La forza del pensiero: Ritratto di Diane Laschet

La squadra di Performant è emozionata: oggi arriva Diane Laschet dagli Stati Uniti! Ci siamo già conosciute e viste tante volte, ma sempre e solo attraverso lo schermo del computer. Oggi si lavora così, insieme, ogni giorno ma su continenti diversi. Entriamo in ufficio e si sente una risata allegra, una bella risata limpida e luminosa. Allora è questa la risata di Diane! Non è metallica come a volte si sente in call, quando il wi – fi non funziona!

Diane Laschet vive negli Stati Uniti, appunto, a Washington DC, ma sarebbe ancor più corretto dire che è Cittadina del Mondo. Ha vissuto e lavorato tra gli Stati Uniti e l’Italia, ricoprendo ruoli sempre più importanti in contesti corporate internazionali, facendo una carriera fulminea.  “Ho iniziato a lavorare nell’ambito del turismo, facendo la gavetta” racconta, “sono sempre partita dal basso ogni volta che cambiavo settore di lavoro… ho sempre cominciato da zero per poi crescere. Non bisogna mai avere paura di fare un passo indietro, serve a crescere!” Pronuncia queste ultime parole guardandomi negli occhi con sguardo sincero, come a dire “questo è un consiglio!” , il primo di una lunga chiacchierata… 

Diane è fatta così: è convinta che ognuno di noi abbia il potere di allargare la propria sfera di influenza in maniera costruttiva e questo si rispecchia anche nello stile di leadership che esercita. E, probabilmente, è per questo che, mentre parla delle sue esperienze, nei suoi discorsi semina piccoli consigli e spunti interessanti, frasi che mi annoto nella mente: magari potranno essere utili per l’articolo oppure per la nostra, di esperienza. 

“La mia vita è stata caratterizzata dal fatto che mi sono ammalata giovane, avrò avuto più o meno 20 anni. ” Così Diane inizia il suo racconto “…e ho imparato in fretta quanto potere abbia la mente: non ho mai preso medicine e quindi ho dovuto cercare un altro modo per aiutarmi. Ho iniziato a leggere, frequentare corsi e a osservare  la mia mente e i pensieri che coltivo in modo da darmi il potere di affrontare e convivere al meglio con la mia malattia. Ho capito che c’è spazio per interpretare ciò che ci succede da tanti punti di vista diversi: non tutti gli ostacoli che incontriamo devono essere necessariamente male!”. Per Diane la dimensione della gestione del sé diventa la base e la leva principale in un contesto lavorativo.

Mentre Diane imparava a educare la propria mente passo per passo, si rendeva conto che questo nuovo approccio funzionava! “non è stato facile, ci è voluto impegno, d’altronde quella era la mia medicina”, dice. I risultati erano evidenti e valeva la pena provare tutto ciò anche su altri aspetti, come sul lavoro, per esempio.

All’inizio del mio percorso, al lavoro capivo di non essere efficace, non mi trovavo molto bene, non ero serena, volevo cambiare qualcosa… i rapporti con gli altri non erano veri – sono sempre stata molto tosta e qualcosa che mettevo in campo io induceva questo tipo di risposta”.

Insomma, Diane, nelle sue prime esperienze lavorative, ha cominciato ad osservarsi e non si trovava a suo agio nei contesti relazionali. “Copiavo i modelli che avevo davanti, erano tutti uomini molto competitivi… pensa, mi vestivo anche come loro per non essere da meno”. Sentiva che bisognava cambiare qualcosa “Così ho iniziato ad agire diversamente, ascoltando me stessa e chi mi stava attorno in modo più autentico e ho notato che anche in ufficio le cose iniziavano a migliorare”.

Partendo da un esercizio su se stessa intimo e personale, Diane ha visto come il proprio percorso poteva essere messo a servizio degli altri e dell’azienda e come chi le stava vicino rispondeva bene a tutto questo “non puoi obbligare gli altri a cambiare, lo devi fare tu migliorando te stesso”.

In questo processo, la lettura di uno dei classici per sulla crescita manageriale  The Seven Habits Of Highly Effective People di Stephen Covey – in Italiano Le Sette Regole per avere Successo” – è stata determinante. Questo libro descrive come gestire la propria vita in modo veramente efficace, attraverso sette regole come per esempio “pensa in modalità win win” oppure “cerca prima di capire, poi di essere capito”.

