Esiste l’equazione della perfetta comunicazione?

Esiste l'equazione della perfetta comunicazione?

Uno dei più grandi assiomi della comunicazione è che "ogni comportamento è comunicazione. Non si può non comunicare."

Se anche, paradossalmente, ci sforzassimo a non voler comunicare nulla, eliminando parole e gesti e recludendoci in un mutismo assoluto, staremmo comunque comunicando la nostra testarda idea di non voler comunicare nulla. È importante, dunque, entrare nel tema della comunicazione interpersonale, base fondamentale dei rapporti umani; anche (e soprattutto) di quelli lavorativi. 

Che cosa vuol dire comunicazione interpersonale? 

Come molte realtà che si occupano dello sviluppo delle persone, Performant by SCOA ha sviluppato il proprio Il dizionario delle competenze manageriali  in cui le competenze manageriali vengono esplicate attraverso i propri comportamenti chiave. Secondo il nostro dizionario colui che è a un buon livello di comunicazione interpersonale ha particolare propensione all’ascolto, non interrompendo l’interlocutore che sta parlando. È qualcuno in grado di adattare il linguaggio in modo che sia comprensibile alla persona a cui sta parlando, contribuendo a creare un clima cordiale e positivo. Quando è lui a parlare, lo fa in modo chiaro e organizzato, facendo uso di pause in modo da lasciare intervenire l’altro. Dell’ascoltatore è attento ai messaggi verbali e non verbali (sguardo, posizione del corpo, cenni d’assenso…), comprende il suo punto di vista e, da ultimo, fa il punto della situazione per chiarire punti dubbi, concordare interpretazioni o conclusioni. 

Da questi comportamenti possiamo evincere che nella comunicazione ha una grande importanza anche la sfera non verbale, attraverso la quale facciamo (volontariamente o involontariamente) comprendere all’interlocutore una vasta gamma di emozioni: entusiasmo, noia, ansia, ottimismo…

Da un punto di vista comunicativo trovare l’equilibrio tra comunicatore e ascoltatore ed  essere allineati con il sentito e il messaggio è essenziale. La comunicazione non verbale (anche involontaria) ha un’influenza, infatti, che non può essere sottovalutata. Impossibile dimenticare, in questo senso, il dibattito televisivo tra John Kennedy e Richard Nixon del 1960. Se a livello di contenuti, Nixon sembrava il favorito degli americani, Kennedy aveva però dalla sua parte una grande disinvoltura comunicativa, una fermezza in grado da dare risalto alle sue parole. Nixon, al contrario, dimostrando agitazione e “sudando freddo” si era tradito. Alcuni sostengono che fosse questa immagine visiva la causa finale della sua perdita delle elezioni.

La comunicazione non riguarda solo ciò che si dice, ma comprende anche la comunicazione di tipo non verbale e para-verbale. Secondo le ricerche del professore della UCLA Albert Mehrabian ormai credute da molti come assodate, la nostra comunicazione si suddivide in non verbale (55%), para-verbale (38%) e verbale (7%). Sempre secondo questa linea di pensiero, governando il linguaggio del corpo e la voce, avremo la possibilità del 93% di comunicare il nostro messaggio con efficacia.

Le equazioni riguardanti l’importanza dei messaggi verbali e non verbali non sono applicabili quando un comunicatore non sta esplicitamente esponendo il proprio stato d’animo. Queste ricerche sono dunque efficaci solo quando la comunicazione riguarda emozioni e atteggiamenti.  Quando comunichiamo emozioni, le tre componenti del messaggio (verbale, para-verbale e non verbale) devono essere tutte e tre allineate e coerenti tra loro. In caso di incongruenza tra quanto detto e quanto trasmesso con voce e corpo, è molto più probabile che il destinatario del messaggio creda all’impatto non verbale della comunicazione.

Dai risultati di questi studi si sono, però, alzate voci contrastanti, che ne hanno denunciato evidenti limiti che li rendono impossibili da applicare nel mondo reale.

Il primo studio riguardava l’importanza relativa del significato semantico di una parola in connessione al tono di voce, venendo alla soluzione che la seconda era molto più influente della prima. Il secondo si concentrava sulle espressioni facciali e sul tono di voce. I risultati dei due studi sono stati, poi, combinati da Mehrabian, arrivando alla già citata equazione di 7:38:55.

Ma quali sono i limiti delle ricerche di Mehrabian? Innanzitutto, lo studio di un nastro preregistrato fa riferimento ad un contesto artificiale. Rimane anche controversa la metodologia secondo cui il professore avrebbe combinato le cifre oggetto dei due studi i quali, oltretutto, non contavano le sfumature di sentito, soffermandosi solo sulle emozioni positive o negative. Gli studi sono giudicati anche approssimativi per l’aver incluso solo donne e per aver escluso alcuni tipi di comunicazione non verbale, come la postura corporea.

Studi successivi hanno portato a risultati differenti rispetto a quelli di Mehrabian, minando ad uno dei criteri scientifici fondamentali, quello dell’affidabilità/ripetibilità dell’esperimento, rendendo la sua teoria definitivamente non attendibili.

Ma esistono delle certezze riguardo alla comunicazione interpersonale? Certo che sì. È certo che la non-comunicazione è impossibile e che questa avvenga sempre su due livelli: il livello del contenuto e il livello della relazione tra comunicatore e interlocutore (con che tono di voce dai un ordine? In tono dolce o severo?), con enorme importanza sia dall’aspetto verbale che non verbale.

Secondo la scuola di Palo Alto esiste anche un altro fondamentale assioma di comunicazione: lo scambio comunicativo simmetrico o complementare. Si parla di comunicazione simmetrica quando l’interazione avviene tra interlocutori che si considerano sullo stesso piano, esternando più facilmente le emozioni e, quindi, con la probabilità di fingere a scontri accesi e/o aggressivi. Si parla, invece, di scambio complementare quando c’è un rispetto che unisce i due individui dettato da una percezione di superiorità (es. datore di lavoro e dipendente, genitori e figli ecc.).

Stabiliti gli assiomi della comunicazione, si può dunque arrivare ad un’equazione perfetta? A livello matematico forse no ma a livello di comportamenti assolutamente sì. Comunicare con efficacia significa sapersi spiegare in ogni situazione con qualsiasi interlocutore, adattando il proprio linguaggio in modo da apparire sempre chiari. La vera chiave è la sintonia con l’interlocutore, sia a livello di linguaggio che di ascolto, e, soprattutto con sé stessi. Interessante, in questo senso, è ricordare la performance artistica “AAA_AAA” (1978) di Marina Abramovic e Ulay in cui i due artisti si urlano addosso per dieci minuti consecutivi. Se all’inizio della performance, i due sembrano respirare e gridare all’unisono, procedendo perdono connessione con l’altro e con sé stessi, perdendo ogni coordinata ed equilibrio e concludendo la recita esausti e svociati. Infatti trovare sintonia è fondamentale per i rapporti che costruiamo e sul luogo di lavoro contribuisce sia ad un contesto più armonico e accogliente che ad una performance personale più efficace.

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