La realtà LGBTQ+ e come accoglierla in azienda

266 milioni: il numero approssimativo di persone LGBTQ+ nel mondo, ovvero il 3,5% della popolazione globale, dunque un pool di talenti e consumatori vasto. 10%: riduzione della produttività di una persona che deve nascondere la propria identità al lavoro. 3%: l’aumento potenziale del PIL di un intero paese che implementa azioni e iniziative di protezione contro le discriminazioni.

Questi dati forniti da Out Leadership, società che si occupa di tematiche di inclusione della comunità LGBTQ+ nel business, parlano chiaro. Dimostrano che si tratta di un tema di un certo peso, non solo perché coinvolge una porzione consistente della società, ma anche perché ha un impatto rilevante sulle aziende. La sua importanza non si limita all’aspetto valoriale ed etico – senza dubbio centrale: l’inclusione è essenziale al business, perchè ne permette il massimo sviluppo. Può essere considerata come il motore del business, ciò che lo fa fiorire e determina il successo delle aziende. Ce lo conferma un recente studio di McKinsey: le aziende attente all’inclusione della diversità mostrano un aumento del 35% del rendimento e della produttività.

Un atteggiamento inclusivo, di protezione dalle discriminazioni infatti è condizione necessaria per la piena espressione della persona, consente la valorizzazione dei talenti individuali e di conseguenza la crescita organizzativa. Questo è rilevante già in sede di colloquio, e fa la differenza sulla vita lavorativa quotidiana e sulla carriera dei singoli: creare un clima inclusivo significa creare le condizioni per cui il candidato, o il dipendente, può far emergere a pieno il proprio potenziale, mettere a disposizione le proprie risorse senza limiti o freni, senza paura di non essere accettato, ma anzi con il desiderio di dare il proprio contributo all’organizzazione. Il senso di appartenenza, generato dalla possibilità di essere autentici e di trovare lo spazio per essere se stessi, è fondamentale per poter dare il meglio di sé, sul lavoro come nella vita privata. L’inclusione delle diversità stimola la creatività e l’innovazione, permette di raggiungere nuovi segmenti di clienti e di avere un’offerta più ricca e variegata. Così, l’inclusione significa team più performanti, idee più innovative e brillanti, anticipazione del cambiamento, attrazione dei talenti e, in generale, maggiori opportunità di business.

Se da una parte l’inclusività fa la differenza sul benessere e sul funzionamento delle organizzazioni, dall’altra parte il mondo del business può fungere da cassa di risonanza per la diffusione di questa cultura, apportando notevoli benefici e progressi concreti nella società. A questo proposito, nel 2016, in un discorso tenuto di fronte ai leader aziendali sulle questioni LGBTQ+ al World Economic Forum a Davos, Zeid Ra’ad Al Hussein, l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani ha sostenuto che “se vogliamo ottenere un progresso globale più rapido verso l’uguaglianza per le persone lesbiche, gay, bi, trans e intersessuali, le imprese non solo dovranno rispettare le loro responsabilità in materia di diritti umani, ma dovranno diventare agenti attivi del cambiamento”.

La volontà delle aziende di agire e incidere attivamente su queste questioni è chiara. Ma qual è la situazione globale e italiana, sul tema?

L’inclusione nelle aziende del mondo
Un utile riferimento di framework può essere quella delle Nazioni Unite per i diritti umani che hanno scritto i Global LGBT Standards for Business, una guida ufficialmente riconosciuta che contiene gli standard che le imprese devono mantenere per combattere le discriminazioni e assumere invece un approccio inclusivo. Questi fondano su 5 principi:

  • Conoscere e dimostrare rispetto per i diritti umani;
  • Eliminare la discriminazione;
  • Fornire supporto;
  • Prevenire altre violazioni dei diritti umani;
  • Agire nella sfera pubblica.

Ad oggi, 260 delle più grandi aziende del mondo hanno espresso il loro sostegno al Global LGBT Standards For Business. Un numero non irrilevante, ma che anzi costituisce un’iniziativa di responsabilità sociale d’impresa di grossa portata.

Molte, sono le aziende che hanno intrapreso iniziative per celebrare la comunità LGBTQ+, in particolare in occasione dell’attuale mese del Pride, e che si muovono attivamente ogni giorno per favorire l’inclusione. La Marvel, per esempio, ha lanciato la nuova versione di Capitan America, ispirata alla comunità queer. Apple e Nike, da sempre impegnate su questo fronte, quest’anno si sono riunite in una collaborazione da cui ha preso forma il cinturino con i colori dell’arcobaleno. Ancora Lego, con il nuovo set di 11 coloratissime figure, disegnate proprio per rappresentare la comunità LGBTQ+. Burberry, IBM e Virgin Group invece si sono distinte per l’impegno, l’attivismo e l’inclusività dello stile di leadership dei loro dirigenti.

L’inclusione in Italia: dove siamo?

E in Italia, a che punto siamo? Così come nel resto del mondo, in generale i maggiori progressi sono ravvisabili nelle multinazionali e nelle aziende di grandi dimensioni. Barilla, prima ancora dell’ufficializzazione della Legge Cirinnà del 2016, aveva dichiarato di aver avviato in azienda un percorso dedicato all’inclusione e alla diversità, mostrando un positivo cambio di direzione dopo le famose esternazioni del 2013, quando invece si era professato sostenitore della “famiglia tradizionale”. Pfizer, nel 2019 ha manifestato apertamente a favore della comunità LGBTQ+ esponendo grandi bandiere con i colori dell’arcobaleno sulla facciata della sede di Roma e creando un arredo simile in alcuni spazi interni come il bar dei dipendenti. In generale, tra le aziende italiane molto ‘inclusive’, troviamo Roche, Google (sede italiana), Intesa, Telecom.

