Il potere dell’ascolto

Il pagliaccio di Kierkegaard

Nel suo libro Aut-Aut, il filosofo danese Kierkegaard ci racconta di un pagliaccio, che fuggito di corsa dall’incendio divampato nel suo circo, arrivò nel villaggio accanto per avvisare tutti del pericolo. In preda allo spavento il pagliaccio urlava e piangeva, chiedendo aiuto pregando le persone di allontanarsi velocemente, ma nessuno gli credette. Tutti infatti, pensavano che recitasse e, interpretavano qualunque cosa dicesse o facesse come parte di una scenetta comica. La conseguenza? Il villaggio bruciò e gli abitanti morirono tra le fiamme.

Gli abitanti del villaggio non hanno colto le reali intenzioni ed esigenze del clown. Si sono soffermati sulla superficie, senza andare oltre l’apparenza e le loro convinzioni pregresse. Questo li ha portati a prendere decisioni poco convenienti per loro.

Un episodio analogo, nel mondo del business, mi viene in mente dal racconto di Risto Siilasmaa, AD di Nokia alcuni anni prima dell’acquisizione da parte di Microsoft. In uno speech pubblico a Bruxelles, Siilasmaa ha raccontato che l’errore più grande che il vertice dell’azienda ha fatto era di non ascoltare né il mercato né i piani bassi dell’organizzazione, dove le persone avevano capito benissimo che il settore stava andando in una direzione diversa, che il futuro sarebbe stato nei software invece che negli hardware.

Ascolto e osservazione sono due pratiche faticose da mettere in atto, perché non abbiamo tempo, perché richiedono pazienza, perché non ne comprendiamo il valore né sappiamo praticare i comportamenti necessari per attivarle. Oggi più che mai siamo sempre nel fare, rincorriamo affannosamente i nostri impegni, di lavoro e personali, siamo intossicati dai tantissimi input a cui siamo continuamente sottoposti, ci sentiamo in dovere di fare sempre qualcosa, l’inattività non è contemplata. Anzi, addirittura fare una sola cosa alla volta non ci basta: durante la riunione con un orecchio sentiamo chi parla, magari riusciamo anche ad intervenire, nel frattempo ci occupiamo di altri task e, pensiamo già ad organizzare la call successiva. In questo modo non siamo mai davvero presenti, non partecipiamo mai pienamente.

Saper ascoltare porta dei benefici sostanziali alle relazioni con i nostri interlocutori e in generale con il mondo esterno, aiutandoci a prendere decisioni più consapevoli e quindi migliori. Questo perché consente di adottare un approccio costruttivo nei confronti di se stessi, degli altri e delle situazioni e problematiche che affrontiamo.

Perciò allenare questa competenza è indispensabile anche nei contesti organizzativi, utile da un lato per aumentare la propria efficacia nel raggiungimento degli obiettivi di business, dall’altro per stare al meglio nel proprio ruolo e migliorare le dinamiche relazionali con azionisti, colleghi, collaboratori, clienti. Per chi riveste posizioni di vertice è utile senz’altro per cogliere la voce del mercato: Dove sta andando? Come si sta sviluppando?

Ma cosa significa saper ascoltare? E in che modo concretamente si rivela efficace sia in ambito professionale, che personale?

Saper ascoltare come competenza

Ascoltare, si distingue dal mero ‘sentire’. Quest’ultimo è identificabile con il senso dell’udito e ha a che fare con la ricezione passiva di suoni e rumori. E’ automatico: non possiamo non sentire, è qualcosa che ci capita e che non dipende da noi, ma dal fatto che determinate onde colpiscono il nostro apparato uditivo. Possiamo sentire anche senza rendercene conto.

Ascoltare è invece un atto volontario: implica uno sforzo attivo, un impegno forte del soggetto che deve intenzionalmente “mettersi in ascolto”. Per questo è una vera e propria abilità, una competenza che può e deve essere sviluppata e allenata: non è espressamente vincolata ad uno dei cinque sensi, ma in un certo modo li coinvolge tutti e richiede di mettere in atto specifici comportamenti.

