Il ruolo – saperne uscirne è importante quanto saperlo interpretare

«Good morning. It’s 45 degrees and it’s 10.30 on this Thursday October 15th» dice la voce in radio. In sottofondo si sente il traffico, una sirena lontana, delle persone che si dicono qualche parola mentre sono indaffarate nelle loro faccende. La cinepresa si avvicina a un uomo seduto di fronte al classico specchio dell’attore, con le luci in vista. Si sta truccando. La sua faccia è coperta di colore bianco e gli occhi hanno i tipici triangoli neri da clown.

Con un pennello l’uomo prende il rosso dalla palette e lo stende sulle labbra. Il suo sguardo è cupo, ha un’aria triste, trasmette un malessere profondo. Sullo sfondo la radio e il traffico vanno avanti, incuranti del suo dolore esistenziale. Poi l’uomo cambia faccia e sorride mentre si guarda sempre nello specchio. È una finta.

Abbassa di nuovo le labbra. Decide di infilare gli indici delle mani in bocca. Con le dita tira su e giù la bocca come se stesse modellando la propria faccia e le emozioni che trasmette. Tira le labbra in su, in una smorfia estrema, con la pelle tesa mostra anche le gengive superiori mentre gli occhi diventano delle strisce sottili.

Una lacrima nera scende sulla guancia bianca. Il tempo sembra fermarsi e la tensione è fortissima. Sbalordito smette e si guarda nello specchio, questa volta quasi con soddisfazione. Ha scoperto qualcosa di incredibile: nello specchio c’è una persona nuova. Ecco è nato Joker!

Nella scena dello specchio si assiste in 90 secondi alla nascita di un personaggio. Non per nulla ha luogo nello spogliatoio e davanti allo specchio.

Nell’intimità del backstage, l’uomo e il ruolo si incontrano per la prima volta, reciprocamente interdipendenti, si contemplano tra loro, provano a capire la giusta distanza, poiché se la distanza è sbagliata, nel peggiore dei casi ambedue moriranno.

Cos’è un ruolo?

Chi più degli attori e del mondo del teatro e del cinema può insegnare qualcosa su cos’è un ruolo?

Ci sono tre passaggi utili da conoscere per tutti: come creare un ruolo, come entrare in un ruolo e come uscire da un ruolo. In mezzo, certo, c’è anche l’interpretazione.

In un ruolo si entra e si esce sia su scala temporale ampia che su scala minore, addirittura giornaliera.

La scala macro rappresenta i primi giorni, le prime settimane e i primi mesi in un nuovo ruolo. Mediamente per un knowledge worker ci vogliono circa 2 anni di tempo per entrare pienamente in un ruolo. Dopo questo periodo, in media le persone non richiedono più supporti esterni e diventano realmente produttive per l’organizzazione.

Questo aspetto consente inoltre di comprendere che i turnover troppo repentini su profili di questo tipo possono essere deleteri per l’organizzazione.

Per ruoli di vertice, il tempo medio nelle aziende globali oggi è di circa 4 anni. Secondo Matti Alahuhta, l’ex AD di Kone Corporation, l’ideale sarebbe 8 anni, così da avere il tempo sufficiente per implementare una strategia a lungo termine (Matti Alahuhta, Johtajuus Kirkas suunta ja ihmisten voima, Docendo, 2015).

Rimanere in posizioni di vertice per un tempo maggiore crea altri tipi di difficoltà secondo Alahuhta: l’innovazione, in questi casiinfatti, fa fatica a prendere piede all’interno dell’organizzazione e facilmente si creano delle “corti” malsane intorno al leader.

Entrare ed uscire dal ruolo nella quotidianità

Ma se un entrare in un ruolo all’inizio di una nuova mansione è un processo di trasformazione ciò succede anche nella quotidianità su scala micro.

A molte persone servono dei riti di transizione per passare dal proprio ruolo privato a quello professionale e viceversa. Lo spostamento in ufficio rappresenta per tanti un’azione fisica che aiuta a mettersi in un mindset diverso, un passaggio in cui attiviamo una parte diversa di noi.

Questo passaggio è venuto meno durante la pandemia, creando difficoltà per tanti.

Per quanto sembra facile potersi sedere in pigiama davanti al computer, in realtà in moltissimi casi crea un avvicinamento e una commistione malsana tra i nostri ruoli privati e professionali. Con ciò non voglio dire che lavorare da casa sia malsano, ma ha senso riflettere su quali siano i riti sostitutivi che si possono praticare per rendere evidente a se stessi quale ruolo si sta agendo.

Bisogna infatti saper uscire dal ruolo non solo in un time-frame di medio periodo, ma anche, come dicevamo, con frequenza quotidiana. Tutti i giorni occorre sapere quando è arrivato il momento di mettere il ruolo nel guardaroba e indossare le vesti che appartengono alle altre identità personali.

Anche in questo, implementare nuovi riti di transizione e regole come per esempio “non si apre il computer e non si controllano le mail dopo le ore 20” aiuta. Ognuno ovviamente ha le proprie regole compatibili con i propri ruoli, la propria persona ed il contesto in cui si esprime.

Siamo vicini alle vacanze e anche qui si attiva la transizione tra la nostra figura pubblica e una nostra dimensione privata dedicata ad altro.

In un mondo iperconnesso proteggere gli spazi privati è sempre più difficile. Per chi in una posizione di leadership invito a rifflettere come posso agevolare questo passaggio, non solo per me ma anche per le mie persone, per creare lo spazio di ripresa reale necessario per tornare al lavoro con energia nuova?

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