Una servant leadership per il “next new normal”

Una servant leadership per il "next new normal"

Giovedì 2 luglio, trenta Top Manager si sono ritrovati in modalità virtuale e, con la facilitazione dei Business Coach di Perfomant by SCOA, hanno dato il proprio contributo all'elaborazione di un nuovo modello di Leadership per affrontare l'attuale passaggio epocale: saper gestire emozioni ed alimentare l'energia saranno le competenze richieste a chi guiderà la ricostruzione dopo la crisi.

È stato come se qualcuno avesse “sottratto l’abituale cassetta degli attrezzi. È stato uno tsunami da tutti i punti di vista”.

Nell’attraversare ciò che in questi mesi abbiamo chiamato lockdown, chi ha guidato l’azienda Italia disegna sulla mappa del vissuto il profilo di una curva a gomito. E traccia una rotta del tutto inedita sul proprio navigatore. Così è almeno per i 30 executive che Performant ha riunito nell’incontro L’esercizio della leadership nel next new normal. Imprese di tutti i settori – consulenza e servizi finanziari, cosmesi e grande distribuzione, ristorazione e farmaceutica – hanno vissuto ai piani più alti “una sfida al 200%“. Perché la crisi ha rinnovato radicalmente, e continuerà a farlo, la cassetta degli attrezzi della leadership. Su tre livelli e per tre motivi diversi.

Fare i conti con le emozioni
Per i leader, la crisi è stata innanzitutto un grande slittamento emotivo. Ha stravolto routine e ruoli, ha richiesto la capacità di “intercettare stati d’animo prima ancora dei contenuti” anche in una semplice e-mail, di cogliere “gesti e toni di voce” dietro ciò che si diceva intorno. La forzata virtualità ha costretto “a un nuovo ascolto non più selettivo“, cioè non finalizzato a obiettivi e performance, facendo uscire dalla teoria il concetto di intelligenza emotiva.
Saper comunicare, ovvero “rassicurare, ascoltare ma anche in certi momenti sdrammatizzare” è stata la leva per mantenere andature e direzioni in questa curva a gomito.
Per chi ha ruoli di vertice in azienda è stato importante inventare un nuovo modo di esserci. “La nostra gente aveva bisogno di sentire in modo diverso la nostra presenza” si è detto. Ed è stato per ciascuno un “mettersi alla prova sul piano personale”, un’occasione per una “nuova conoscenza di sé“.
Sapere “generare e mantenere empatia, con i pari e i collaboratori” ha significato anche nuovi meccanismi di “una delega basata sulla fiducia“. E ha ridato “un senso al termine responsabilità“.

Un nuovo problem solving
La seconda sfida che Covid 19 pone alla leadership è di tipo operativo. Fin qui si è trattato di assicurare in velocità le condizioni per lavorare in sicurezza. D’ora in poi si tratterà soprattutto di “assumere decisioni continue ad assetto non costante“. Questo problem solving ad assetto variabile sarà “un’eredità che resterà“. Sapere rimanere in sbandata controllata, “gestendo lo stress e mantenendo calma e lucidità“, saranno capacità vincenti anche nei mesi avvenire.
Perché – e qui sta il terzo livello della sfida posta al “nuovo modo” di essere leader – la crisi è stata e continua ad essere anche di tipo cognitivo. “Il virus è stato come un asteroide che è passato vicino al pianeta e ora è sospeso davanti a noi” ha detto qualcuno. In tempi di incertezza e volatilità i vecchi KPI non reggono più. E si pone la questione: come “navigare nell’ambiguità di una situazione instabile” in cui la minaccia è vicina e visibile?

L’energia di un servant leader
La parola chiave da qui in avanti diventa energia. “Abbiamo passato mesi a correre, e ora siamo non al traguardo ma allo start“. La vera sfida – è chiaro a tutti i leader – comincia adesso, nel nuovo normale. E non può bastare la “soluzione dell’estremo“, quella che annulla orari e vita personale ed estende lo sforzo oltre le proprie possibilità. Perché non si vince una maratona se la si imposta come una sequenza di 100 gare da 400 metri. Per assicurarsi l’energia che serve esistono tre cose da fare nei mesi che arrivano.
La prima è non perdere la vicinanza emotiva alle proprie persone conquistata in questi mesi. Questo “allineare testa e cuore“, questo esercizio costante per trovare “cosa ricarica le persone che lavorano con noi” non può essere disperso, anzi va integrato come la prima acquisizione del nuovo normale.
Occorre poi assicurare, o a volte “rinnovare visioni positive“. Essere leader si gioca innanzitutto sulla capacità e la forza di intuire un percorso dietro le nuvole, di disegnare il profilo di una costa anche dal mare aperto che si attraversa. Fornire scenari credibili senza edulcorarli né fornire alibi sarà la seconda competenza di un leader.
Ma il vero tema è la generosità. Perché in tutto questo “non basta più essere un capo“. Occorre “indossare un nuovo concetto di responsabilità“, e dare un senso al termine in voga eppure già inflazionato di purpose. Significa saper vedere la strada, percorrerla in prima persona, indicarla agli altri come possibile. “E si fa solo se si è credibili“. Cioè vestendo i panni del servant leader, di un capo che sa mettersi al servizio delle persone e dei contesti in cui opera.
Se sono esatte le previsioni sui costi della crisi e quel che aspetta tutti noi è un nuovo dopoguerra, allora il cruccio di un vero leader può davvero essere “non avere 20 o 30 anni in meno per partecipare con più forza alla ricostruzione“. Per lasciare un segno a chi verrà dopo. Fare la differenza? Il momento è questo.

Ascolta l’estratto di Francesco Gaeta, giornalista e moderatore dell’evento Next New Normal:

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