Leadership musicale e aziendale a confronto: Intervista a Andrea Porta

Leadership musicale e aziendale a confronto: Intervista a Andrea Porta

Andrea Porta è un cantante lirico che da oltre vent'anni frequenta con successo i palcoscenici internazionali più prestigiosi: ha cantato al Teatro alla Scala di Milano, all'Opera di Roma, al S. Carlo di Napoli, allo Staatsoper di Monaco, al Semperoper di Dresda, al Festival di Salisburgo. Ha collaborato con artisti come Riccardo Muti, Placido Domingo, Dario Fo', Franco Zeffirelli, Lorin Maazel, Luca Ronconi.

Parallelamente all’attività artistica ha coltivato da sempre la passione per la direzione corale e l’insegnamento del canto e dell’arte scenica, collaborando con conservatori di musica italiani e accademie di canto internazionali.

Come sei riuscito a ottenere i tuoi risultati di carriera? 

Ho scelto di investire sul mio sviluppo professionale non accontentandomi di un ruolo specializzato in un unico ambito, ma direzionando la mia professione contemporaneamente su tre vie: attività solistica, direzione di coro e insegnamento, una diversificazione che è stata determinante per la mia crescita perché mi ha permesso di rendere interscambiabili gli apprendimenti da un campo professionale all’altro.

In tutte queste attività c’è un seme, un germoglio complementare, un denominatore comune che mi piace chiamare “esercizio di Leadership”: l’ho praticato nel lavoro di squadra col mio coro, nella padronanza personale sul palcoscenico e nella trasmissione della passione e del mestiere ai miei allievi.

Parlando e frequentando manager d’azienda, ho notato come l’esercizio della leadership in ambito musicale sia molto simile a quello aziendale, motivo per cui mi capita sempre più spesso di essere chiamato all’interno delle organizzazioni per portare la mia esperienza artistica, che con mia grande sorpresa offre tanti stimoli anche nel mondo del business.

Come esprime la leadership un cantante lirico?

Inizierei con il sottolineare che il cantante lirico durante la sua attività professionale si trova continuamente esposto a una serie incrociata di giudizi e richieste che sono per lo più fonte di stress emotivo.

Sei giudicato dal pubblico, dai critici, dal direttore artistico che ti ha scritturato, dal direttore d’orchestra, dal regista, dal tuo agente e, non in ultimo, sei giudicato da te stesso. Trovo tutto questo anche nel manager d’azienda, che deve soddisfare aspettative continue dal capo, dai clienti, dal proprio team, dall’headquarter, ecc.

“Ogni volta che salirai sul palcoscenico – mi disse uno dei miei primi maestri di canto – sarai come San Sebastiano: trafitto da decine di frecce non potrai fare altro che continuare a prestare il fianco, tenere aperto il petto e aggrapparti con tenacia alla motivazione profonda che ti ha spinto a intraprendere un cammino professionale così complesso.”

Direi che la dote primaria sia la resilienza allo stress, alle tensioni, alle incomprensioni, alle critiche, ai cali di forma psico-fisica e quindi vocale, alla naturale oscillazione di un lavoro tanto meraviglioso quanto instabile e precario.

Quando entro in contatto col mondo del business noto che la resilienza è un tema centrale, come capacità di rispondere positivamente a momenti fortemente stressanti. Credo che ci sia in questo senso molta attinenza tra campo musicale e organizzativo.

Ricordo in proposito un episodio chiave della mia carriera: era il 2001, debuttavo in un ruolo importante al Teatro dell’Opera di Roma, tempio della lirica italiana e internazionale. Al termine della mia “aria di sortita” ricevetti un riscontro freddino dal pubblico, qualcuno espresse a voce alta il suo disappunto e il mio corpo si inchiodò dalla paura… non ne voleva più sapere di esprimersi, cantare, lasciarsi andare. Terminato il primo atto mi chiusi in camerino, l’ansia era a mille, mi guardai allo specchio e pensai “Andrea, tu non sei solo questo, non sei solo questa paura e questa ansia, sei anche altro, sei tutto il lavoro fatto in questi anni per costruirti una professione… adesso vai sul palco e canti a tutti ciò che sei!”. Al termine dell’opera ebbi molti applausi e nessuna contestazione. Ero riuscito a far virare a mio favore un debutto che pareva destinato a essere molto deludente!

