Perché essere donna non vuol dire essere diversa: ritratto di Marianne Fröberg

Perchè essere donna non vuol dire essere diversa: ritratto di Marianne Fröberg

Dalla Svezia all'Italia il passo è lungo. Capire le logiche di un paese così diverso dal suo, costruirsi una brillante carriera in azienda per poi approdare nel Business Coaching. Ma soprattutto sfidare gli stereotipi: essere donna, essere ingegnere, essere straniera. Questi sono i "timbri" che gli altri le attribuiscono, ma Marianne Fröberg si vede e si racconta diversamente.

Sette donne svedesi camminano a rallentatore su un spiaggia siciliana. Camminano così lentamente da incuriosire – e preoccupare – i passanti. Siamo in un paese piccolissimo sulla costa occidentale della Sicilia. È ottobre, il sole splende, la temperatura è perfetta e le camminatrici sono totalmente concentrate. Poco dopo arrivano un giornalista e un cameraman della televisione locale per riprendere l’evento e per indagare sulle ragioni di questo insolito gruppo. Ancora adesso, mentre Marianne racconta questo aneddoto, sorride divertita: “stavamo semplicemente facendo la camminata consapevole! Un esercizio che ti aiuta a diventare padrone di te stesso ed immergerti nell’ambiente in cui stai!”.

Sta parlando di un particolare ritiro, dedicato a manager svedesi, che Marianne organizza e conduce ogni autunno in Sicilia dove integra due temi considerati distanti tra loro: lo Yoga e il Business. Il ritiro è un insieme di pratiche che incrementano il focus e la riflessione, o che allenano a gestire con consapevolezza il proprio Business.

Marianne è una donna con uno sguardo saggio e sereno da cui traspare un forte senso di equilibrio. Vive e lavora in Italia, a Milano, da vent’anni e ha sperimentato ambienti ed episodi di lavoro molto diversi tra loro, imparando strada facendo come mantenere il suo equilibrio anche in situazioni difficili.

Paradossalmente la difficoltà più grande che ha incontrato è che gli altri pensino che abbia avuto difficoltà ad integrarsi. Normalmente si crede che lo straniero faccia fatica a inserirsi, ma per lei non è stato così, lavorativamente parlando. Culturalmente, ha dovuto affrontare qualche ostacolo: ha dovuto accettare alcuni atteggiamenti culturali radicati nella cultura italiana a lei poco familiari.

Non mi sento diversa perchè sono donna

Le “etichette” che le vengono affibbiate sono: essere svedese, essere ingegnere ed essere donna.

La sua origine nord europea è sempre stata apprezzata e lei sente che l’essere svedese è motivo di stima agli occhi degli italiani. Ma Marianne non rispecchia il classico stereotipo. “Non credo di essere iper puntuale, né particolarmente rigida”, dice ridendo.

Nel corso della sua carriera ha vissuto più pregiudizi contro il suo essere ingegnere rispetto al suo essere donna, e ha sentito il bisogno di doversi giustificare per combattere la “mala fama” degli ingegneri, percepiti come molto rigidi e poco creativi.

Essere donna le ha procurato ostacoli sporadici e molto rari, solo all’interno di organizzazioni particolarmente obsolete in termini di stile di management, gerarchiche e poco meritocratiche.

Ed è per questo che secondo lei l’essere donna non è fonte di Diversity. Marianne non si sente “diversa perché donna”. Questo tema è per lei caro perché sottolinea che siamo diversi gli uni dagli altri: la diversità è una ricchezza e non ha senso parlare di qualcosa di diverso rispetto a una “normalità/non diversità”, chi è il non diverso? Chi è il normale che si definisce come termine di paragone rispetto alla diversità?

È per questo che per parlare di Diversity non si può eclissare il tema dell’Inclusione, in azienda e nel Coaching.

Il team è come la tavolozza di un pittore, ogni casella contiene un colore diverso

Nelle sue pratiche di Coaching Marianne cerca di arricchire le sessioni con vari punti di vista e contributi perché è scientificamente provato che più forme mentis e approcci vengono inclusi nel team, più il gruppo è creativo e performante.

