Dalla rivoluzione industriale alla rivoluzione comportamentale

Negli ultimi 300 anni si sono susseguite una serie di rivoluzioni industriali, che hanno riguardato profondamente anche il modo di vivere dell’Umanità intera e il suo equilibrio con il Pianeta.

Vengono in genere identificate 3 o 4 grandi rivoluzioni: la prima coincidente con l’introduzione delle macchine a vapore, la seconda avviata con l’utilizzo dell’elettricità, la terza legata all’introduzione dell’informatica e dell’elettronica. Una quarta rivoluzione vede invece l’intrecciarsi di molte tecnologie: dalla rete globale che connette non solo persone ma anche dispositivi (internet of things), all’intelligenza artificiale, le biotecnologie, i big data, la tecnologia blockchain, ecc.

Da ricercatore e ingegnere mi sono interessato e ho contribuito allo sviluppo di alcune di queste tecnologie come l’informatica, l’elettronica, l’infrastruttura globale in fibra ottica, l’internet of things. La loro velocità di sviluppo è stata enorme.

Nel 1977, a Torino, per la prima volta al mondo, fu costituito il primo collegamento in fibra ottica fra 2 centrali di telecomunicazioni. Pensate che, già alla fine degli anni ‘90, la quantità di fibra ottica installata nel mondo era arrivata a superare di decine di migliaia di volte il diametro della Terra. Proprio per questo motivo a quei tempi, chi come me lavorava nella ricerca e innovazione, si immaginava che l’attuale scenario di smart working, sviluppatosi velocemente a causa del Covid nel 2020, si sarebbe realizzato molto prima, non più tardi del 2005/2010.

Pertanto, una prima considerazione che propongo in questo articolo è che la tecnologia ci mette spesso a disposizione opportunità che richiedono un cambio di comportamenti da parte nostra, che però facciamo fatica a mettere in campo. La quantità di conferenze, corsi ed eventi che fino ad un paio di anni fa richiedevano lunghi viaggi e trasferte, oggi disponibili online, sono a portata di tutti con notevole risparmio di tempo e costi. Questo scenario era tecnologicamente possibile già 10 anni fa, ma solo oggi abbiamo attuato un cambiamento perché costretti da esigenze esterne, piuttosto che spinti da una scelta consapevole.

In generale, modificare o abbandonare i modelli comportamentali consolidati per adottarne di nuovi è per noi difficile e faticoso, e per questo spesso siamo disposti ad attuare una trasformazione solo quando le condizioni esterne ce lo impongono, ovvero quando il cambiamento diviene inevitabile per sopravvivere.

Proprio a questo proposito, pur conoscendo bene le tecnologie e il loro potenziale, negli anni ho iniziato a pensare che c’è un’altra rivoluzione che si sta innescando, una rivoluzione che chiamerei “comportamentale” perché ha a che fare con nuovi comportamenti che gli individui nelle organizzazioni stanno imparando a mettere in campo.

Infatti, così come il Covid ci ha al contempo costretto e permesso di sviluppare nuovi comportamenti, capacità e abitudini, spingendoci a cogliere le opportunità tecnologiche, analogamente per poter continuare a stare ed agire, in modo efficace, nel costante mutamento che caratterizza lo scenario contemporaneo, ci è richiesto ora di rinnovarci. In particolare, le continue innovazioni e i mutamenti che avvengono a livello globale modificano così tanto il contesto e le modalità con cui le organizzazioni si riconfigurano, che diventa necessario e urgente acquisire nuove competenze e nuovi comportamenti manageriali.

La contemporaneità è infatti per così dire permeata da una forza che ci spinge e ci impone di cambiare il nostro modo di stare nei contesti organizzativi: anche se è difficile mettere in campo comportamenti nuovi, è diventato inevitabile farlo, se si vuole garantire la sopravvivenza e il successo delle organizzazioni; sono le condizioni esterne a richiedere questo radicale salto culturale: ma in che cosa consiste questa “rivoluzione comportamentale”? Quali cambiamenti è necessario mettere in pratica e quali comportamenti si rivelano efficaci per il contesto mutato?