Gli ingredienti necessari per attivare l’ascolto sono:

  • osservazione
  • curiosità
  • sospensione del giudizio
  • tempo
  • concentrazione
  • riflessione

Innanzitutto, saper ascoltare implica l’osservazione di ciò che accade fuori e dentro di noi: si configura come uno sguardo attento e disinteressato, orientato cioè ad ottenere una comprensione il più possibile completa e autentica. Richiede di assumere un atteggiamento di apertura e di genuina curiosità, verso sé stessi, verso l’altro e più in generale verso la situazione in cui ci troviamo, sospendendo la naturale tentazione a giudicare, definire, etichettare ciò che incontriamo: saper ascoltare significa così gettare luce e acquisire consapevolezza sulle dinamiche interne, esterne e relazionali che ci coinvolgono. Sospendere il giudizio vuol dire vedere le cose per ciò che sono veramente, senza filtri interpretativi che possono alterare la lettura della realtà.

L’ascolto mette in atto pertanto una dinamica complessa e impegnativa, che richiede tempo. Fermarsi, sospendere la corsa costante e frenetica del fare, è necessario infatti per calarsi nel qui e ora, uscendo dalla dispersione delle attività quotidiane che ci distraggono ed entrando invece nella concentrazione del momento. Ha a che fare con lo stare a pieno nella situazione, immergersi nel flusso di ciò che succede non per subirlo passivamente, bensì per accoglierlo.

Nel mondo frenetico di oggi, dove saltiamo da una call all’altra in un arco di tempo molto breve, diventa cruciale essere presenti e cogliere velocemente ciò che viene detto e ciò che viene anche pronunciato tra le righe. Non ci sarà una seconda occasione. Una volta chiusa la call o la riunione abbiamo perso la nostra occasione oppure… ci tocca coinvolgere i nostri interlocutori una seconda volta. Che spreco di tempo per tutti. «Carpe diem» dicevano già i latini ma oggi questa abilità di carpire il presente assume un’importanza sempre maggiore. Con i miei Coachee lavoro molto sull’aspetto di saper essere presenti e la relativa connessione all’efficacia organizzativa. Se siamo realmente presenti e ascoltiamo ciò che dicono gli altri, le cose non devono essere ripetute più volte.

Per un manager che guida il suo team, oppure partecipa al meeting del consiglio direttivo, comprendere anche il non detto degli interlocutori è importante. Anzi cruciale. Questo ci arriva soltanto attraverso un’attenta lettura di chi sta con noi nella call oppure nella sala riunione.

Per un ascolto efficace è poi fondamentale la riflessione, per catturare ciò che ci arriva, tornarci su e ri-elaborarlo. Come Coach infatti sottolineo l’aspetto della pratica riflessiva, poiché il processo di comprendere ciò che ci circonda o anche noi stessi non succede in maniera intuitiva. Negli anni 60 il teorico educativo David Kolb ha rappresentato il processo di apprendimento esperienziale con quattro fasi distinte: esperienza, osservazione riflessiva, concettualizzazione astratta e sperimentazione attiva. Questo processo vale anche quando stiamo provando a praticare l’ascolto. Dobbiamo comprendere il senso di ciò che stiamo ascoltando.

Successivamente, riportare all’altro la nostra riflessione e il nostro elaborato è una componente chiave che aiuta l’altro a capire che lo stiamo davvero ascoltando. Qui ci possiamo avvalere di alcuni strumenti semplici ma efficaci del tool kit dei Coach: la riformulazione, porre ulteriori domande per verificare le informazioni che risultano dubbie o poco chiare, lasciare spazi di riflessione a noi stessi e all’interlocutore, per non incalzarlo.

