Perché le persone lasciano il lavoro e cosa possono fare le aziende per evitarlo

Sono più di 19 milioni i lavoratori statunitensi che da aprile 2021 a oggi avrebbero lasciato il lavoro, secondo la ricerca di McKinsey. Un aspetto che colpisce particolarmente è che il 36% di coloro che si sono licenziati negli ultimi mesi, indipendentemente dal livello di reddito, l’ha fatto senza avere un altro lavoro in mano.

E questo trend sembra continuare: il numero di coloro che abbandonano il posto è in costante aumento. Secondo il sondaggio condotto da McKinsey su dipendenti di svariati settori in 5 paesi del mondo (Australia, Canada, Singapore, Regno Unito e Stati Uniti), il 40% degli intervistati non esclude l’intenzione di licenziarsi nel breve termine, mentre il 18% si dichiara addirittura certo di volerlo fare.

Sebbene ancora le aziende non abbiano compreso a pieno la portata di questo fenomeno, di cui oramai si parla diffusamente e che prende il nome di “Grandi Dimissioni”, o dimissioni di massa, si comincia comunque a percepire l’urgenza di queste tematiche e l’importanza di attuare i cambiamenti necessari per contrastarli. Le organizzazioni infatti rischiano di perdere talenti brillanti, che portano il proprio potenziale altrove con una facilità senza precedenti. A questo proposito, sempre dalla stessa ricerca, emerge come il 53% dei datori di lavoro dichiara di stare sperimentando un maggiore turnover volontario rispetto agli anni precedenti, mentre il 64% si aspetta che il problema continui, o peggiori, nei prossimi sei mesi.

In linea con questi risultati, anche un altro studio recentissimo condotto su un vasto pool di aziende degli ambiti più disparati, che sottolinea come le Grandi Dimissioni stiano colpendo i settori degli operai e quelli dei cosiddetti “white-collars” con la stessa forza. Per quanto riguarda questi ultimi, tra i settori maggiormente colpiti troviamo la consulenza gestionale, il digital e l’ambito software, seguite poco dopo da media e intrattenimento, settore bancario, finanziario e data analytics.

Il trend ha coinvolto anche l’Italia, in cui le dimissioni dei dipendenti sono aumentate del 31,6% nei primi nove mesi del 2021 rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. (La Repubblica, 1 febbraio 2022)

Certo, questo dinamismo ha senz’altro cause proveniente dalle mutate condizioni attuali del panorama lavorativo e non solo. La pandemia ha trasformato radicalmente le logiche del lavoro, portando ad un ripensamento delle priorità individuali e in generale del significato che il lavoro ha nella vita delle persone. Ma a maggior ragione in questo senso è urgente che le aziende prendano atto di ciò che sta accadendo, se non per invertire la rotta, almeno per limitare la fuga di risorse, riflettendo su quali aspetti modificare per trattenere i talenti all’interno della propria organizzazione. Innanzitutto è opportuno capire quali sono i motivi per cui le persone si dimettono – molto spesso addirittura senza avere giù un’altra soluzione, e quindi una proposta potenzialmente migliore: solo così, per usare le parole di Mckinsey, le aziende possono pensare di trasformare il “Grande Attrito” in una “Grande Attrazione”.

Perché le persone se ne vanno?

Viviamo nel momento storico delle infinite possibilità, anche lavorativamente parlando. Soprattutto le nuove generazioni si trovano così di fronte ad un mare sconfinato di opportunità diverse, più o meno concrete e molte volte non soddisfacenti, ma comunque lì, a portata di mano. Questo può dare una grande energia, ovunque ti giri ricevi uno stimolo diverso: tutto è possibile, anche se poi il rischio opposto è che niente è mai abbastanza.

Posto che in effetti questa grande differenza di contesto rispetto alle generazioni passate, costituisce una causa e quindi una spiegazione alla grande mobilità del mondo del lavoro e così anche del perchè le persone si licenziano, non è però l’unica. Anzi, molto spesso i motivi arrivano proprio dall’azienda, o meglio da una concorrenza di fattori legati da una parte ai mutamenti del contesto e di conseguenza di ciò che vogliono le persone, anche lavorativamente parlando, e dall’altro all’incapacità delle organizzazioni di riconoscere questi aspetti e proporre un’offerta adeguata.

Uno dei problemi principali infatti è proprio che le aziende e i datori di lavoro non sono consapevoli di quali sono i reali motivi per cui le persone scelgono di portare il proprio talento altrove. Questo risulta evidente dal fatto che, come dimostrano numerose ricerche, in risposta al trend delle dimissioni molte aziende hanno aumentato il salario, puntando sui benefit e sul fattore economico. Significa che, piuttosto che prendersi il tempo per indagare le vere cause dell’abbandono, molte aziende si buttano su soluzioni rapide e anche motivate da buone intenzioni, che però non funzionano.

E infatti la mancanza di consapevolezza da parte delle organizzazioni è evidente, come emerge sempre dallo studio di McKinsey. I datori di lavoro ai quali è stato chiesto perché i loro dipendenti avessero lasciato il lavoro, hanno riferito la retribuzione, l’equilibrio vita-lavoro e il benessere fisico ed emotivo. Tutti fattori importanti senz’altro anche per i dipendenti, che però come primi fattori determinanti la loro scelta di abbandonare ne hanno citati altri: il non sentirsi apprezzati dalle loro organizzazioni o dai loro manager (52%) e la mancanza di un senso di appartenenza al lavoro (51%).

