Le emozioni del green shift e come guidarle per il bene del business

Il fatto che le emozioni abbiano un ruolo fondamentale per i risultati che riusciamo ad ottenere al lavoro ormai è chiaro da tempo. Certamente, ancora in tanti contesti organizzativi si fatica ad affrontare questo territorio scivoloso e complesso e, a volte, poco comprensibile.

Cosa sono le emozioni? Qual è la loro origine e come possiamo intervenire sul nostro sentito e quello altrui?

Quando si parla di emozioni, si entra in un territorio di relazione tra corpo e mente, influenzato dal contesto sociale sul nostro sentito e dalla nostra interpretazione di situazioni e di ciò che ci circonda. I nostri pensieri influenzano il sentito emotivo e viceversa. In particolare, le emozioni relative al green shift sono emozioni che nascono nello spazio tra l’individuo e il mondo, stimolate dal interpretazione di ciò che sta succedendo in relazione ai temi di trasformazione dell’ambiente.

Le emozioni sono senz’altro una forza potente, delle leve che ci spingono all’azione, ma, al contrario, possono rallentarci fino a renderci immobili. Insomma, l’emotività ha un ruolo cruciale nella vita quotidiana, anche su quella lavorativa: la motivazione, la propensione alla collaborazione e le diverse forme di engagement sono la chiave per un lavoro propositivo.

Per questo motivo sapere incidere sul sentito emotivo proprio e del team è una skill cruciale per un leader, oggi più che mai.

Il Green Shift cos’è?

La ricerca del modo organizzativo di agire più rispettoso verso l’ambiente e la società in generale sono azioni che si collocano sotto il concetto più ampio di sostenibilità.

In particolare, con il termine green shift facciamo riferimento a quella transizione che conduce le aziende e le organizzazioni verso una dimensione sempre più ecosostenibile. In questo senso, l’Agenda 2030 delle Nazioni Unite è un’importante guida, ad esempio. Si tratta di patto, stipulato tra 197 paesi, tra cui l’Italia, tramite il quale si descrive, attraverso 17 obiettivi di sviluppo, l’evoluzione desiderata del Pianeta Terra.

Tuttavia, la transizione verso la green economy non è solo un’iniziativa di ONU. Nel 2020 l’Unione Europea ha creato il suo Green Deal con l’obiettivo di non generare più emissioni nette di gas a effetto serra entro 2050, tramite una crescita economica dissociata dall’uso delle risorse senza, allo stesso tempo, trascurare alcuna persona o luogo dell’UE, durante il processo di trasformazione.

L’UE non solo incide con nuove policy e normative tramite il Green Deal, ma investe un pacchetto massivo di finanziamenti in questa trasformazione. Un terzo dei 1800 miliardi di euro di investimenti del piano per la ripresa previsto da NextGenerationEU e il bilancio settennale dell’UE finanzieranno il Green Deal Europeo. Ursula Von der Leyen definisce il Green Deal “Man on the moon” dell’Europa, intendendo così il Green Deal come l’occasione che l’Europa ha per mostrarsi come innovatrice, capace di affrontare la sfida ambientale in maniera costruttiva da tutti i punti di vista.

Le aziende sono quindi spinte verso il Green shift, indipendentemente che questo sia di loro interesse diretto o meno. Ciascuna Nazione dell’Unione Europea ha poi senz’altro i propri programmi e normative nuove che stanno emergendo.

Ma il Green Shift non è solo un mix di policy, normative e finanziamenti. Per quanto riguarda le aziende, sempre di più la richiesta per agire in maniera sostenibile arriva direttamente da clienti e dipendenti oltre che da investitori e azionisti.

Le aziende che sono capaci di abbracciare la trasformazione velocemente sono quelle che avranno anche una marcia in più per diventare o rimanere leader di mercato. Che a livello individuale sposiamo o no questa transizione, come leader all’interno delle organizzazioni, dobbiamo prenderne atto.

I comportamenti sono alla base del nostro agire

Ma cosa significa agire sostenibile?

Sulla carta sembra tutto più facile di quello che è in pratica. In primis emergono ostacoli pratici, che cosa significa agire sostenibilmente all’interno del nostro contesto organizzativo? Se non ci occupiamo direttamente di agricoltura, di energia o di un settore ambientale, cosa possiamo fare?

