LINGUAGGIO: PONTE OPPURE BARRIERA?

Sempre più persone sono costrette ad utilizzare quotidianamente sul luogo di lavoro una lingua diversa da quella nativa, perché parte di progetti internazionali, in cui collaborano e cooperano a stretto contatto individui provenienti da paesi diversi, dunque con un diverso asset culturale. L’interculturalità in azienda, se da un lato apporta notevoli benefici dal punto di vista individuale e organizzativo, dall’altro però pone alcuni quesiti e alcune importanti sfide: quali difficoltà emergono dall’utilizzo di una lingua diversa dalla lingua madre? Come assicurare una comunicazione chiara ed efficace, capace di oltrepassare la diversità linguistica e culturale? In questo articolo proveremo ad analizzare gli ostacoli che si trovano ad affrontare coloro che fanno parte di un team di lavoro internazionale, tentando di capire come sia possibile superare, in modo il più possibile efficace, la barriera linguistica.

La globalizzazione ha notevolmente aumentato i contatti e i collegamenti da una parte all’altra del mondo, rendendoli più facili ed immediati. Una delle conseguenze più importanti e significative riguarda il mondo del lavoro: questo fenomeno ha infatti portato alla formazione sempre maggiore di team internazionali, composti da membri provenienti dalle parti più disparate del globo, che quotidianamente collaborano e cooperano. Team dunque estremamente variegati, al cui interno coesistono culture e lingue diverse.
Questo ha senza dubbio effetti positivi, sia in termini sociali e personali, sia a livello organizzativo e di business. Un progetto internazionale infatti:

  • aumenta l’occasione di scambio;
  • rende possibile il dialogo tra punti di vista molto distanti;
  • incentiva la considerazione di prospettive inaspettate;
  • amplia la visione complessiva di situazioni e problematiche;
  • consente lo sviluppo di un’apertura mentale dei singoli;
  • incentiva la creatività e facilita l’elaborazione di strategie innovative e originali;
  • dà luogo a comportamenti più efficaci e produttivi;
  • agevola il raggiungimento di obiettivi e risultati professionali.

Riprendendo la metafora utilizzata da Marianne Fröberg nell’articolo Perché essere donna non vuol dire essere diversa: un ritratto di Marianne Fröberg: «il team è come la tavolozza di un pittore in cui ogni casella contiene un pigmento diverso: integrando i diversi “colori” si ottiene un team eterogeneo e performante».

Se l’internazionalità e l’interculturalità da un lato apportano evidenti benefici ad una realtà aziendale, contribuendo concretamente al suo rendimento e al suo successo, dall’altro lato pongono alcune difficoltà: persone con provenienza geografica diversa infatti parlano necessariamente lingue diverse.

L’esigenza sempre più emergente di consentire a persone che parlano lingue diverse di entrare in relazione e di capirsi, ha portato ad uno sviluppo e una diffusione sempre maggiore dell’inglese, che è ad oggi la lingua franca più parlata nel mondo, e riconosciuta come “lingua globale del business”. La conoscenza dell’inglese è così diventata un requisito fondamentale per affacciarsi al mondo del lavoro: richiesta praticamente a tutte le età e in tutti i settori e contesti, è oramai parlata ad un livello professionale e competente da tantissime persone.
Da una ricerca del 2016, condotta dal Cambridge Assessment English su 5.300 datori di lavoro in 38 diversi paesi del mondo, emerge proprio l’estrema diffusione e rilevanza dell’inglese nell’economia globale: nei paesi in cui l’inglese non è la lingua nativa, più di due terzi dei datori di lavoro riconoscono come questa sia fondamentale nei propri affari. Da qui consegue la necessità di requisiti linguistici, sebbene il livello richiesto sia diverso in base all’ambito: una conoscenza molto approfondita e tecnica in settori come quello finanziario, bancario e legale, una più scolastica per l’ambito viaggi, tempo libero e servizi pubblici.

Il punto è che, per quanto io possa conoscerla a fondo e parlarla con dimestichezza, con una lingua diversa da quella madre difficilmente raggiungerò una totale naturalezza e spontaneità.
A questo proposito, uno studio del 2014 condotto su 15 team internazionali di 3 diverse società automobilistiche tedesche mostra come molte delle incomprensioni riscontrate nei gruppi di lavoro sorgono a causa della mancanza di una lingua nativa comune tra i membri.
Il linguaggio dunque, quando gli interlocutori parlano lingue madri diverse e ne utilizzano una che non sentono come propria, diviene una barriera che impedisce una comunicazione chiara e quindi efficace.
Dallo studio emerge come questi misunderstandings abbiano effetti tutt’altro che irrilevanti, capaci di influenzare negativamente il rendimento del gruppo e quindi la sua produttività: la diversità linguistica, apparentemente superficiale, ha il potere di creare percezioni di diversità ad un livello più profondo. Le capacità tecniche e le abilità professionali dei vari membri vengono infatti inconsciamente valutate in stretta relazione con l’abilità linguistica, e dunque una difficoltà di espressione oppure una povertà di linguaggio vengono percepite come sinonimo di scarsa competenza e professionalità. A livello più ampio ed emotivo tutto questo provoca una maggior fatica ad instaurare relazioni di reciproca fiducia, rendendo più difficile e meno probabile la cooperazione del gruppo.