Per usare una metafora, il team è come la tavolozza di un pittore in cui ogni casella contiene un pigmento diverso: integrando i diversi “colori” si ottiene un team eterogeneo e performante. Ogni colore, ogni persona, ogni ruolo non si può considerare “normale” o “uguale” ad un altro. Ognuno ha un colore particolare, ogni individuo e ogni ruolo è diverso. Come in una galleria, non esistono quadri migliori o peggiori: solo quadri diversi. Ognuno avrà una componente che spicca maggiormente sulle altre ed esprimerà un quid particolare.

“Temo la standardizzazione, l’omologazione può diventare pericolosa per l’organizzazione e non dare voce al “colore” della singola persona. Se i Coachee non possono esprimersi fuori dallo standard imposto super partes, interviene il Coach per liberare la creatività e la potenza nascosta nel loro “colore””.

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La sensibilità femminile è più attenta al green

Marianne pensa che la presenza delle donne nel mondo del lavoro e in ruoli apicali sia destinata a svilupparsi, perché poco a poco il mondo del Business sta maturando la consapevolezza che ha bisogno di inglobare tanti punti di vista per essere performante: c’è bisogno di integrazione. In Italia lavorano poche donne rispetto alla media europea, ma la nostra nazione troverà presto la sua soluzione, unica e diversificata. Includere maggiormente il contributo femminile svilupperebbe una visione olistica e completa sia in azienda che nella politica della sustainability: “le donne e i giovani possono dare un grande contributo per sostenere il cambiamento green”, dice Marianne con uno sguardo deciso, pieno di passione. Si nota che questo tema per lei è importante.

“Infatti, le donne e le nuove generazioni sono più attenti all’ambiente rispetto agli uomini. «L’85% delle donne è molto/abbastanza preoccupata per l’ambiente a livello globale», cita uno studio del 2015. Dobbiamo sfruttare questa nostra consapevolezza e portare un cambiamento nella nostra azienda e nel nostro modello di Business. Essere accorti su piccole azioni condivisibili da tutti i membri dell’ufficio, come fare la raccolta differenziata o avviare una collaborazione consapevole con stakeholders attenti alle tematiche ambientali può cambiare il nostro modello di Business verso un’economia circolare, e addirittura diventare un’occasione di Team Coaching.

Adottare una politica aziendale consapevole ed eco-friendly migliora la possibilità di costruire un Business “future-oriented” con una performance lavorativa sostenibile economicamente, socialmente ed ambientalmente. Avere uno scopo condiviso rafforza lo spirito di gruppo ed il benessere psicofisico. Facciamo del bene al pianeta, alle persone con cui lavoriamo e a noi stessi. Possiamo creare un nuovo mondo e un nuovo sistema economico che consideri gli impatti che l’essere umano ha sulla natura: la sustainability è un tema che dovrebbe essere sviluppato maggiormente, partendo da noi”.

Per poter gestire gli altri dobbiamo prima saper gestire noi stessi

Lasciare un piccolo segno nelle persone e nella comunità è quello che spinge Marianne a dare il meglio nel suo lavoro. Il suo obiettivo è aumentare la consapevolezza del Coachee, del suo agìto e degli effetti che sortisce. “La consapevolezza è la base del cambiamento. Più conosciamo la nostra sfera interiore, i nostri driver e le emozioni, più siamo competenti nella gestione di noi stessi e più riusciamo a gestire gli altri”.

Il primo passo che il Business Coach deve compiere consiste nello sviluppare l’intelligenza emotiva del Coachee: il Coach così facendo aumenta la consapevolezza nel suo cliente. Offre un piccolo contributo, non fine a se stesso, ma al miglioramento della performance del cliente.

Questa interpretazione del ruolo del Coach è idealistica e filantropica, esattamente come Marianne. Sviluppando la conoscenza di se stessi permette ai suoi clienti di migliorarsi, e per lei ricevere feedback positivi dai Coachee è gratificante. “Aiutare le persone a migliorarsi è appagante, e questo è il bello del Coaching.

Ma, fondamentalmente, per fare questo mestiere serve umiltà. Interverrà sempre una variabile ed un margine di errore, siamo umani e abbiamo dei limiti. Questa però non deve essere una giustificazione, anzi dentro i nostri limiti siamo volenterosi e diamo il meglio di noi. La nostra consapevolezza sta nel riconoscere una nostra imperfezione e lavorare su di essa per migliorarci”.