Questa capacità di reagire nell’immediato agli eventi è dote fondamentale in questo tipo di carriera, così come fondamentale è la forte “presa sul pubblico” che un artista deve avere: perché qualcuno dovrebbe pagare il biglietto per ascoltarti cantare e vederti recitare? Che cosa giustifica questa scelta? Cosa sai dare tu al pubblico che altri non sono in grado di dare?

Il carisma, il fascino, la leadership sono elementi imprescindibili per chi vuole approcciarsi a questa professione: la voce è solo una delle tante doti da mettere nel bagaglio di un buon cantante lirico.

Ecco, penso che anche in azienda un leader non possa appoggiarsi unicamente alla propria capacità tecnica, che nella musica è la voce, ma debba far leva su componenti “soft” che facciano la differenza: la motivazione, dare voce al bisogno di esprimersi, la presenza posturale, la gestione delle proprie emozioni, la resilienza, tutte caratteristiche che vanno allenate e che poco c’entrano con la competenza tecnica.

E quando dirigi il tuo coro? Come gestisci il Team?

Il podio del direttore d’orchestra o di coro è un luogo molto scomodo e di grande solitudine.

Hai di fronte un gruppo di musicisti compatti tra loro, una squadra che si spalleggia, che suona insieme, che gioca insieme ( to play in orchestra, jouer dans l’orchestre, im Orchester spielen…), hai alle spalle un pubblico che non vedi, sei solo fisicamente e psicologicamente, sei al centro di una macchina molto complessa che si muove seguendo le tue indicazioni e di cui tu sei il principale responsabile; direi che basti questo per comprendere l’estrema difficoltà del ruolo e la necessità di esprimere una forte leadership.

Mi viene in mente l’aspetto solitario del leader di azienda quando prende decisioni: deve crederci, non vacillare al cospetto dei giudizi esterni, perché la sicurezza che infonde negli altri è proporzionale alla fiducia che ha dentro di sé.

Quando dirigo il coro mi trovo continuamente a dover gestire la frustrazione: ogni volta che scrivo un pezzo, che lo insegno al coro o che lo eseguo in concerto ho in testa un suono, un colore ben preciso che vorrei trasferire a quell’arrangiamento. Cerco in ogni modo di ottenerlo, di farlo comprendere e assimilare al coro ma inevitabilmente mi trovo a dovermi adattare al cambiamento. La voce del coro non è e non sarà mai la mia; la mia idea deve riplasmarsi per trovare una nuova formula, deve passare attraverso il coro e la sua personalità per essere digerita e rimodellata.

Questa è in realtà una enorme ricchezza, una grande opportunità che il coro mi offre, ma non sempre è facile recedere dall’idea primigenia accogliendo il nuovo e gestendo la frustrazione che da tutto ciò inevitabilmente ne deriva.

Ricordo la prima prova di “Gianni Schicchi” diretto da James Conlon al Festival dei due Mondi di Spoleto: cantanti schierati a semicerchio scorremmo tutta l’opera senza mai una interruzione del direttore che ci dirigeva con piccoli gesti e sguardi sorridenti.

Al termine disse: “Adesso che ho sentito le vostre voci e che ho compreso la vostra personalità musicale e artistica posso creare un prodotto adatto a noi, a questo gruppo di lavoro, posso concertare l’opera con la certezza che il mio pensiero musicale troverà in voi una immediata consonanza”.

Inutile dirlo, quel “Gianni Schicchi” fu un successo strepitoso!

Questo per me è un esempio straordinario di leadership: nessuna idea preconcetta, nessuna imposizione precostituita, grande capacità di ascolto, di condivisione e di adattamento alle esigenze del “qui ed ora”. Così si crea un gruppo, così si rendono tutti partecipi al processo creativo.

Penso che anche chi guida un team aziendale debba necessariamente fare i conti con le proprie aspettative deluse verso i suoi collaboratori. Gestire i delicati processi di delega, ricercare con pazienza “l’accordo tra persona e ruolo” e soprattutto stare in apertura ai mutamenti del contesto, sono esempi universali che valgono in tutti i campi professionali.

