Una nuova tendenza sul mondo del lavoro arriva dall’America: sono i poliworker, persone che per necessità, ma molto più spesso per scelta, svolgono più di un lavoro. Un fenomeno che racconta un modo diverso di approcciare la propria professionalità e che, se ben gestito, può essere una grande fonte di ricchezza per le aziende.
Il tempo indeterminato non è per sempre. Questo pensiero, soprattutto quando si tratta dei lavoratori più giovani, è ormai un dato di fatto, ma la flessibilità del mercato del lavoro, insieme alle opportunità del digitale e a una maggiore ricerca di work-life balance ha dato vita a un nuovo fenomeno che si sta andando a consolidare in America e che comincia a farsi vedere anche in Europa: si tratta dei poliworkers.
Letteralmente, questo termine serve a indicare quelle persone che all’interno della giornata lavorativa svolgono più di un lavoro. A guardare bene, non sono una novità dell’ultimo anno: già dal 2019, infatti, abbiamo cominciato a parlare di “gig work” per indicare seconde attività svolte da persone con un contratto da dipendente, ma se si prendono in considerazione i numeri più recenti è evidente quanto il fenomeno ultimamente sia esploso. Basti pensare che solo tra il 2021 e il 2022, secondo una ricerca dell’azienda statunitense Paychex, sono aumentati del 20%.
Ma chi sono, nello specifico?
Sempre secondo la ricerca Paychex, l’identikit del poliworker potrebbe essere questo: appartenente alla Gen Z (46%), freelance (92%) oppure dipendente all’inizio della carriera (79%), che lavora da remoto (81%) o al massimo in modalità ibrida (79%), principalmente nei settori della tecnologia (42%), del marketing (30%) o della finanza (26%).
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L’evoluzione digitale e la possibilità di smartworking sono stati elementi chiave nella diffusione di questo modello di lavoro, in quanto permettono in maniera più agile di riempire eventuali “momenti morti” nel corso della giornata con task relativi ad un altro lavoro, riuscendo così a svolgerne due o più (nel 32% dei casi) nello stesso numero di ore. E quindi di guadagnare di più in meno tempo.
Molto spesso la seconda attività non differisce, in termini di ruolo, dalla prima: restare nello stesso settore infatti permette di rimanere focalizzati sul tipo di compito da svolgere e sugli obiettivi da raggiungere, semplicemente mettendo le proprie competenze e il proprio talento a disposizione anche di qualcun altro, oltre che del proprio capo.
Perché un dipendente diventa poliworker?
Il motivo principale per cui una persona sceglie di avere più lavori è molto semplice: guadagnare di più. C’è infatti una stretta correlazione tra costo della vita e numero dei poliworker: in America i paesi con il numero maggiore di poliworker sono New York, New Jersey e California, non a caso anche quelli con le città più care. Tra le rinunce a cui queste persone dovrebbero essere disposte a sottostare, se dovessero tornare ad avere un solo lavoro, ci sarebbero la necessità di trasferirsi in un’altra città (42%), l’impossibilità di riuscire a tenere il passo con l’inflazione (41%) e l’esigenza di tornare a vivere con i genitori o con dei coinquilini (34%).
Ma non è solo il fattore economico che spinge a intraprendere questa diversa modalità: spesso infatti essere poliworker non è una necessità ma una scelta, un modo di seguire un’attitudine diversa riguardo al mondo del lavoro. Se è vero che il guadagno aggiuntivo viene ritenuto un elemento importante dal 50% degli intervistati, al primo posto tra i benefici c’è una maggiore flessibilità (59%), seguito da più libertà (50%) e una maggiore energia in ciò che si fa (37%).
Infatti, al contrario di quello che si possa pensare, i poliworkers, rispetto alle persone con un solo lavoro, risultano percepire un livello maggiore di work-life balance (89% contro 86%), tanto che per il 47% di loro lo status di poliworker non è qualcosa di temporaneo, ma una condizione lavorativa che prevedono di continuare per un periodo indefinito.
Sono dati che possono far nascere riflessioni importanti su come il lavoro oggi sia percepito, soprattutto dalle generazioni più giovani: come già fenomeni quali le Great Resignation e il Quiet Quitting ci hanno insegnato, la relazione con il posto di lavoro sta diventando sempre più sottile e in qualche modo “sacrificabile” in nome di un bene superiore come quello della propria soddisfazione o felicità. Il rapporto in qualche modo monogamo che le generazioni precedenti avevano con l’azienda per cui erano assunti viene oggi costantemente messo in discussione e tra i parametri che un collaboratore prende in considerazione quello economico non è il più rilevante.
Svolgere più lavori insieme significa essere costantemente circondati da stimoli, avere modo di esprimere diversamente la propria creatività, soprattutto nel momento in cui nel luogo di lavoro principale questa viene castrata, allargare il proprio network, entrare in contatto con un mondo più vasto.
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Poliworker in azienda: come gestirlo?
