Cosa pensi di LGBTQ+? La tua risposta racconta la tua età

Giugno si avvicina e mentre aspettiamo il Pride Month, ha senso riflettere e comprendere la nostra relazione con i ruoli che interpretiamo non solo sul lavoro, ma anche nella vita privata, poiché tra questi esiste un certo nesso. Nessun altro tema organizzativo entra così in profondità in un territorio valoriale e identitario, facendo emergere i nostri ideali in relazione a come bisogna “stare nel mondo” come quello dell’inclusione delle diversità.

In questa categoria vengono inserite indubbiamente sfide organizzative molto diverse l’una dall’altra. Il concetto di D&I (Diversity & Inclusion) è spigoloso, culturalmente complesso e difficile da gestire nella sua vastità. Il “cosa” viene considerato “diverso” e l’interpretazione delle azioni connesse all’agire inclusivo dipendono entrambe dal contesto di riferimento e dalle persone che lo abitano. Il primo definisce il perimetro, crea i cluster tra ciò che provocatoriamente possiamo chiamare “normale” e ciò che la maggioranza (o chi ha il potere) definisce “diverso”.

Il secondo riguarda, invece, le attività che favoriscono il sentiment di inclusione ed appartenenza ad un contesto aziendale e, spesso, frequenta lo stesso territorio con buone pratiche manageriali come l’ascolto e la valorizzazione delle proprie risorse e la volontà di voler comprendere i bisogni di chi è vicino.

Le organizzazioni sono sempre più variegate e ciò influenza D&I

In un mondo sempre più interconnesso e interdipendente, è chiaro come le aziende abbiano un’anima sempre più eterogenea, non solo per cultura o per nazionalità, ma anche per questioni di genere e appartenenza generazionale. La nostra nazionalità o un determinato imprinting culturale o, ancora, la nostra appartenenza ad una generazione o l’altra influenza la nostra relazione con il concetto di “normale” e di “diverso”. L’uomo non è solamente biologia, ma anche, e soprattutto un costrutto culturale, un risultato del mondo e dei tempi che vive.

In questo senso, per esempio, nei Paesi Nordici, temi come l’inclusione femminile e le pari opportunità sono meno sentiti e non più oggetto di accesi dibattiti, perché, ormai, sono sempre più numerose le donne che fanno carriera, riuscendo ad arrivare ai vertici della politica e delle aziende. Nell’attuale Governo Finlandese, cinque capi di partito sono donne, di cui quattro under 40, piuttosto ci si potrebbe chiedere: Dove sono gli uomini nella scena politica Finlandese?

Le giovani generazioni si relazionano analogamente diversamente verso i temi LGBTQ+ proprio perché per tanti di loro essere etero o gay non è più un tema di discussione e, ancor di meno, oggetto di battaglia sociale. Che ognuno viva la dimensione che sente propria, dicono loro. Capiamo meglio di cosa si tratta.

Le questioni di genere possono essere mainstream?

La corrente LGBTQ+ ormai da tempo è diventata, anche se non propriamente mainstream, un elemento della nostra quotidianità.

Nei programmi televisivi, da tempo, assistiamo alla presenza di figure come quella di Cristiano Malgioglio per nominarne uno, vestite in modo appariscente, spesso con comportamenti eccessivi, e che appaiono come una parodia del mondo LGBTQ+.

Oggi, come nel passato, questi personaggi hanno il compito di essere un elemento di distrazione e la loro presenza è studiata a fini televisivi e per arricchire lo show.

A chi osserva attentamente risulta chiaro che queste figure, in realtà, non sono mai dei protagonisti veri e propri, ma ricoprono sempre dei ruoli di sostegno, di affiancamento per rendere la trasmissione più viva. I loro atteggiamenti sono studiati per lo spettacolo e spesso sono in contrapposizione con la quotidianità di tanti membri della comunità LGBTQ+.

Inutile infatti dire che tante sono le coppie gay che si vestono e comportano come uomini e donne mainstream, hanno sogni normalissimi come fare un mutuo per comprarsi una casa, crearsi una famiglia, avere un quieto vivere. Tanti sono i transessuali che si vestono in maniera assolutamente sobria pur sprimentando una femminilità o mascolinità di preferenza che non corrisponde alla cultura etero normata di una volta.