In particolare, Diane è rimasta colpita dall’insegnamento “ognuno di noi può allargare la propria sfera di influenza attraverso i propri comportamenti”.Questo è diventato un po’ il mio mantra” spiega “Da quel momento ho impostato la mia carriera e le mie relazioni su questo principio. Mi rendevo conto che, se io mi ponevo in un certo modo con gli altri, anche chi era attorno a me cambiava atteggiamento. Il segreto è nel vedere l’altro, e ciò che è bello in lui o lei. Mentre io crescevo, potevo aiutare a crescere… Che gran bella cosa!” 

“Quando ti concentri sulle cose belle di una persona, allora, automaticamente, quella persona tira fuori il bello che ha dentro. Il lavoro del Coach è quello di aiutare a vedere ciò che non sempre si riesce a vedere: ognuno di noi ha talmente tanti strati – quello che ci è stato detto, i consigli sbagliati, i commenti che feriscono – che facciamo fatica a vedere quello che c’è sotto”.

Questi principi hanno guidato Diane da un ruolo all’altro nella sua crescita professionale e l’hanno accompagnata fino a quando è diventata amministratore delegato di una grande azienda internazionale. Ha imparato, così, a esercitare uno stile di leadership focalizzata su contatto, collaborazione ed empatia che massimizza il potenziale di tutta l’organizzazione e delle singole persone che ne fanno parte.   

Il Coaching

Conclusa la carriera nel corporate, Diane si rende conto che aveva ancora molto da dare e che, in realtà, quello che sapeva fare meglio e che, in fondo in fondo, già faceva da parecchio tempo, era essere Coach. Inizialmente Life Coach, poi Executive Business Coach.

Per diventare Coach ho preso un Coach per me. Poi, confrontandomi, è emerso che la mia esperienza nel corporate poteva essere utile e molto richiesta per i contesti aziendali. Quindi, ho iniziato un percorso per diventare Business Coach”.

Secondo Diane il primo passo per diventare Coach è lavorare su se stessi: imparare ad osservarsi e imparare a vedere l’efficacia delle azioni. “Non si può predicare bene e razzolare male, puoi aiutare gli altri se hai provato in prima persona ciò di cui stai parlando”.

Diane ha sempre cercato di fare attenzione al fatto che chi lavorasse con lei stesse bene e di creare un ambiente sereno in azienda. Questa attenzione verso l’altro, è stata approfondita dallo studio e dalla pratica della filosofia di Happiness, una corrente di pensiero che mette in evidenza l’importanza di portare la felicità all’interno del proprio luogo di lavoro.

Nella pratica ciò si traduce nell’atto di processare in modo costruttivo le informazioni, di creare una cultura aziendale in cui è un bene ammettere di non sapere qualcosa e ricorrere al wisdom of the team, di guardare con ottimismo le situazioni in cui ci si trova. Insomma, stiamo parlando del “semplice” wellbeing, di trattare in un certo modo i colleghi, i membri del proprio team, i fornitori…

Mentre Diane mi spiegava la definizione di Happiness, a un certo punto, esclamo incredula: “Ma davvero c’è bisogno di insegnare questo tipo di cose?! tutti sappiamo che bisogna essere gentili!” Lei sembra divertita dalla domanda “le persone pensano di conoscere già tutto questo, di sapere come ci si deve comportare… invece, poi capita che giovani appena assunti bellissimi, freschi, bravissimi, dopo un paio di mesi siano completamente trasformati. Se il management è disattento a livello umano, tutto il team ne risente. Insomma, la gentilezza tende a sparire quando ci si trova in un contesto che non la coltiva”.

Devo uscire dalla stanza, tra pochi minuti Diane ha una call, mi alzo, faccio per uscire, ma di colpo mi viene una domanda:

Diane, ma in che azienda ti piacerebbe un giorno fare Coaching?” Sicuramente una con una leadership che si mette in discussione, che si rende conto che forse non sa tutto… adesso ci penso, poi ti faccio sapere” Esco dalla stanza, chiudo la porta e sento la sua voce allegra salutare “Eccomi!! come state?”

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