Aprirmi al mio disagio come fonte di opportunità al cambiamento è stato per me un grande apprendimento, molto utile per una espressione efficace della mia leadership.

E la tua esperienza di insegnamento? Come fare in modo che il proprio successo sia domani quello di altri? 

La leadership di un didatta è molto importante. È un tema che vedo molto attuale

Anche nel mondo aziendale: il trasferimento del sapere dai senior ai junior nelle organizzazioni, così come dal maestro di canto al suo allievo nel mondo artistico, è un passaggio importante per generare un’eredità proficua.

Oggi sento parlare di programmi di mentoring nelle organizzazioni, non credo però che basti il semplice trasferimento del sapere da chi ha seniority a chi non ce l’ha. È un meccanismo troppo meccanico che manca del calore necessario.

Ho avuto la fortuna, nel 2010, di conoscere il Maestro Carlo Meliciani, con cui tuttora condivido un percorso di studio e di crescita artistica e vocale che mi ha cambiato nel profondo, come cantante e come didatta.

Carlo oggi ha novant’anni, prima di essere un grande insegnante è stato un baritono di fama internazionale negli anni 50′, 60′ e 70′, quella cioè che ancora oggi viene considerata la “golden age” della lirica. Da lui ho imparato le caratteristiche fondamentali della leadership di un didatta.

Innanzitutto è indispensabile che al termine di ogni lezione l’allievo abbia sempre la sensazione di aver progredito, di aver compiuto uno step di crescita: questo prevede una capacità di analisi profonda del Maestro che deve in pochi minuti saper monitorare e comprendere lo stato psicofisico dell’allievo per poter costruire una lezione adatta al momento. Questa capacità di “improvvisare” costruendo un percorso didattico aperto e mai rigido può nascere solo da una profonda esperienza in campo prima artistico e poi didattico e da una leadership carismatica in grado di scegliere in tempi brevi la strada più giusta, guidando l’allievo verso ostacoli adatti alla sua condizione.

Altro nodo fondamentale dell’attività di insegnamento è l’esempio, strada maestra per poter trasmettere le nozioni tecniche necessarie alla crescita di un allievo.

Lo studio del canto è di per sé estremamente complesso e misterioso: a differenza di tutti gli altri strumenti la voce è strumento del corpo, non abbiamo in mano qualcosa di esterno a noi che produce suono, siamo noi stessi a produrre suoni e melodie senza la possibilità di vedere fisicamente quello che succede all’interno del nostro corpo/strumento.

L’esempio del Maestro diventa per questo motivo ancor più indispensabile: ascoltando la sua voce guida, l’allievo comprende e assimila le corrette posizioni del suono, sperimentandole successivamente sul suo corpo/strumento.

Il Maestro in questi casi esprime una leadership che oserei dire “corporea”, dove il carisma nasce dalla sua capacità di sentire la propria voce interiore e trasmetterla con generosità all’allievo. L’allievo, dal canto suo, riconosce l’esempio e la saggezza del proprio Maestro lascandosi cambiare nel profondo.

Dall’esempio di questi grandi Maestri, come lo è stato per me Carlo, nasce l’alchimia per cui noi cantanti lirici troviamo la carica e la motivazione giusta per portare ogni giorno le nostre competenze sui palcoscenici di tutto il mondo.

In alcuni Mentori (Maestri) d’azienda che ho incontrato, ho ritrovato questa grande competenza ed energia non usuale, incanalata da una sincera generosità nel fare spazio ai futuri leader. Queste persone sanno mettere da parte il proprio ego, la proprio paura di perdere qualcosa, donando tutto se stessi agli altri, passando un testimone professionale con gesti così fluidi e precisi da lanciare la volata a qualcuno che sarà meglio di loro.

Concludo con una bellissima citazione tratta dal libro “Lo zen e il tiro con l’arco”: tocca al Maestro trovare non la via stessa che porta alla meta, ma la forma di quella via rispondente al carattere particolare dell’allievo e assumersene la responsabilità.

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