I luoghi comuni, dettati anche, e soprattutto, della cultura pop televisiva, hanno reso la percezione della comunità LGBTQ+ come qualcosa di stravagante ed eccentrico. E, forse ad aver accentuato il malinteso è lo stesso simbolo dell’arcobaleno che, certamente incorpora valori importanti quali la pace e l’inclusione, ma che con la sua varietà di colori allude a un prato in eterna fioritura.

I role models o l’idea di normalità viene creato nell’infanzia

I role models culturali e gli ideali che perseguiamo vengono creati già nell’infanzia. La narrativa che viene raccontata ai bambini li condizionerà, in un modo o nell’ altro, anche da adulti.

L’idea di eroe o protagonista ci arriva dalle storie con cui veniamo in contatto nell’infanzia. Su questo fronte, per esempio, il film Frozen il Regno di Ghiaccio, ha dato un’interpretazione nuova di gender roles e leadership al femminile alle bambine di oggi, rompendo vari stereotipi del passato. Nel film, la protagonista Elsa deve affrontare se stessa e i poteri che possiede. Elsa vive una battaglia di scoperta e crescita dei suoi poteri per diventare la regina che solo lei può essere. È una storia di una donna coraggiosa che affronta il suo destino. Ma Frozen è anche la storia della sorella minore di Elsa, Anna che prima si innamora del principe vigliacco, e poi di Kristoff, un giovane tanto gentile ma forse non proprio brillante.

Con questo film di animazione si rompe, quindi, l’idea del “e vissero per sempre felici e contenti” e del fatto che è il principe a salvare la principessa. L’amore non è unico, viviamo varie storie nella nostra vita, alcune finiscono, mettiamo questo in conto, così nel privato come nel lavoro.

Questo aspetto esplicita il carattere fluido della contemporaneità. Con dati alla mano i matrimoni celebrati in UE negli ultimi 10 anni sono circa 1,4 milioni, mentre 0,7 milioni sono i divorzi.

Stessa fluidità vediamo anche nel cambio di lavoro dove mediamente un Millennial ha tra 6 e 10 diversi datori durante il suo percorso di lavoro in UE. È proprio in questa fluidità da una relazione all’altra, nel privato e nel lavoro, che si attivano competenze fondamentali come una buona gestione del sé, intelligenza emotiva e analisi – come scrivo nel mio libro Conoscere la giusta distanza. Sfide di management in un mondo complesso.

Ma torniamo a Frozen. Infine, racconta anche l’amore di due sorelle. Anche Anna, come Biancaneve, verrà salvata dal bacio del vero amore, ma questa volta non ci sarà alcun principe azzurro, perché a salvarla sarà il bacio della sorella!

Dal 2013 Frozen è un cult per le bambine, perché è riuscito a creare una nuova narrativa, dove i protagonisti sono due giovani donne intraprendenti e piene di energia. Se Frozen ha influenzato l’interpretazione del ruolo non solo della donna, ma anche quello della giovane donna, in quest’ottica diventa interessante chiedersi quando arriverà il primo film Pixar o Disney con protagonisti omosessuali o transessuali e, soprattutto, la cultura mainstream sarà pronta ad accettare produzioni di questo tipo? Tuttavia, sono già innumerevoli le letture di libri per l’infanzia in cui si racconta di famiglie con due genitori dello stesso sesso, per esempio, Perché hai due papà? di Francesca Pardi.

 

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Le giovani generazioni approcciano il tema della differenza di genere in modo diverso