La rivoluzione comportamentale: la cultura organizzativa al centro
Penso che questa “rivoluzione comportamentale”, che riguarda l’uomo e le sue relazioni con gli altri individui e con il sistema globale, possa essere una rivoluzione potenzialmente più dirompente di tutte le rivoluzioni industriali e tecnologiche che abbiamo attraversato.

Negli ultimi 30 anni la maggior parte delle organizzazioni ha spostato i propri investimenti dagli asset materiali agli asset immateriali. Alcuni asset immateriali sono ancora un potenziale inespresso e alcune aziende hanno iniziato ad investirci: sto parlando ad esempio delle competenze comportamentali e relazionali, della capacità di collaborare con efficacia, di creare relazioni di fiducia e sicurezza psicologica, di stili di leadership efficaci, di cultura della responsabilità e dello sviluppo reciproco, di risonanza emotiva, riconoscimento reciproco, ecc.

Siamo all’inizio di una rivoluzione che sta portando le persone, i team e i gruppi ad impattare sempre più sul valore che le loro organizzazioni sanno esprimere. La stessa rivoluzione sta permettendo alle organizzazioni di impattare positivamente sul contesto globale.

Alcune nazioni e in particolare alcune aziende sono più avanti in questo processo; altre stanno iniziando solo ora ad occuparsi dello sviluppo di competenze e comportamenti manageriali delle persone e dei team; di competenze emotive e relazionali delle persone e dell’intera organizzazione.

Quando parliamo di sviluppo di competenze delle persone e delle organizzazioni, in genere, abbiamo in mente lo sviluppo di conoscenze e competenze tecniche delle persone o lo sviluppo di processi aziendali, sistemi operativi, ecc. Questa visione meccanicistica oggi è limitata: la rivoluzione di cui parlo riguarda lo spostamento degli investimenti sulle competenze e comportamenti manageriali più che sui sistemi e sui processi operativi. Competenze e comportamenti manageriali che sono i veri pilastri dell’organizzazione, che costituiscono la cultura organizzativa: quest’ultima può moltiplicare il valore degli asset materiali, oppure azzerarlo completamente se non è funzionale e non sostiene la strategia operativa, strategica e di business.

Sono abbastanza noti a tutti i casi di persone estremamente preparate che non riescono a mettere in campo comportamenti funzionali a permettere loro di esprimere tutto il loro valore. Sono altresì noti a tutti i casi in cui le competenze individuali di ciascuno non riescono ad essere messe a disposizione efficacemente dei team e dell’organizzazione.

Sviluppare le persone, i team e le organizzazioni significa renderle in grado di esprimere tutto il loro valore e di impattare positivamente sul contesto esterno. Significa passare da logiche ego-centriche a logiche eco-centriche, basate sull’interdipendenza, in cui il bene ultimo è la sostenibilità del sistema complessivo con ovvie ricadute positive sulla singola organizzazione, sul singolo team e sul singolo individuo.

Da pochi anni si stanno studiando scientificamente queste tematiche e relative modalità di sviluppo. Si sta capendo che c’è una differenza fra un gruppo di persone che lavorano nella stessa organizzazione e un organismo vivente composto da persone affiatate, coese, competenti, interdipendenti, in grado di realizzare una vision che le unisce.

Solo da pochi anni abbiamo iniziato a condurre ricerche e produrre una letteratura scientifica che descrive come gli esseri umani possono interagire efficacemente in gruppo moltiplicando infinitamente il valore dei singoli individui.

Negli anni ’90 mi sono sentito un pioniere di nuove tecnologie che si stavano sviluppando e che avrebbero cambiato totalmente il nostro modo di vivere e lavorare. Oggi, come studioso e professionista nell’ambito dello sviluppo di competenze e comportamenti manageriali, relazionali e organizzativi, mi sento pioniere di quella che chiamo “la rivoluzione comportamentale”: la rivoluzione delle competenze comportamentali che trasformano le organizzazioni in organismi in grado di adattarsi ai cambiamenti del contesto, sfidare le crisi emergendone sempre più forti.

In questo modo, tali competenze renderebbero le organizzazioni vere e proprie scuole di innovazione e progresso culturale e sociale, pilastri dell’economia e dell’ecosistema globale.

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