La potenza dell’ascolto

In questo modo l’ascolto rende in primo luogo possibili apprendimento e crescita, dal punto di vista non solo intellettuale, ma anche professionale e personale: solo imparando ad ascoltare, possiamo infatti ottenere una conoscenza approfondita e corretta di noi e delle cose, comprenderle e interiorizzarle, e così mettere in atto una trasformazione necessaria.

Di conseguenza l’ascolto è anche la competenza chiave per attuare le strategie comportamentali più efficaci. Ci consente di identificare tutti gli elementi rilevanti e significativi per discernere quelle più appropriate al contesto in cui ci muoviamo, agli interlocutori che abbiamo di fronte e, anche quelle più adeguate a noi stessi e ai nostri specifici obiettivi. Sebbene richieda la sospensione delle attività, mettersi in ascolto permette proprio di mettere in atto azioni più consapevoli e, di prendere decisioni migliori e più mirate, perché ci apre ad una conoscenza approfondita e così ad una comprensione a tutto tondo della realtà che ci circonda.

Proprio qui troviamo la differenza tra agire e reagire: quando ascoltiamo siamo vigili e attenti, pronti a captare i segnali che ci arrivano, a capire e gestire le dinamiche emotive che questi scatenano in noi e negli altri e così, a mettere in atto comportamenti migliori perché frutto di una decisione consapevole e non invece di una reazione automatica e frettolosa. Nell’ascolto, come abbiamo visto, noi sospendiamo il nostro giudizio, ci approcciamo a quello che accade non con l’intenzione precipitosa di definirlo ed etichettarlo o con la fretta di trovare una risposta o una soluzione, bensì appunto con un sincero desiderio di capirlo: solo così possiamo affrontarlo in modo efficace.

Saper ascoltare, è chiaramente determinante anche e prima di tutto nel migliorare le nostre relazioni con gli altri: per costruire un clima di fiducia e gettare le basi per una comunicazione fluida ed efficace, è necessario porsi nei confronti dei propri interlocutori in modo costruttivo e aperto, mostrando un sincero interesse per ciò che l’altro ha da dirci, con l’obiettivo esplicito di comprenderlo.

I benefici dell’ascolto e come attivarlo

Le condizioni contemporanee, proprio perché disincentivano l’ascolto, lo rendono a maggior ragione più urgente. Cosa possiamo quindi fare per attivare questa competenza?

  • metterci all’ascolto di clienti, collaboratori o superiori, concentrandoci sull’interlocutore piuttosto che sulla risposta che daremo;
  • creare occasioni di ascolto collettivo, in cui tutto il team allena questa competenza mettendola concretamente in pratica;
  • ritagliarci degli spazi esplicitamente dedicati all’ascolto di ciò che merita la nostra attenzione, ovvero prenderci dei momenti durante l’orario di lavoro, in cui sospendiamo ogni impegno e attività di tipo operativo, spostando il focus su di noi sul ruolo che ricopriamo, sul team che guidiamo, sul contesto organizzativo o sul settore dove operiamo.

Ricordiamoci quindi che un ascolto autentico si rivela indispensabile nei contesti organizzativi, proprio perché è strumento per:

  • prendere decisioni più efficaci e focalizzare gli obiettivi e le risorse necessarie;
  • migliorare la dimensione relazionale;
  • comprendere meglio noi stessi, il nostro team, il contesto organizzativo, il mercato;
  • usare il tempo in maniera più efficace;
  • trovare il proprio equilibrio e aumentare l’autoconsapevolezza;
  • aiutare a gestire meglio la dimensione emotiva.

A conclusione, rischiamo di comportarci spesso come gli abitanti del villaggio di Kierkegaard, perdendo dei pezzi importanti per il raggiungimento dei nostri obiettivi, creando difficoltà per noi stessi e per chi ci sta intorno, tanto nella sfera privata che sul luogo di lavoro. Attiviamoci quindi su questo fronte, praticando i comportamenti dell’ascolto che sembrano semplici ma che indipendentemente dalla loro semplicità possono portare un enorme beneficio a noi e alla nostra organizzazione.

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