Quiet Quitting. Work is not your life

I social sono lo specchio della nostra società, purtroppo o per fortuna. Sempre più spesso account di vari social network denunciano realtà, trend o nuove tendenze della cultura mainstream.

Così, quest’anno, un breve video di 17 secondi ha mostrato su Tik Tok una nuova faccia del mondo lavorativo, svelando un ribaltamento delle priorità per una generazione che sta cercando un nuovo principio di serenità e diventando oggetto di vari articoli di prestigiose riviste, come il TIME o il Wall Street Journal.

The reality is that work is NOT your life. Your worth is not defined by the output you produce” @ zaidleppelin, TikTokker (“La realtà è che il lavoro NON è la tua vita. Il tuo valore non è definito dal valore che produci”).

Un Neologismo

Stiamo parlando del fenomeno del quiet quitting, termine coniato su Tik Tok, appunto, e in cui in tanti della Generazione Z (ma non solo) si rispecchiano. Letteralmente, l’espressione più social degli ultimi mesi significa “smettere in silenzio” o, più liberamente, “smettere senza licenziarsi”, ma questa tendenza non ha niente a che fare con il licenziamento, anzi…

Il quiet quitting non significa abbandonare il proprio posto di lavoro, ma, in contrapposizione allo stakanovismo, consiste nel presentarsi in ufficio e fare il minimo indispensabile, senza fare nulla di più delle proprie task e mansioni. Insomma, quiet quitting significa non prendersi carico di lavoro extra oppure non leggere le mail al di fuori dell’orario di lavoro ed evitare tutto quello stress e frenesia che nei peggiori dei casi portano anche al burnout.

È sempre più viva l’esigenza di creare un equilibrio tra lavoro e vita privata e le nuove generazioni non sono più disposte a sacrificare quest’ultima.

Generazioni a confronto

Lo scontro generazionale è forte e se per i più giovani questo atteggiamento è l’antidoto alla frenesia lavorativa, per le generazioni più mature si tratta di mancanza di ambizione e indolenza. Infatti, al calo di coinvolgimento da parte delle risorse è associata una mancanza di soddisfazione da parte delle figure più Senior.

Tuttavia, è giusto chiederci, se le risorse adempiono solamente ai propri task senza sforare l’orario di lavoro, come mai i loro manager sono comunque delusi dalle loro performance?

Sia chiaro, nei video ormai virali, non si vuole suggestionare a non lavorare o al semplice scaldare la sedia, ma di lavorare solo per le ore per cui si è pagati. Il malcontento da parte della leadership è causata dalla mancanza di motivazione nel partecipare all’attività lavorativa con contributi creativi o innovativi.

A lungo abbiamo vissuto in una cultura in cui l’individuo è identificato con la propria vita professionale, scandita da ritmi duri, serrati e frenetici. Il cosiddetto hustle culture non è altro che questo: immergersi così tanto nella propria vita lavorativa da non avere più il tempo per fare qualunque altra cosa, al punto di dedicare tutta la propria esistenza alla carriera professionale.

Tuttavia, il concetto di quiet quitting nasce su Tik Tok ma non si esaurisce sui social. Infatti secondo il report “State of the global workplace 2022” di Gallup, in Europa solo il 14% delle risorse è davvero coinvolto nel proprio lavoro. Questo dato preoccupante è indice di come manchi l’equilibrio tra aspirazioni personali e di carriera a vari livelli all’interno delle organizzazioni e non solo tra le risorse più giovani.

Ma se da una parte i Millennial davanti alla frenesia del lavoro sono disposti a licenziarsi in tronco, i più giovani preferiscono una ribellione silenziosa, combattuta con apatia e passività.

Secondo una ricerca di Deloitte Italia del 2022, a livello mondiale, i due motivi principali di malcontento a lavoro sono gli stipendi bassi e la poca attenzione alla salute mentale. Tuttavia, in Italia, i fattori sono differenti. le risorse under 40 cercano work life balance e opportunità di apprendimento e di crescita. Il primo è importante soprattutto per i Millennial: per il 36% di loro, infatti, trovare un ambiente di lavoro che garantisca un bilanciamento adeguato tra vita lavorativa e tempo libero è il primo fattore di scelta quando si cerca un nuovo impiego.

perché Gen Z e Millennial scelgono un lavoro

Il quiet quitting è un processo

Il tema del perdere la motivazione al lavoro è connesso senz’altro a molti aspetti organizzativi e individuali delle persone e della loro crescita all’interno di un contesto aziendale. La sfida di cui si occupano gli HR e i manager con responsabilità di gestione delle persone è come condurre con maestria l’entrata, la crescita e alla fine anche l’uscita delle risorse.

