What’s happening next? Il futuro del lavoro

Come sta cambiando il concetto di lavoro? Qual è il ruolo che riveste nella vita delle persone? Quali sono le skills professionali del futuro e qual è il valore dell’arte e della creatività nell’era dello sviluppo tecnologico?

Questi i temi affrontati durante la giornata “The future of work” di giovedì 20 gennaio, condotto da Leonor Gonzales, Programme Officer alle Nazioni Unite: il secondo di tre appuntamenti del Symposium, organizzato dall’associazione The GRASP Network con il supporto di Performant, in occasione dell’EXPO Dubai 2021/22 per costruire un dialogo interdisciplinare su alcune delle tematiche più urgenti del mondo attuale.

Un mondo veloce, in continua trasformazione, in cui il lavoro necessariamente assume nuove forme e nuovi significati, richiedendo lo sviluppo di nuove competenze e talvolta anche un cambio radicale di mentalità.

Come raccontano Allan Owens, Professore Emerito all’Università di Chester, e Anne Pässilä, Senior Researcher alla LUT University, inscenando una coinvolgente performance artistica: nel business diventa centrale l’attenzione alla dimensione umana, agli aspetti emozionali, relazionali sociali e, soprattutto, al potere dell’immaginazione. Accanto alla ricerca di soluzioni razionali, calcolabili e prevedibili, così assume importanza il saper porre domande, che aprono nuovi orizzonti, nuove prospettive e così rendono possibile l’innovazione e la creatività. Così l’arte e la capacità di improvvisare assumono un ruolo cardine nei contesti professionali, motore di idee e scenari nuovi.

La possibilità di esprimersi creativamente in libertà, insieme al work life balance, diventano così una delle priorità per i giovani.  È in questo scenario che si colloca la cosiddetta “Great Resignation” di cui parla l’economista Sylvain Cotton, il trend delle dimissioni di massa, che insieme all’aumento di frequenza e facilità con cui i millennials (e non solo) cambiano lavoro, porta a soffermarsi più ampiamente sul significato che ha e avrà il lavoro per le persone: come cambia il ruolo che svolge nelle nostre vite? E questo cambiamento come impatta sulla nostra identità?

Cambia infatti notevolmente il nostro rapporto con il ruolo professionale – suggerisce Anja Puntari, Artista Senior Business Coach – da cui dobbiamo imparare ad entrare e uscire con una rapidità maggiore rispetto alle generazioni precedenti. È così nell’opera di Cindy Sherman: come l’attrice nei panni dei diversi personaggi, ciascuno infatti svolge il proprio ruolo in maniera differente, porta un po’ di sé, della propria storia, della propria indole, dei propri valori. Diventa quindi interessante come allora questa identità frammentata ci influenza nella percezione di noi stessi?

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Diventa indispensabile sapersi approcciare al lavoro con estrema flessibilità e non solo in rapporto al proprio ruolo ma in generale, per gestire l’estrema complessità in cui ci troviamo immersi. I confini del lavoro diventano meno netti, meno rigidi, più confusi, sono letteralmente “sfocati” – evidenzia Puntari. Le relazioni professionali non sono più limitate al perimetro organizzativo e così dobbiamo imparare a stringere alleanze di volta in volta con persone diverse in base all’occorrenza, in base agli obiettivi e ai progetti, come nella trialettica dell’opera di Asger Jorn. Le aspettative di vita poi si allungano, e così nello stesso team lavorano fianco a fianco persone di 5 generazioni diverse, la cui distanza è a tratti invalicabile – come nelle fotografie dell’opera di Roman Opalka.

Collaborazione, capacità di cooperare, di ingaggiare e di rimanere ingaggiati in condizioni che cambiano di continuo (dove addirittura i colleghi non sono più facilmente definibili come gli individui che lavorano nella scrivania o nell’ufficio accanto) – ecco le skills su cui allenarsi.

E non solo i confini fisici spariscono, ma in generale il lavoro diventa intangibile: parliamo soprattutto dei knowledge worker, per cui la mentalità rigida dell’industria e della catena di montaggio non sono più sostenibili. È una logica che va piuttosto ribaltata creando le condizioni affinché le persone possano “pensare” al meglio, e così lasciar emergere la creatività.

Ma come mantenere l’approccio creativo nell’era dello sviluppo tecnologico?

Il potere della creatività, evidenzia Giovanni Schiuma, Professore all’Università LUM, è parte dell’essenza dell’essere umano, ci accompagna da quando siamo bambini ed è ciò che può consentire di distinguerci dalle macchine: come far sì che non soccomba di fronte all’inarrestabile evoluzione della tecnologia? In un mondo in cui molti dei servizi sono oramai svolti interamente da processi di automazione, qual è il valore che possono ancora produrre gli esseri umani? Lo sviluppo di computer e algoritmi sempre più complessi ed efficienti rischia infatti di rendere le persone perfettamente sostituibili, e non solo nelle attività più razionali, di logica e di calcolo.

Come mostra l’esperimento “Storytelling AI” di Daniel Kehlmann e il filosofo e ricercatore AI Bryan McCann, presentato da Clara Blume, Head of Open Austria Art + Tech Lab, in cui l’algoritmo è perfettamente in grado non solo di riprodurre il linguaggio umano, ma anche di creare storie nuove, coerenti e interessanti. Ma se una macchina può possedere anche la creatività, al pari di un essere umano, cosa può ancora distinguerci? Cosa rimane prettamente umano? E quali lavori rimangono agli esseri umani, quali ha ancora senso che siano svolti dagli umani e non dalle macchine?

Forse proprio lo sviluppo della tecnologia e la collaborazione tra arte e intelligenza artificiale può essere uno strumento per valorizzare ulteriormente la nostra umanità: delegare in parte ai computer quelle attività che ci distraggono dai nostri obiettivi ci dà più tempo per esercitare ciò che ci rende davvero umani – la creatività, aumentando lo spazio in cui possiamo dedicarci a pensare e a creare. è sfidante, è complesso far dialogare due mondi in prima battuta così distanti, ma è anche la grande opportunità di oggi.

Dall’altra parte però, osserva Oliver Rack, Lecturer all’Open Government in Germania, la possibilità di essere addirittura completamente sostituiti nel lavoro rende estremamente difficile trovare la motivazione. Ma a maggior ragione in questa fluidità e dinamismo, l’engagement delle persone diventa la principale leva del business.

È in quest’ottica che Bror Johan Salmelin, attivista di Open Innovation 2.0 ed ex advisor alla Commissione Europea, e Georg Weintgardner, presidente dell’International Technolgy Cooperation AUSSENWIRTSCHAFT in Austria, parlano della figura dei managers come di “direttori d’orchestra”: una leadership di controllo, verifica e comando non è più sostenibile, si tratta piuttosto di coordinare skills ed esigenze diverse, di muoversi con flessibilità e sguardo aperto tra discipline e background differenti, per generare sintonia e collaborazione nei team.

Collaborazione, engagement, creatività, pensiero artistico, flessibilità: questi i principali spunti emersi dai contributi dei diversi speaker all’evento.

Questo scenario apre ad ulteriori riflessioni, per cui vale la pena chiedersi: come cambia, in quest’ottica, l’educazione? Che influenza ha la digitalizzazione sull’apprendimento? Su quali skills ha ancora senso lavorare e quali sono invece quelle innovative, su cui vale la pena concentrarsi?

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