Dove sta andando il Business Coaching: Il keynote speech di Roberto Degli Esposti

Dove sta andando il Business Coaching: Il keynote speech di Roberto Degli Esposti

Lo scorso mercoledì è avvenuto il primo Open Day SCOA, in cui i partecipanti hanno avuto occasione di provare l'esperienza, tramite dei workshop da 45 minuti, dei principali corsi di SCOA - The School of Coaching. L'evento è stato introdotto da un keynote speech di Roberto Degli Esposti, Executive Business Coaching e Managing Partner SCOA. Ecco di cosa ha trattato.

Dove siamo con l’industria del Business Coaching? Quali sono le prospettive di questo settore?

Il Business Coaching è diventato uno dei settori più all’ordine del giorno in termini di discussione, di apertura, di titoli, ma ancora poco secondo noi in termini di pratica. Quello che dicono sempre è che la cosa più curiosa del Coaching è che, all’interno di quest’industria, la visione di quale sia la dimensione di mercato è molto limitata. Mi sono, dunque, messo all’opera per fare il punto della situazione, a partire da fonti e dati accessibili e riconosciuti e da alcune analisi di carattere qualitativo che sono emersi durante convegni nazionali dedicati al Coaching.

Le migliori stime (e sono stime, appunto) che sono riuscito a fare ci dicono che l’industria del Coaching in Italia vale tra i 30 e i 40 milioni di euro. Il Coaching sta crescendo, in base annua, del 20-25% e questo è molto significativo. Viene naturale chiedersi se questa crescita sia dovuta al fatto che sia un settore di nicchia e che, quindi, una volta esaurito il trend, questa traiettoria subirà un inevitabile tracollo. Sicuramente è interessante vedere qual è il dato di budget con cui il Coaching può contribuire a livello nazionale.
Secondo le stime, il numero è 860 milioni di euro, calcolandolo come una quota credibile dal tipo di offerta che ha il Coaching nell’ambito in quello che le aziende e gli individui investono per il proprio sviluppo personale.

Interessante è provare a guardare quest’opportunità e chiederci che ruolo si può svolgere nel giocare questa partita. Se quindi focalizziamo il singolo Coach e vediamo che cosa può contribuire a fare in questo percorso, dobbiamo partire facendo un calcolo al contrario.
Se la cifra di un’ora di Coaching vale circa 200 euro, vuol dire che se il mercato complessivo fosse di 40 milioni di euro ci sarebbero 200.000 ore di Coaching l’anno. 200.000 ore che crescono, circa, di 40/50.000 ore di Coaching all’anno. Questo ci aiuta anche a settare un’asticella. Se lo riportiamo dal punto di vista reddituale, 200 euro moltiplicato per un numero maggiore o minore che ci porta al reddito di un professionista del Coaching che ci porta a 80.000 euro, vuol dire 400 ore di Coaching all’anno. Sono tante?

Quando intervisto dei Coach, spesso mi dicono “Sì.”
E allora richiamo l’esperienza di mio padre, fornitore. Non c’è nessuno che pensi, nel campo delle forniture, che lavorare 400 ore all’anno sia tanto. Ma neanche nel fare cesti di vimini, è tanto. Non c’è nessuno sport in cui alla 401esima ora è obbligatorio fermare l’allenamento per eccessiva stanchezza.

Vien da chiedersi, allora: “Qual è la capacità dei Coach di stare nella dimensione dell’allenamento, essenziale per la professione? Parliamo di una dimensione che è fonte di tutto il sapere disponibile nella cultura del Coaching.
Come facciamo a portare il livello di pratica ad almeno quattrocento ore? Non solo per una dimensione di introiti, ma per una questione di solidità. Perché la bellezza di questo mestiere è il fatto che cerca di coniugare la possibilità di aiutare qualcun altro o alcuni altri con una soddisfazione personale ineguagliabile. Il ritorno che ti dà un Coachee esprimere comportamenti efficaci a partire dal suo modello e sapere che in realtà hai reso disponibile un momento di consapevolezza, una capacità di ascolto, una lettura delle sue risorse già disponibili, è impagabile. Non ho mai fatto un mestiere così ricco e gratificante.