Alla base della motivazione esiste una semplice ma cruciale domanda che persiste in tutte le fasi del percorso di crescita della persona all’interno dell’organizzazione: siamo un buon match? La radice di questa domanda sta nel processo di recruiting, la cui difficoltà principale è il fatto di trovare un’accoppiata felice tra persona e ruolo da ricoprire. Successivamente, diventa un tema di come crescere in armonia insieme.

Anche se un fenomeno di massa, il quiet quitting è sempre un processo psicologico individuale della persona che soffre a causa di qualcosa: per non ricevere sufficienti stimoli, per non sentirsi gratificato, per mancanza di compensi per le ore extra, per svolgere una posizione che non le interessa abbastanza, per vivere all’interno di una cultura organizzativa che non le sta bene.

L’individuo, a un certo punto, va oltre il sentimento di malessere. Quiet quitting è in primis un processo di perdita di fiducia da parte dell’individuo verso l’organizzazione; che le cose possano cambiare in meglio e che lui o lei abbia le forze e la conoscenza necessarie per cambiare lo status quo che crea frustrazione.

 

Leggi anche: TRA ALTE PERFORMANCE E SERENITÀ MENTALE

Come fare a evitare il quiet quitting nel proprio team?

Ma oltre che essere un dramma individuale, secondo vari studi il quite quitting, è anche sintomo di un’organizzazione che non funziona.

Infatti, secondo la Harvard Business Review la diffusione del quiet quitting è strettamente collegata all’incapacità dei manager di far coesistere obiettivi aziendali col benessere individuale e collettivo dei propri dipendenti.

Secondo i dati raccolti dalla rinomata rivista, il quiet quitting non è un fenomeno legato alla tendenza dei dipendenti di lavorare più o meno duramente, ma alla capacità dei leader di creare un rapporto di dialogo stimolante con le proprie risorse.

Il primo passo contro il quiet quitting potrebbe essere mettere in discussione la propria capacità di leadership domandandosi: si tratta di un problema delle mie risorse o di un problema mio e delle mie capacità di leadership?

Una leadership consapevole si basa su un rapporto di fiducia, in primo luogo instaurando rapporti positivi e propositivi con le proprie risorse in cui i punti in comune uniscono, mentre le differenze sono stimoli alla riflessione e al confronto.

In secondo luogo, un elemento importante è la coerenza e l’onestà. Il buon leader deve mantenere le proprie promesse. È stato riscontrato che la maggior parte delle figure Senior ritiene di essere più coerente di quanto le proprie risorse percepiscano. In questo senso, è importante una continua indagine del proprio sé e dei propri comportamenti e azioni.

Che competenze comportamentali occorrono al leader contro il quiet quitting?

Spesso si dà la colpa del quiet quitting alla pigrizia delle proprie risorse, ma secondo lo studio “State of the global workplace 2022” una cattiva leadership è alla radice di questo fenomeno.

Una buona leadership vive e persiste in uno spazio in cui il team si sente stimolato e psicologicamente sicuro. A tal fine, il leader avrà bisogno di sviluppare competenze comportamentali ben precise: quella dell’ascolto, dell’ intelligenza emotiva e dell’assertività. Prestando reale attenzione alle proprie persone, il leader potrà capire il malessere delle risorse, riuscendo, allo stesso tempo, a motivare le proprie risorse a investire maggior tempo, energie e creatività al lavoro da svolgere.

Viene prima l’uovo o la gallina?

Se da un lato i social hanno reso visibile un fenomeno che sembra particolarmente presente nelle giovani generazioni, va anche detto che la perdita di motivazione o il disinteresse nel dare il massimo non è una cosa nuova all’interno delle organizzazioni. Da sempre chi ricopre posizioni apicali si trova davanti alla sfida di motivare e ingaggiare le persone a un risultato di eccellenza.

Tuttavia, ogni generazione è figlia della propria epoca e i trend, i valori e anche le nostre reazioni a ciò che succede nasce in relazione al mondo che viviamo.

Se da un lato i social media denunciano fenomeni della nostra epoca, dall’altro è lecito chiedersi Il fenomeno è stato denunciato o creato dai social?

Infatti, i social media hanno una grande potenza nel diffondere idee e correnti nuove e sono da considerare come una forza potente che influenza la relazione che le persone hanno con il lavoro, specialmente per quanto riguarda le giovani generazioni che vivono queste dimensioni in maniera particolarmente appassionata.

Domandiamoci quindi se il quiet quitting è un fenomeno realmente così presente nelle nostre giovani generazioni, oppure se, grazie ai social, si stia diffondendo proprio in questi mesi e cosa significa ciò per le sfide di management dei prossimi anni?

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