Essere Business Coach. Sei domande a Francesco Solinas

Essere Business Coach. Sei domande a Francesco Solinas

A cosa serve il Business Coaching? Come orientarsi tra i tanti modi di esercitarlo? Per sanare queste curiosità, inauguriamo oggi una rubrica che, attraverso brevi interviste ai Business Coach di Performant by SCOA, indaga sul tema anche a livello esperienziale. 

Oggi tocca aFrancesco Solinas, specializzato nell’approfondimento della pratica di mindfulness nel mondo del business.

Cosa ti appassiona del Business Coaching?

Il Coaching è appassionante perché consente la possibilità di amplificare i propri talenti. Ognuno di noi ha dentro di sé pepite a volte inespresse perché poco visibili. Ed è bellissimo farle brillare.

Che cos’è, per te, il Business Coaching e a cosa serve?

Aiutare manager, professionisti e imprenditori a sviluppare nuova consapevolezza e prestazioni più efficaci in momenti cruciali del loro lavoro e di fronte a nuove sfide.

Il Business Coaching è utile perché a mio parere fa propria, mettendola in forma laica e focalizzata sul business, una famosa frase di S. Francesco: avere il coraggio di cambiare le cose che si possono cambiare e trovare la serenità di quelle che non si possono cambiare

Cosa facevi prima di diventare Business Coach e cosa ti ha spinto a diventarlo?

Sono stato manager e amministratore di azienda. In un momento difficile della mia attività professionale, un Business Coach mi ha aiutato a essere un manager migliore e a fare le scelte giuste. Ho ricevuto così tanto dal percorso di coaching che mi sono letteralmente innamorato di questa professione. E così, forse con un po’ di incoscienza, mi sono lanciato nella libera professione formandomi nel 2005 in SCOA – The School of Coaching per diventare un Executive Business Coach. 

Qual è il taglio che vuoi dare, con le tue competenze e idee, nel mondo del Business Coaching?

Secondo me i manager migliori sono quelli in grado di gestire al meglio le proprie emozioni, auto-motivarsi ed entrare in empatia con gli altri. Oggi, per me, la vera sfida è quella di non dare potere agli eventi esterni, cioè non lasciare che questi condizionino il nostro benessere e la nostra motivazione. La psicologia buddhista, attraverso la mindfulness, e quella cognitiva, attraverso l’intelligenza emotiva, sono una buona via per aiutare a rafforzare questo tipo di competenze.

Dalla tua prospettiva di business coach, quali sono le competenze da allenare per rimanere in equilibrio e organizzazione nel 2018?

Intelligenza emotiva, concentrazione, creatività, interdipendenza. E soprattutto, imparare a essere gentili con se stessi.

C’è un libro (o anche articolo, film ecc.) che ti senti di consigliare e che affronti, in modo implicito o esplicito, il tema del business coaching? In che modo lo affronta?

Mi sento di consigliare un film dal titolo “La leggenda di Bagger Vance (2000)“, dove un misterioso e straordinario caddy, Bagger Vance, incarna un esempio interessante di espressione del coaching, perché “Il golf è un gioco che non può essere vinto, ma solo giocato. Così io gioco e continuo a giocare. Gioco per i momenti che devono ancora venire, cercando il mio posto in campo” (Handy Greaves – Jack Lemmon).”

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