Lo studio sottolinea così come l’attenzione dei dipendenti sia posta in gran parte sugli aspetti umani, relazionali e di clima del posto di lavoro: “le persone vogliono riconoscersi e riconoscere un senso nel lavoro, vogliono legami con i loro colleghi e manager, vogliono sentire un senso di identità condivisa. Vogliono sentirsi apprezzati dalle loro organizzazioni e dai manager. Vogliono interazioni significative, anche se non necessariamente di persona”.

In generale le ricerche mostrano come tra i principali motivi che spingono le persone a cambiare lavoro ci sia la presenza di una cultura aziendale tossica: una cultura riconosciuta come sana e positiva invece è tendenzialmente connessa ad un tasso di turnover più basso.

In particolare lo studio già sopra citato del 2022 mostra come una cultura aziendale tossica (definita come non promotrice della diversità, dell’equità e dell’inclusione e in cui i lavoratori non si sentono rispettati e valutano il comportamento organizzativo non etico), per esempio, è 10,4 volte più potente della retribuzione nel predire il tasso di logoramento di un’azienda rispetto al suo settore, seguita da:

  • scarsa sicurezza del lavoro e scarse prospettive a lungo termine;
  • eccesso di innovazione, perché connesso a ritmi di lavoro eccessivamente stressanti: l’innovazione è al contempo una leva per attrarre giovani talenti, anche se è sempre opportuno da un lato garantire il supporto necessario per ottimizzare le energie e sostenere determinati ritmi (per esempio allenando la flessibilità e la capacità di stare nel costante apprendimento), dall’altro tenere l’attenzione sull’equilibrio vita privata. Questo è un altro grande tema, che si connette al cosiddetto “YOLO” (si vive una volta sola), per cui soprattutto le nuove generazioni non sono più disposte a vivere per lavorare, o meglio hanno cominciato a riflettere sul ruolo svolto dal lavoro – e anche sullo spazio occupato da esso;
  • riconoscimento per i risultati ottenuti, prima di tutto a livello economico e formale ma non solo.

Lo studio di KPMG (2022) sottolinea invece un altro aspetto: la flessibilità, ovvero la possibilità di lavorare da ovunque e non doversi invece spostare per lavoro, che con la pandemia abbiamo imparato a gestire e apprezzare. Questo, accompagnato dall’investimento in tecnologie digitali e dalle opportunità di formazione e di carriera laterale, che consentono di scoprire nuove aree, crescere ed esplorare orizzonti.

Anche in Italia emerge come il reddito, sebbene rimanga importante, non sia l’unico criterio di scelta del lavoro.

È interessante e comunque fondamentale – come abbiamo detto – conoscere quali sono in generale le leve di attrazione dei nuovi talenti, ma comunque poi l’importanza che ha ciascuno di questi aspetti varia da persona a persona, perché dipende anche da fattori strettamente soggettivi. Che cosa dunque le aziende possono fare concretamente per trattenere i talenti in questo panorama?

I comportamenti da mettere in campo

Partendo proprio dalle considerazioni che emergono da questi studi, e dunque da che cosa vogliono le persone e cosa si aspettano dal lavoro, è possibile pensare alcuni cambiamenti che le organizzazioni possono implementare nel breve termine, per incontrare le esigenze dei talenti:

  • aumentare la flessibilità, consentendo il lavoro da remoto
  • creare opportunità di crescita e occasioni di apprendimento anche laterali
  • organizzare eventi e incontri che consentano di creare relazioni autentiche
  • creare occasioni di ascolto e di dialogo, finalizzate da un lato a generare fiducia e un clima in cui i giovani talenti possano esprimersi, riconoscersi e così trovare il proprio scopo e senso, dall’altro che cosa le proprie persone vogliono, di che cosa hanno bisogno, da che cosa sono motivate e cosa cercano nel lavoro. In quest’ottica, anche il discorso bonus e benefit assume un significato preciso: possono svolgere un ruolo anche più determinante nel benessere dei dipendenti, se però sono mirati, bilanciati sulla base delle esigenze reali delle proprie persone. Ne è un esempio Patagonia, che ha implementato un sistema di assistenza per l’infanzia, con una serie di interventi in supporto dei genitori, orientati esplicitamente a questa categoria di dipendenti.

Quest’ultimo punto serve anche per comprendere se si hanno le persone giuste nelle posizioni giuste, se i leader sono capaci di motivare a sufficienza i propri team, o se alcune persone potrebbero esprimere più valore in altre posizioni e ruoli.

In generale, tutto questo si collega in realtà ad un lavoro molto più ampio, di evoluzione culturale: un lavoro dunque orientato a migliorare la cultura aziendale, che come abbiamo visto è uno dei primi motivi per cui le persone cambiano. I giovani talenti, come abbiamo visto, si aspettano una cultura inclusiva, equa, rispettosa, in cui ciascuno può esprimersi. L’obiettivo è quello di ottenere una cultura sana e positiva, in cui i valori professati dalla mission sono effettivamente agiti e realizzati nella pratica, nelle decisioni prese e nei comportamenti messi in atto, e in cui vi è un allineamento tra questi valori aziendali e quelli individuali, delle persone che lavorano.

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