L’essere consapevoli di se stessi non è atto di arroganza ma di estrema umiltà, perché permette di stare nel mondo e migliorarlo. Conoscerci implica analizzare tutte le nostre emozioni, anche quelle negative: ammettere di provare emozioni quali l’invidia o la rabbia è il risultato di un processo di accettazione del proprio stato emotivo. Reprimere la negatività è controproducente, mentre accettare le emozioni negative è liberatorio e le energie scaturite da questa accettazione possono essere usate per lavorare su noi stessi e agire in modo costruttivo.

Coaching vuol dire stare nel momento e guidare il processo

Coaching significa stare nel momento, nel flusso, e l’imprevisto è sempre dietro l’angolo.

Marianne non se ne lascia intimorire, mi dice, “ma ho ancora tanto da imparare: mi sto allenando a stare nel momento grazie alle pratiche di mindfulness che mi permettono di essere e stare hic et nunc”. Sta lavorando sul focus mentale per “andare insieme” al flusso senza anticiparlo o combatterlo. Proprio le pratiche di mindfulness la aiutano a stare nel presente e gestire meglio l’imprevisto. Lei si serve di questa pratica anche nel Team Coaching: lo chiama l’esercizio di “stare con quello che c’è”, cioè lavorare sulle dinamiche che emergono in un preciso momento. “Questa non è una pratica rigidamente pianificata, certamente deve fondarsi su una struttura, ma soprattutto essere aperta e ricettiva su tutti quei segnali paraverbali o energetici che emergono dalle dinamiche del gruppo”.

Parlando di pratiche di Coaching, le difficoltà che maggiormente incontra sono legate “all’immersione” nel mondo del Coachee: inserirsi nell’ottica del cliente è fondamentale perché lui o lei è il solo protagonista del percorso di Coaching. Il Coach deve rispecchiarlo e annullarsi, questo non è un processo immediato.

“La mia sfida, come Business Coach, consiste nel rimanere sempre “nel presente” e “lasciare il mio ego fuori la porta” dell’aula dove avviene la sessione. Perciò il Business Coach deve fare un lavoro su se stesso prima di porsi completamente a disposizione del Coachee, ma l’ego è sempre dietro l’angolo, pronto ad entrare in sessione. Non può e non deve accedere”.

D’altro canto, Marianne trova che gestire la propria ambizione o frustrazione quando sembra che il Coaching non stia dando i suoi frutti sia un’altra sfida da affrontare, perché spesso i risultati del Coaching non si vedono immediatamente.

Il Coach ha una grande responsabilità: guidare il Coachee verso il miglioramento della sua performance. Da questo processo, il Coachee è l’unico responsabile del risultato.

I Coach come Marianne adattano il percorso alle esigenze e particolarità del cliente, e la responsabilità del Coach consiste nello “stare sul suo Coachee”: può offrire solamente gli strumenti e gli elementi per alimentare la motivazione nel suo cliente.

Inoltre, il Coach è tenuto a non entrare in troppa confidenza, m nemmeno rimanere troppo distante dal cliente, “il suo obiettivo è rendere il Coachee o il team consci che solo loro sono faber fortunae del loro risultato, che dipende completamente dal loro impegno e dedizione”.

Gli elementi chiave che permettono al Coach di raggiungere prestazioni eccezionali sono il continuo apprendimento e l’applicazione della scienza e della ricerca nel Business Coaching: il Coach deve essere il ponte tra la teoria scientifica e la sua praticità, passare dalle parole ai fatti ed essere coerente con la filosofia e il metodo. Come posso praticare l’ascolto attivo se poi nella mia quotidianità non metto in pratica questo comportamento?

Se lo chiede anche Marianne, camminando lentamente su una spiaggia siciliana.

Chi è lei? Marianne Fröberg 

  • Professione – Executive e Team Coach, trainer in percorsi individuali e di gruppo su temi di Leadership, Empowerment, Change Management, Team working e Team building
  • Svedese
  • Studi: Laureata in Ingegneria Gestionale Logistica Integrata e Ambiente
  • Aree di expertise: Start up, re-engineering e gestione del cambiamento organizzativo. Consulenza, selezione del personale on-line, servizi finanziari e customer care. Dopo anni di sviluppo organizzativo ha deciso di focalizzare la potenzialità interna di ogni persona e team, integrando le sfere emotive, cognitive e fisiche
  • Curiosità – Ama la natura in tutte le forme, stare con la famiglia e gli amici, coltivare l’orto biodinamico, kayak, viaggiare, ballare, sciare, telemark e meditare
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