Il linguaggio come costruzione culturale
Queste osservazioni ci portano a riflettere sull’importanza del linguaggio e sulla complessità degli effetti che questo può avere nella nostra vita e più specificatamente in ambito lavorativo e aziendale.
In generale possiamo immaginare il linguaggio come un Giano Bifronte, dotato cioè di due volti speculari, che guardano in due direzioni opposte. Il linguaggio è infatti capace di unire e di dividere, di connettere ma anche di separare. È lo strumento di comunicazione più sofisticato e per questo efficace che abbiamo: ci permette di entrare in relazione con gli altri, di condividere le nostre idee, i nostri pensieri, le nostre emozioni e le nostre sensazioni, di capire gli altri e farci capire. Ma, nello stesso tempo, può costituire una barriera, perché dà luogo ad incomprensioni non sempre risolvibili: la comunicazione verbale infatti costituisce un ponte tra due interlocutori, con i loro background e le loro storie personali.

Proprio a questo proposito, Gorgia sosteneva che «anche se nel parlare nasce una sorta di comunicazione che attraversa i due interlocutori, non si potrà mai essere del tutto sicuri che quello che io sto esprimendo con il simbolo linguistico, che si riferisce alla mia esperienza reale, coincida esattamente con l’esperienza che l’altro riferisce alla stessa parola su cui consentiamo». Il filosofo greco, con queste parole, sottolineava la difficoltà di delineare il corretto e oggettivo rapporto tra segno e significato, tema poi diventato centrale nel dibattito filosofico dei secoli successivi, e ancora oggi non completamente risolto.
La comunicazione è un processo che coinvolge aspetti oggettivi e soggettivi, in cui gli interlocutori partecipano portando con sé tutto il loro bagaglio valoriale e culturale. La mia storia personale e collettiva, e dunque il contesto in cui nasco e cresco, determina il significato che io darò a certi termini e a certe espressioni.

Wittgenstein parla di giochi linguistici, evidenziando il carattere sociale e artificiale del linguaggio: quest’ultimo è una vera e propria costruzione culturale. Non denota oggetti in maniera univoca, non descrive insomma il mondo in maniera oggettiva, ma è qualcosa che è “utilizzato” in un determinato contesto, in una determinata cultura, e i significati e le espressioni dipendono fortemente dalle caratteristiche di quest’ultima.
Il linguaggio è specchio della cultura e della società, perché ne riflette dinamiche, peculiarità e valori, ma al tempo stesso produce la cultura, la plasma e la determina. Il modo di esprimersi dipende strettamente dal modo di pensare, e viceversa: le parole contribuiscono alla formazione della mentalità dei singoli, influiscono sulla percezione del mondo esterno e così influenzano credenze e comportamenti.

Questo significa che ogni lingua porta con sé un universo culturale di riferimento, ovvero un sistema di valori e credenze diverso. Il linguaggio allora non è da concepirsi come un’entità statica, isolata, fissa e data una volta per tutte, ma piuttosto come una pratica sociale in continua evoluzione, sia nel tempo sia nello spazio, che cambia e si modifica, cambiando e modificando a sua volta le condizioni esterne.

La barriera linguistica nei team internazionali
Tutto questo è fortemente amplificato quando ci cimentiamo in una lingua che non è la nostra e che quindi maneggiamo con una spontaneità e una naturalezza necessariamente ridotte. Come dice Gadamer, la comunicazione in generale e ancor di più la traduzione da una lingua all’altra provocano la perdita di qualcosa, perché implicano l’interpretazione, ovvero un processo per cui il soggetto inevitabilmente mette i suoi personali significati, frutto della sua storia e del suo asset culturale, modificando così almeno in parte il significato originale. La comunicazione è sempre interpretazione e re-interpretazione. A maggior ragione quando avviene tra persone provenienti da culture diverse.

Nei team con lingue differenti, si stabilisce infatti una relazione tra culture. Le conseguenze sono:

  • comunicazione difficile e meno spontanea;
  • maggiore possibilità di fraintendimenti;
  • errata attribuzione di significati a espressioni e tono di voce.