Da tempo, la maggior parte delle aziende ha messo in pratica piccole modifiche nella propria quotidianità.

Una volta che stiamo già facendo la raccolta differenziata in ufficio, abbiamo optato per utilizzare carta riciclata, stampare il minimo, usare piatti e posate in materiali biodegradabili. Ma cosa possiamo ancora fare? A causa del periodo del Corona Virus, abbiamo imparato a lavorare in remote, che significa meno CO2 a causa delle ridotte transizioni tra casa e ufficio, piuttosto che riduzione notevole di viaggi di lavoro inutili. Serve davvero andare a Parigi per quel meeting o lo possiamo fare anche su Zoom?

In realtà, come dice Cristina Nava nel suo articolo Il cambiamento sostenibile è a raggiera, l’ecosostenibilità sul posto di lavoro diventa una forza propulsiva che straborda dall’azienda, arrivando nel privato, traducendosi in comportamenti sostenibili quotidiani che le persone applicano in tutte le situazioni della vita.

Prima di buttar via, che io sia a casa o in ufficio, mi domando “questa cosa si potrebbe in qualche modo riutilizzare?” Spengo le luci, l’aria condizionata o il riscaldamento sempre quando è possibile. Quando possibile scelgo per i miei spostamenti il mezzo e la modalità meno inquinante. Si tratta di un mindshift in cui ragioniamo in ottica circolare, tenendo l’attenzione sul qui ed ora ma anche sul futuro. Se oggi faccio così qual’è il costo della mia azione per il futuro?

Argomento spigoloso

E le emozioni cosa c’entrano con tutto ciò? Come detto, precedentemente il green shift si colloca sotto il concetto più vasto della sostenibilità e degli obiettivi ESG (Environmental, Social and Governance) in azienda di cui fa anche parte l’inclusione delle diversità.

In comune il Green shift e D&I hanno almeno il fatto che la nostra relazione con questi topic è personale e connessa al nostro mondo valoriale, all’educazione che abbiamo ricevuto in famiglia, alla cultura dove siamo cresciuti e alla generazione di cui facciamo parte.

Il tema della parità di genere è per esempio un argomento molto delicato perché entra in una dimensione intima di interpretazione su cosa significa essere un uomo o una donna e ciò che ne consegue. Tuttavia, non sempre siamo consapevoli che veniamo influenzati da spinte di questo genere. Parliamo ovviamente dei cosiddetti BIAS.

Un esempio pratico di BIAS connesso alla gender exclusion è mettere in discussione l’abilità di una donna di lavorare con efficacia anche dopo che ha avuto un figlio.

A volte le donne vengono addirittura a meno del proprio ruolo quando diventano madri. Alla base di questo fenomeno vi è la convinzione che le donne che hanno figli fatichino (necessariamente) a gestire l’equilibrio tra vita privata e lavoro. E così, infatti, può succedere. Tradizionalmente la donna ha avuto un ruolo più coinvolto nella cura dei figli e questo a volte ha causato dei problemi anche nel lavoro.

Nei nostri tempi e con le coppie giovani, l’interpretazione di ciò che è di dovere della donna o di un’uomo sta però cambiando.

Tuttavia, i BIAS sono utili a noi, poiché spesso il nostro cervello è esposto a più informazioni di quelle che è capace di gestire: creando dei cluster concettuali, siamo in grado di prendere decisioni più velocemente. I BIAS diventano ostacoli solo nei momenti in cui ci spingono verso pregiudizi infondati.

Dunque cosa sono i climate BIAS e cosa c’entrano con il contesto organizzativo? I climate BIAS sono strettamente collegati alla nostra relazione personale con il cambiamento climatico e la trasformazione dell’ambiente e come la interpretiamo. Ciò si riversa spesso su dimensioni di estrema intimità come la propria identità personale: se mi reputo una persona sensibile all’ambiente oppure no, oppure in relazione alla mia posizione politica.

Quindi si tratta della mia lettura sulla società e sul mondo in generale.

Le organizzazioni sono popolate da persone che si relazionano ognuno in modo individuale verso i temi ambientali. Agli estremi abbiamo quelli che temono il cambiamento climatico e diventano attivisti sfrenati per fermare l’andatura delle cose, piuttosto che i climate deniers che sostengono che tutta la climate warming e solo una campagna mediatica, un’invenzione o delle multinazionali o dei politici corrotti. In mezzo ci sono tutti gli altri che spesso semplicemente sono occupati con altro e non riescono a dedicarsi al tema pur riconoscendo l’importanza dell’argomento.