Questa è una grandissima occasione. Se vogliamo sviluppare una pratica che ci consenta di essere robusti nell’esercizio di una pratica di aiuto, come quella del Coaching, lo possiamo fare sempre. Fare questo mestiere è molto difficile, senza alternare una pratica intenzionale a una riflessiva, senza farsi domande. A volte è necessario farsi aiutare dalla supervisione, quindi portando quello che abbiamo incontrato nel nostro incedere e valutare con altri occhi se abbiamo bisogno di aiuto.

Il Coaching è un esercizio pratico quotidiano. Tocca a noi integrare quelle 400 ore ad altre ore che possiamo pescare in qualsiasi relazione che abbiamo. Tocca a noi provare a proporre questo approccio ai nostri interlocutori, i quali nel mondo aziendale non hanno dei bisogni, hanno dei disagi.
Si tratta di un mondo pieno di persone con una quantità di disagi e stress enormi, spesso senza sapere cosa sia lo stress, confondendolo con stanchezza, affaticamento, rabbia, dolore, o qualsiasi altra emozione può esserci sotto questa categoria.

Si dividono solitamente in due gruppi: coloro che credono che la fonte di stress siano i capi e coloro che ritengono come fonte di stress i collaboratori. Noi possiamo dare una mano.
Amiamo così tanto il Coaching da fare continui corsi, da parlarne continuamente e approfondire. Raramente ci rendiamo conto che ciò che ci appassiona possa essere molto utile a coloro che non ne sono immersi. Colmare questa simmetria informativa è un esercizio che noi, plasticamente, dobbiamo fare. Come? Facendo sentire che quello che abbiamo imparato, a noi è servito. A noi, nell’esercizio della nostra attività professionale, ha portato un vantaggio. Quello di trasmettere, che il nostro interlocutore è in grado di sentire.

Se riusciamo a essere (e non fare) un po’ più Coach, riusciamo anche a crescere.
Anche solo leggendo il quotidiano alla mattina, viene naturale chiedersi quanto bisogno di ascolto ci sia nel mondo. Quanto bisogno ci sia di saper comunicare tra persone diverse, senza dimenticarci dei team all’interno delle organizzazioni.
I team sono diventati l’oggetto mimetico più frequentato di tutte le organizzazioni.

L’altro aspetto su cui possiamo fare il miglior lavoro è aiutare le organizzazione, facendo vedere che il Coaching funziona davvero, che sia bello e che funzioni in modo efficace. Aiuta le persone a raggiungere un risultato concreto con uno stato d’animo meno stressante, con una situazione personale un po’ più positiva. Pensate riuscire a fare questa cosa qui, in cui il beneficio individuale va di pari passo con il raggiungimento dei risultati!

Il sentimento che volevo trasferirvi è che in questa professione si può davvero stare in una relazione d’aiuto. Suonare il nostro strumento è un esercizio che possiamo attuare quotidianamente, con tutti i pro e i contro che concernono la professione. Lo possiamo fare sia nel Coaching individuale, sia quando ragioniamo nelle dimensioni di relazioni con gli altri. Ci possiamo aiutare e far aiutare tramite la pratica della Supervisione. Possiamo aiutare il Team ad uscire da una situazione “clandestina” e aiutarlo ad essere efficace. Possiamo usare delle tecniche e degli strumenti che importiamo da discipline importanti come l’arte, per fare in modo che si trovi un’entrata alternativa, che si trovi una chiave in cui le immagini e la dimensione emotiva siano trigger per accedere a una dimensione più profonda.

Praticare questa professione è bello e possiamo scegliere su che dimensioni attuarla, ma non dimentichiamoci mai che mentre lo facciamo è uno dei pochi casi in cui otteniamo un equilibrio tra il benessere delle persone e un effettivo risultato economico. Nella mia esperienza, questo cambia il vigore, l’energia, la forza e il coraggio con cui ci si sveglia la mattina per fare questo mestiere.”

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