Quest’anno il Festival della Canzone Italiana di Sanremo ha visto la partecipazione di Mahmood e Blanco, due giovani uomini che hanno cantato “Brividi”, una canzone d’amore che, sul palco dell’Ariston, è stata interpretata dai due cantanti romanticamente. Poco importava la sessualità dei due giovani, il messaggio che arriva forte e chiaro è ama e lascia amare indipendentemente dal proprio sesso. Se da un lato sembra che l’esibizione volesse essere un statement quasi politico di presa di posizione verso la liberalizzazione dei ruoli maschio femmina, omosessuale e eterosessuale; dall’altro, in varie interviste, i due hanno dichiarano fermamente che il tema non è di loro particolare interesse e ciò combacia anche con le ricerche fatti sull’approccio che le giovani generazioni hanno verso il gender. Non soltanto le giovani generazioni accettano e colgono la comunità LGBTQ+ in maniera diversa dalle generazioni precedenti, ma si identificano in essa molto più di prima. Secondo uno studio di GLAAD Acceleration study il 20% della Generazione Z (nati tra il 1997 e il 2012) negli USA si definisce come “Gay”, “Transgender” o “Gender Neutral”. Nella fascia di età tra 52 e 71 anni, la percentuale di persone a dichiararsi tale è pari a 7%. Dallo stesso studio emerge inoltre che soltanto il 48% si definisce come puramente eterosessuale mentre i rimanenti esprimono gradi diversi di bisessualità.
Se il gap tra Baby Boomers e Generazione Z è enorme, le differenze verso la percezione relativa alla cultura di genere è differente addirittura tra i Millennial (nati tra 81 e 96) e la Generazione Z. Secondo uno studio dell’azienda di marketing Wundermann Thomposon, il 56% dei giovani americani di età compresa tra i 13 e i 20 anni ha affermato di conoscere qualcuno che utilizza pronomi neutri rispetto al genere come “they”, “them” o “ze” (in italiano “loro”), rispetto al 43% delle persone di età compresa tra 28 e 34 anni. Interessante, infatti, diventa anche il lessico e la terminologia collegata ai Gender Roles che risulta essere di interpretazione difficile addirittura ai Millennials, figuriamoci alle generazioni precedenti.

Gender e comportamenti

Perché le organizzazioni dovrebbero considerare questo cambiamento in atto? 

Certamente le giovani generazioni sono clienti e consumatori. Interessanti, in questo senso, sono i comportamenti della Generazione Z in relazione allo shopping che dimostrano un radicale cambio di tendenza in relazioni ai gusti e desideri: oggi giovani donne acquistano moltissimi prodotti tradizionalmente pensati per un target da uomini – come elettronica e sportswear –  e giovani uomini che sono diventati consumatori di  prodotti per la cura della pelle, di cosmetica e di make-up – 51% della cosmetica viene acquistata dalle donne, mentre 49% dagli uomini della Generazione Z.

Il fatto che i giovani della Generazione Z non si definiscono attraverso un solo stereotipo di genere, ma sperimentino modi diversi di essere se stessi e cerchino di plasmare le loro identità individuali nel tempo, condiziona molto il loro comportamento di acquisto. La fluidità di genere è un luogo in cui sperimentare, testare e cambiare.

A loro piacciono le cose che sono unisex e non amano quelle aziende e marchi che dividono tutto in “maschio” e “femmina”. Secondo lo studio di GLAAD solo il 44% della Generazione Z ha affermato di aver sempre acquistato abiti progettati per il proprio genere.

Pochi sono i Millennias e ancor meno i Baby boomers che passano dal reparto del sesso opposto per vedere se trovano qualcosa che a loro interessa.

Quindi l’acronimo LGBTQ+ è solo una “fuffa” inutile, un’isteria di una piccola minoranza che conta poco?

Forse sarebbe così se la relazione verso LGBTQ+ delle future generazioni fosse come quelle delle generazioni precedenti, ma così non è! La Generazione Z ingloba worldwide circa 2,47 bilioni (circa il 32% della popolazione del mondo) di persone e in Europa e America circa 400 milioni.

Questo “popolo” chiede bagni Gender neutri e format di modulistica e documenti nuovi, dove non viene indicato solo “maschio” o “femmina”, ma in cui si possa mettere X anche su “altro”.

Sono persone che si fanno chiamare “they” e comprano abiti sia nel reparto uomo che donna. Aziendalmente, sono all’ordine del giorno nuovi temi in relazione a paternità e maternità per famiglie con due genitori dello stesso sesso. Aziendalmente, sono all’ordine del giorno nuovi temi in relazione al gender.
Che politica instaurerà l’HR per le famiglie con genitori dello stesso sesso? Come gestire e canalizzare nel fare comune persone che affrontano questi temi in maniera diversa?

Con la loro Gender Neutrality la Generazione Z scombinerà tutti i dipartimenti dell’azienda dal reparto vendita al marketing, dall’HR e all’amministrazione, rivoluzionando certamente anche le pratiche di management.

Tutto questo sta già succedendo. Siete pronti?

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