Breve storia del Coaching e del Mentoring: dal conflitto all’unione – da professione a cultura

Breve storia del Coaching e del Mentoring: dal conflitto all'unione –  da professione a cultura

Sapete quando e come hanno iniziato a svilupparsi il Mentoring e il Coaching? E come mai c'è così tanta confusione su cosa è o non è il Coaching? Che differenza c'è fra Coaching e Mentoring?

Se cercassimo queste due definizioni, in effetti, trovereremmo descrizioni fra loro contrastanti e contraddittorie per entrambi. Le analogie e le differenze fra le due discipline sono state oggetto di una giornata di studio e approfondimento col Prof. David Clutterbuck, organizzata da AssoMentori che ringrazio molto per avermi invitato.

Mentre le origini del Mentoring risalgono a diverse migliaia di anni fa, fra l’Europa e la Cina, il Coaching nacque circa 150 anni fa nelle università di Oxford e Cambridge, quando alcuni ragazzi molto ricchi ma poco motivati allo studio passavano il tempo a oziare e avevano bisogno di aiuto per superare gli esami.

In particolare serviva loro un tutor che li aiutasse, li trascinasse, li conducesse, quasi come se fossero su una carrozza (in inglese “Coach”), fino alla laurea. E, siccome alcuni di questi ragazzi erano molto ricchi, ne volevano uno molto costoso. Avere una  “carrozza” (coach) più costosa per superare gli esami divenne, addirittura, uno “status symbol”.

Il Coaching si diffuse poi nello sport, in particolare nel canottaggio e nel tennis: il Coach era la figura che diceva cosa dovevi fare per arrivare a vincere. Aveva quindi un approccio direttivo.

Alla fine degli anni ’70 Timothy Gallwey, un Coach sportivo americano che era anche psicologo, introdusse con successo il concetto di Coaching non direttivo. Le sue idee erano basate sul concetto che, attraverso conversazioni maieutiche, si poteva ottenere molto di più rispetto al dire all’atleta cosa fare. Inoltre l’osservazione e il feedback erano informazioni che servivano all’atleta per migliorarsi progressivamente.

Si trattava di liberare il potenziale dell’individuo per permettergli di massimizzare le prestazioni. Più che di insegnargli si trattava di aiutarlo ad imparare autonomamente e consapevolmente facendo leva sulla sua responsabilità.

Fu una svolta perché fino a quel momento tutta la letteratura riportava il Coaching come metodo direttivo. Al contrario la letteratura sul Mentoring, tipicamente Europea, ha sempre definito il Mentoring come non direttivo.

Quindi Timothy Gallwey stava in parte attingendo alle teorie del Mentoring europee che avevano le radici culturali nella Grecia antica.

Nella mitologia greca Atena era la dea della saggezza: tipicamente permetteva agli altri di sbagliare e mettersi nei guai, poi si sedeva e parlava con loro dell’esperienza che avevano vissuto e li aiutava a riflettere ed apprendere da quell’esperienza. Con questo meccanismo le persone diventavano più sagge.

Il termine Mentoring deriva dal fatto che Atena (la Saggezza), nell’Odissea, prende le sembianze di un cortigiano di nome Mentore per supportare Telemaco durante la ricerca del padre Ulisse. Ulisse aveva affidato Telemaco al cortigiano Mentore prima di partire per la guerra di Troia. Aveva chiesto a Mentore di fargli da insegnante e di aiutarlo a crescere.

Quindi, nella cultura Europea, il Mentoring è associato alla crescita: il diventare la persona che si aspira a diventare. Pertanto, mentre il Coaching riguarda il “raggiungere” (un traguardo, un obiettivo), il Mentoring è associato appunto al concetto di “diventare”.