Molte sono quindi le aziende, anche in Italia, che non solo in occasione del mese del Pride manifestano un significativo impegno, attraverso l’organizzazione di iniziative di sensibilizzazione e l’implementazione di politiche inclusive. Tra le PMI spicca Vector, azienda attiva nell’import-export, per cui la diversità rappresenta un vero e proprio manifesto aziendale e che prevede durante tutto l’anno eventi, incontri di riflessione su tematiche diverse, come anche la maternità, la disabilità, la famiglia ecc..

Il dato più preoccupante sembra ancora riguardare invece le piccole e medie imprese. Secondo il sondaggio Lgbt diversity Index del 2019 condotto dall’associazione Parks su un campione di 61 aziende, il 64% di esse ha una politica aziendale di non discriminazione formalizzata che comprende sia l’orientamento sessuale che l’identità di genere. Un buon risultato, di fronte al 10% che ancora non ce l’ha. 8 aziende su 10 si sono adeguate alla legge Cirinnà, che prevede il riconoscimento delle unioni civili e l’estensione dei diritti a tutte le coppie, omosessuali ed eterosessuali.

Solo un’azienda su dieci ha linee guida formalizzate per la transizione di genere: il 66% non le possiede proprio. Solo il 46% delle realtà coinvolte fa formazione ai dipendenti sulla diversity legata ai temi lgbt, anche se 6 aziende su 10 hanno un responsabile diversity lgbt. Per quanto riguarda i rapporti nei confronti degli stakeholder, il 41% comunica le proprie politiche e attività sull’inclusione. Solo il 13% pretende che anche i fornitori seguano le stesse politiche di inclusione sul tema.

Ma quali comportamenti possono e devono adottare le aziende, per assicurarsi disincentivare eventuali discriminazioni e implementare un’inclusione reale, che non si limiti alla mera tolleranza ma si trasformi in ricerca attiva e consapevole della diversità?

Verso una leadership inclusiva

Tornando ai Global LGBT Standards for Business vediamo che sono relativamente vaghi, poco prescrittivi. Uno degli aspetti più salienti di questi standard è proprio che incoraggiano le aziende a “trovare la propria voce”, ovvero la propria modalità per promuovere i diritti delle persone LGBTQ+, riconoscendo che ogni azienda ha la possibilità e anche la libertà di agire in base al contesto e al mercato in cui si muove. La trasformazione di un’azienda in un contesto più “permissivo e aperto” è graduale e richiede l’implementazione di programmi di sviluppo manageriale sul tema, una presa di posizione chiara da parte del vertice dell’azienda e la comunicazione interna ed esterna di ciò ma anche un allenamento quotidiano di tutte le persone dell’organizzazione per imparare ad agire in modo inclusivo.

Quali sono dunque, più nello specifico, i comportamenti che il Manager può adottare per assicurarsi uno stile di leadership inclusivo? E quali competenze allenare per valorizzare a pieno le risorse disponibili e consentendo ai propri dipendenti di esprimersi al meglio?

  • Sensibilizzazione: è importante agevolare l’informazione e la conoscenza su questi temi, organizzando incontri, eventi e attività che contribuiscano concretamente a diffondere una cultura inclusiva. Non solo. Spesso infatti chi si comporta in modo discriminatorio non è consapevole di farlo, e nemmeno convinto: le sue azioni non sono frutto di una volontà di discriminare o etichettare certe categorie. Una delle difficoltà maggiori è proprio eliminare quei pregiudizi che agiscono a livello inconscio, che però causano comportamenti che, anche se in buona fede e non intenzionalmente, impattano negativamente su altre persone. In questo senso, alcune aziende hanno usufruito di un videogioco, “diversity@work” disegnato dalla startup WorkWideWoman, proprio con l’obiettivo di far emergere le dinamiche discriminatorie implicite sul luogo di lavoro;
  • Ascolto attivo e sospensione del giudizio: imparare ad ascoltare chi si ha di fronte, liberandosi da ogni tipo di valutazione ma con l’obiettivo di comprendere i bisogni e le esigenze, e valorizzare il talento, le capacità e i punti di forza;
  • Lasciare spazio affinché i propri dipendenti e collaboratori possano essere autenticamente se stessi, ed esprimersi a pieno;
  • Orientamento ai risultati, ponendo attenzione sul potenziale di ciascuno, sul contributo che può dare al team e su un sistema premiante realmente meritocratico;
  • Genuina curiosità verso l’altro: un atteggiamento autenticamente inclusivo non significa disinteresse per le scelte o le peculiarità dei collaboratori. Implica invece un interesse autentico per l’interlocutore, che gli consenta di sentirsi davvero apprezzato per la persona che è, a tutto tondo, e di conseguenza davvero valorizzato. Questo è importante anche in fase di selezione, per permettere al candidato di non sentirsi nè giudicato né ignorato, e in modo che non abbia paura o fastidio a far emergere lati e aspetti di sé più personali.

In ogni caso, al di là di ciò che può fare l’azienda, come entità e quindi a livello di mission, vision, di brand image e di decisioni ‘ai piani alti’, è importante riconoscere che la responsabilità è di tutti, indipendentemente dal potere, dal grado, dalla posizione, dalla gerarchia. Ciascuno, nel proprio ruolo, contribuisce e influenza le dinamiche organizzative e collettive, e pertanto può e deve incidere, adottando quotidianamente comportamenti e accorgimenti il più possibile inclusivi.

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