Quando il Green shift diventa l’oggetto di discussione emerge a questo punto una matassa di emozioni perché su questa fronte siamo senz’altro di tanti generi e opinioni diverse.

Le emozioni del green shift

Le emozioni sono universali, fanno parte di tutti gli esseri umani e di tutte le culture, ma le cause del sentito emotivo sono personali e contestuali. Ciò che è fonte di vergogna in una cultura può essere un tema di orgoglio e vanto in un contesto diverso. Ciò che è fonte di irritazione per qualcuno per un altro può essere causa di aberrazione.

Il Green shift ingloba una serie di emozioni collegate al cambiamento climatico e la trasformazione del nostro ambiente. Una delle più comuni di cui si parla da tempo è l’ansia ambientale. Si tratta di uno stato d’animo che emerge da una profonda preoccupazione di ciò che verrà, da come stanno andando le cose. Studi, come quello condotto da Deloitte, dimostrano come soprattutto le giovani generazioni under 30 siano generalmente più sensibili ai temi ambientali rispetto alle altre generazioni.

Il processo di accettazione del cambiamento climatico per tanti può essere un processo di lutto vero e proprio. Il modello Kübler Ross definisce le fasi del lutto ed elaborazione di un forte dolore (che sia a causa della perdita di una persona cara, a causa di un divorzio o un’altro evento di perdita) con i passaggi della Negazione, Rabbia, Contrattazione, Depressione, Accettazione.

Un profondo sentire la crisi climatica vuol infatti dire vivere una crisi esistenziale sia a livello individuale che come lutto per dove va a finire il mondo.

Ben diverso è invece l’irritazione ambientale che emerge dal sentirsi profondamente infastiditi da tutto ciò che è connesso al cambiamento climatico. Potrebbe significare che il soggetto sente emozioni come rabbia, animosità, disprezzo, indifferenza e avversione.

Queste emozioni si attivano senz’altro in quelle persone che non sentono l’argomento ambientale come un tema di urgenza o di importanza e che si infastidiscono quando vengono in contatto con esso.

Un altro range di emozioni tipico che gira intorno al tema ambientale sono le emozioni tipo amore verso l’ambiente e passione per essa o per l’evoluzione di uno scenario di business nuovo. Questi sorgono facilmente nei momenti e nelle persone che vedono il Green shift come un’enorme opportunità per inventare il nuovo, che si entusiasmano davanti a sfide grosse e che si accendono davanti all’idea di poter agire per cambiare lo status quo. Per dirla con una frase di Matt Damon nel documentario Brave Blue World: Racing to solve our water crisis: “Like how lucky are we that we are the ones who get to solve this. In 100 years people wish they could have the possibility of resoving a problem this big!”

Lavorare con le emozioni ambientali

Per poter lavorare con la dimensione emotiva dobbiamo in primis riconoscere sia la sua enorme influenza sul nostro agire e valorizzarne le potenzialità. Conta, in primo luogo, diventare consapevoli delle nostre di emozioni.

Il leader che guida gli altri, prima di focalizzarsi sugli altri, deve fare chiarezza su cosa sente lei/lui in relazione a questo tema, che emozioni lo coinvolgono e cosa gli fanno fare. La consapevolezza emotiva crea spazio all’ascolto di noi stessi e di come ci sentiamo e all’accettazione del nostro sentito emotivo.

A livello collettivo, tutto ciò diventa fondamentale per creare un luogo protetto per parlare delle emozioni. Il dialogo libero e rispettoso, dove nessuno viene giudicato per ciò che sente e dice è lo spazio sia per aumentare la consapevolezza delle persone di ciò che succede in loro sia come individui che come collettività.

Tuttavia, il dialogo è anche dove è possibile elaborare le emozioni, poiché nella riflessione rispettosa e non giudicante tendono a cambiare sia forma che dimensione: la rabbia può diminuire e forse trasformarsi in accoglienza, la tristezza può diventare speranza.

Sta al leader di creare queste occasioni di scambio e riflessione per cogliere il Green shift come una grande opportunità per fare meglio e generare risultati eccellenti, non come una costrizione che viene imposta dall’esterno.

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