Ma allora diviene più difficile creare coesione e senso di appartenenza tra i membri del team, sentimenti fondamentali affinché le prestazioni professionali siano ottimizzate. È infatti indispensabile che ciascun individuo si senta parte del team, riconosca insomma il gruppo come proprio perché ne condivide obiettivi e valori.
Come abbiamo visto, la difficoltà nei gruppi internazionali è dovuta anche proprio all’utilizzo di una lingua diversa da quella nativa. L’utilizzo di un’unica lingua globale, sebbene capace di unire, creando un contatto verbale altrimenti impossibile tra le persone, in un certo senso provoca anche l’effetto opposto. L’inglese, insomma, rischia di appiattire le differenze, perché sacrifica la ricchezza delle diverse sfumature proprie della lingua, costringendole dentro un unico modello e omologandole. E così, invece che strumento di unione e coesione, funge da separatore.

La sfida cui tutti coloro che si trovano ad affrontare progetti internazionali e, più ancora, coloro che devono gestire team multiculturali e dunque persone che parlano lingue diverse dalla propria, diviene allora quella di assicurare una comunicazione chiara ed efficace, capace di creare quel senso di coesione e fiducia necessario, nonostante le distanze culturali e linguistiche. Anzi, proprio per la tendenza sempre maggiore alla globalizzazione e all’internazionalità, una delle competenze immancabili per un buon leader risulta essere proprio la comunicazione interculturale.
E uno studio approfondito della lingua inglese, per quanto possa senza dubbio aiutare nella scelta dei termini più appropriati, non è sufficiente.
Ancor più che nella relazione con persone che parlano la stessa lingua, risulta molto utile l’adozione di strumenti aggiuntivi, capaci di offrire un sostegno concreto alla mera comunicazione verbale e di agevolare così la nascita di una sintonia con l’altro: diventa cruciale l’utilizzo per esempio di videocall, in cui la voce è accompagnata e supportata dalla gestualità e dai movimenti del corpo e del volto.

Diventa però anche necessario assumere un atteggiamento più ampio capace di abbracciare e comprendere visioni del mondo differenti, in modo da entrare in un contatto più diretto e intimo con culture diverse. Come ci insegna Michele Casamassima, nell’articolo Gestire team e culture internazionali con il Coaching: ritratto di Michele Casamassima «una Leadership efficace cerca di capire prima le dinamiche interne, si prende del tempo per ascoltare, per vivere e fare propria una nuova cultura».

Allora, migliorare le competenze di comunicazione interculturale significa costruire e allenare una consapevolezza di sé stessi e degli altri, riflettendo sulle differenze in maniera attiva, e imparare altrettanto sugli individui che parlano una lingua diversa e hanno valori e abitudini differenti. Come suggerisce Jane Jackson nel suo libro “Introducing Language and Intercultural Communication”, alcune soluzioni potrebbero allora essere:

  • riconoscere che possono sorgere malintesi a causa di differenze linguistiche e/o culturali;
  • fare domande con pazienza per confermare il significato del messaggio;
  • chiedere e offrire il proprio feedback (verbale e non verbale) per assicurarsi che i messaggi siano stati ricevuti e compresi correttamente;
  • fare uno sforzo reale per imparare il linguaggio e le pratiche di persone di diversa estrazione culturale.

Tutti questi punti sono comportamenti allenabili nel lavoro quotidiano di un contesto internazionale. Un’autentica comprensione dell’intenzione dell’altro si ottiene quindi attraverso un’azione consapevole, che nasce nella relazione tra le persone. Le parole di per sé non contano nulla, ciò che conta è la condivisione del significato che i membri del gruppo danno alle parole. Per questo motivo, nel Team Coaching spesso si comincia proprio dalla costruzione di un vocabolario comune.

È vero che eliminare completamente la barriera linguistica è impossibile, sia quando la lingua usata è quella nativa, sia, a maggior ragione, quando la lingua usata è un’altra. Le differenze linguistiche e culturali esistono ed esisteranno sempre, e anzi è importante preservarle e valorizzarle. Per affrontare al meglio un gruppo di lavoro multiculturale e in generale, per gestire in modo ottimale i rapporti internazionali, sfruttandone i vantaggi e le potenzialità, e dunque trasformandoli in vere e proprie opportunità di crescita individuale e collettiva, è fondamentale acquisire e mantenere consapevolezza dei limiti e dei punti di forza del linguaggio, ponendo sempre attenzione alle diversità culturali presenti nel team e ai fraintendimenti che potrebbero nascere, sforzandosi di implementare strategie comunicative il più possibile inclusive e comprensive.

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