Negli Stati Uniti non c’era una tradizione del Mentoring come quella Europea. Nella cultura americana il Mentor era qualcuno potente (vedi il film “Il socio” – “The firm” o “Il Padrino”) che “protegge” altre persone. Il Mentoring era più associato al concetto di sponsoring: veniva visto in una concezione più individualista e legata al potere personale, al poter utilizzare l’influenza di qualcuno a beneficio di qualcun altro.

Mentre Gallwey pubblicava le sue teorie in “The inner game of tennis”, lo psicologo americano Daniel Levinson pubblicava “The seasons of a man’s life”. In questo libro definiva il Mentoring come il supervisionare la carriera di un giovane uomo. L’approccio descritto è di tipo direttivo, esattamente il contrario di quello conosciuto nella cultura europea. In America hanno quindi iniziato a chiamare il Mentee con una parola pseudo-francese “protégée” (il protetto) ma che in francese non aveva esattamente questo significato.

Quando arriviamo negli anni 90, il concetto di Coaching non direttivo si diffonde sempre di più anche in Europa e John Whitmore lo estende anche nel mondo aziendale. Da tutto ciò nacque una grande confusione fra Sponsoring, Mentoring direttivo, Mentoring non direttivo, Coaching direttivo, Coaching non direttivo e parole europee come “protégée” utilizzate per descrivere pratiche tipicamente americane.

Nasce così un conflitto fra Coach e Mentor direttivi / non direttivi.

A questo punto David Clutterbuck, John Whitmore, David Megginson, Eric Parsloe e Julie Hay misero insieme le diverse correnti del Coaching e del Mentoring di tradizione europea, dando vita a EMCC – European Mentoring & Coaching Council. Di fatto venne aggiungo il Coaching all’associazione EMC formata fino a quel momento da soli Mentors: quindi EMC divenne EMCC.

EMCC ebbe il grande merito di saper superare il conflitto fra i Coach e i Mentor aggregando, più che dividendo: vennero riconosciute le similitudini fra le professioni del Coaching e del Mentoring che, messe scientificamente a confronto, portarono alla definizione di uno schema di competenze comune fra le due pratiche che avevano, nella tradizione europea, la stessa finalità: utilizzare il dialogo e la maieutica per far emergere apprendimenti e consapevolezza in maniera non direttiva.

Il Coaching era più indirizzato a raggiungere obiettivi di risultato o di apprendimento mentre il Mentoring era più focalizzato sull’evoluzione personale o professionale. Entrambi facevano leva sui principi della consapevolezza, dell’autonomia e della responsabilità come fondamenta della crescita e dell’evoluzione umana.

Gli standard di qualità che nacquero (EQA – European Quality Award, EIA – European Individual Accreditation, ecc. ) vennero in seguito fatti evolvere e continuamente aggiornati seguendo le varie normative e regolamentazioni nazionali e internazionali.

Grazie a questo lavoro oggi EMCC è un riferimento internazionale nell’ambito degli standard e delle certificazioni del Coaching, del Mentoring e della Supervision: in tutto il mondo moltissimi e prestigiosi master universitari sul Coaching sono infatti certificati da EMCC.

Dall’iniziale crisi per il conflitto fra due professioni al successivo confronto dialettico e contaminazione si arrivò quindi all’aggregazione e sinergia che portò al potenziamento e sviluppo di entrambe le professioni.

Per i Coach e i Mentor questo è stato un ottimo esempio di utilizzo delle proprie conoscenze, competenze e valori professionali anche al di fuori del rapporto con i clienti.

Quando questo accade significa che una professione smette di essere un insieme di tecniche e diventa un modo d’essere, di pensare, di comportarsi e di relazionarsi con gli altri a prescindere dal contesto. In altre parole diventa espressione di una cultura.

Immaginate quanto sarebbe potenziante ed evolutivo per le nostre aziende e per la società intera se si diffondesse in maniera capillare questo tipo di cultura.

È proprio questo il motivo per cui European Mentoring & Coaching Council si è data la mission di espandere la cultura del Coaching e del Mentoring e aumentarne costantemente il livello a beneficio della società intera.

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