell’azienda e ha fatto salire a bordo gli altri“.

Gli HR hanno fatto i conti con l’incertezza (36%) ma hanno compreso l’occasione storica che veniva loro offerta: “essere collante e filo rosso tra le funzioni, porsi come elemento di coesione e motivazione, assumere un “ruolo distintivo“. E’ stata una “occasione unica per dimostrare credibilità e coerenza tra quanto fin lì dichiarato e quanto concretamente agito“. L’attenzione alla persona è diventata un dato necessario, e “dimostrare empatia nei fatti è stata la leva da azionare per “dimostrare che noi c’eravamo, ora o mai più“.

Le competenze richieste: ascolto e orientamento al risultato

Coerentemente a tutto ciò, ascoltare è dunque la competenza chiave richiesta ai manager nella ripartenza che stiamo vivendo. Il transito verso la nuova normalità è stato meno carico di nubi laddove all’ascolto ha fatto seguito “una comunicazione chiara ed emotivamente intelligente“, che trasmettesse “il senso di un processo governato insieme“, su almeno tre dimensioni: la sicurezza personale e sanitaria, la continuità di business (anche attraverso la rapida adozione delle nuove tecnologie), un ingaggio basato più che sulla prestazione a breve sull’impegno della persona a tutto tondo.

In alcuni casi, “il supporto emotivo e psicologico è stato addirittura formalizzato e offerto come servizio di accompagnamento”. E questo ha rafforzato il senso di appartenenza, “ha tradotto l’appartenenza in condivisione”.

Il futuro sembra dunque prefigurare all’interno delle aziende un nuovo contratto sociale, che ponga ancor più in risalto il fattore umano.  Le aziende sono chiamate a scegliere, per offrire una unique work experience in grado di motivare e sostenere le proprie persone senza perdere di vista gli obiettivi di business. Insieme ad ascolto e leadership sarà l’orientamento al risultato la competenza che secondo gli HR sarà maggiormente richiesta ai manager nella fase che si apre (27% delle risposte).

Una efficienza ben temperata si direbbe, visto che quasi un quinto dei partecipanti aggiunge competenze come intelligenza emotiva, resilienza, learning, gestione dello stress e dell’incertezza. “Visione e anticipazione, flessibilità e foresight saranno le chiavi di questa scommessa“.

Nella navigazione a vista che abbiamo tutti iniziato, condotta con radar che spesso hanno perso l’abituale capacità predittiva, sarà determinante saper immaginare la costa davanti alla quale si naviga, “elaborare scenari“, “adattare i piani” validando quelli che uscendo dalla nebulosa delle ipotesi assumeranno nei mesi il profilo di terraferma.

La competenza chiave per gli HR: change

Sarà questa l’alchimia richiesta anche agli HR per preservare il ruolo chiave che la crisi ha posto sulle loro spalle come un abito nuovo. Il 27% riassume questo vestito che stanno indossando con una competenza di incrocio: change. Si ha cioè la percezione di essere di fronte a una trasformazione che attiene alla cultura e all’identità delle organizzazioni, ai processi e alle modalità di lavoro, ai risultati e ai criteri di valutazione.

Servirà “equilibrio nell’uscire da una vecchia idea del ruolo HR e da zone di comfort che non tengono più” per cercare mediazioni nuove e indurre il management a fare altrettanto, per esempio “per quel che attiene all’equilibrio tra lavoro in presenza e da remoto“.  Metabolizzare il cambiamento e accompagnarlo con “l’esercizio di una leadership diffusa” sarà per gli HR l’elemento chiave per essere “attori e protagonisti della trasformazione“, “non subirla ma renderla occasione di apprendimento”.

Change, come leadership, è una competenza ombrello, cioè di incrocio tra altre competenze. E’ chiara dunque nella percezione degli HR intervenuti che la sfida è complessa e richiede un approccio di sistema. Non si tratta solo di imparare cose nuove, ma di mettere a squadra quel che si sa e si imparerà. L’obiettivo è elevato e sfidante: governare l’inedito. Cioè creare e aprirsi fino in fondo a una nuova normalità.

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