Ma dal punto di vista del Manager, che cosa cambia se tra i collaboratori c’è uno o più poliworker? Per trarre il meglio da questa prospettiva è importante che il Manager in questione attui un cambio di mindset, soprattutto sul fronte delle soft skill: un passaggio fondamentale da compiere per potersi interfacciare in maniera efficace con un contesto che inevitabilmente diventa più complesso e frammentato.
Ci sono degli atteggiamenti quotidiani quindi che chi svolge un ruolo di responsabilità dovrebbe rivedere in modo da rendere la collaborazione efficace e soddisfacente:
- migliorare la comunicazione interpersonale: avere un confronto costante su quali siano eventuali problemi, sui cambiamenti che possono presentarsi o sulle esigenze di entrambe le parti è ancora più rilevante, in quanto permette sia di avere sempre il polso della situazione sia di evitare eventuali fraintendimenti che possono causare ritardi o errori nel lavoro.
- migliorare l’organizzazione: avere e dare chiarezza dei task, degli obiettivi e delle deadline permette al poliworker di comporre al meglio la sua giornata lavorativa. È opportuno stabilire delle priorità e dividere i compiti in maniera adeguata fin dall’inizio delle attività.
- avviare una negoziazione chiara: fin dal momento dell’assunzione, è consigliabile stabilire delle regole sulle modalità di lavoro. Un aspetto che non va trascurato è la possibilità di effettuare straordinari: nel momento in cui il poliworker deve far combaciare tutte le sue altre attività l’aspetto del tempo assume una rilevanza notevole.
- fissare feedback e feedforward frequenti: ancora di più con poliworker, è importante costruire un percorso all’interno dell’azienda ritagliandosi periodicamente momenti di confronto in cui si commenta insieme il lavoro svolto e si crea una prospettiva sugli obiettivi futuri. In questo modo il poliworker si sentirà più coinvolto e avrà più chiaro il suo ruolo e le aspettative nei suoi confronti da parte dell’organizzazione.
- gestire le dinamiche del team: quando una persona lavora con team diversi, per organizzazioni diverse, potrebbero nascere conflitti con i colleghi. Il ruolo del Manager, in questi casi, è anche quello di gestire le relazioni tra persone ed evitare che sorgano fraintendimenti.
- stabilire un piano di formazione: il fatto che abbia anche una o più altre attività non significa che un poliworker non abbia bisogno o voglia di crescere, migliorare e apprendere. Stabilire con il collaboratore quali sono le sue aspettative anche su questa fronte aiuta ad avere all’interno del team una persona sempre aggiornata e con la possibilità di sviluppare nuove skill.
Tutto questo lavoro sulle soft skill è funzionale anche a creare un maggiore senso di appartenenza, che può essere più sottile nel momento in cui una persona ha un contatto quotidiano con realtà diverse, magari alcuni dei quali sono occasionali. Statisticamente, per chi ha più lavori le occasioni di cambiamento sono più elevate, e lavorare sulla relazione con la persona, comprendendone i bisogni e andando incontro alle sue esigenze, soprattutto in termini di flessibilità e autenticità e con un efficace employer branding, può essere una soluzione per farla sentire parte dell’ambiente, allungando così la sua permanenza in azienda.
Poliworker: perché assumerlo
Per tantissime persone, come abbiamo visto, avere un secondo lavoro non è una necessità ma una scelta e in alcuni casi può trasformarsi anche nella realizzazione di un sogno. Nel 2020 il giornalista americano Adam Davidson ha chiamato questa tendenza “passion economy”, ovvero sfruttare le possibilità offerte dai social e dalla tecnologia per trasformare una propria passione in lavoro. Secondo un articolo del European Business Review, il mercato della passion economy, a livello mondiale, al momento vale più di 38 milioni di dollari e, stando alle previsioni, sarà proprio dalla passion economy che nasceranno nuovi lavori, l’85% dei quali al momento ancora non esistono. Non tutti quelli che intraprendono questa strada, comunque, riescono a guadagnare a sufficienza da renderla un lavoro full time: per la maggioranza delle persone si tratta di un’attività da portare avanti parallelamente al lavoro principale.
Pensare però che una passione extralavorativa sia una distrazione dal lavoro è errato: in realtà sviluppare competenze in campi diversi insegna a mettere in pratica atteggiamenti che risultano utili anche sul lavoro. Nello specifico, aiuta a:
- sviluppare le soft skill: la capacità di generare strategie o processi utilizzati negli hobby e trasferirle in ambito lavorativo permette di accedere a conoscenze che non vengono affrontate nella formazione all’interno dell’ambito lavorativo. Quindi la pittura, il canto o la danza aiutano la concentrazione e il coinvolgimento o gli sport di squadra permettono di rafforzare la capacità di lavorare in team e di gestire la competitività.
- aumentare la creatività e la produttività: tutte le attività che implicano il ragionamento aumentano la plasticità cerebrale, rendendoci più permeabili e più veloci nell’apprendimento di nuove competenze. Quindi gli scacchi possono stimolare il pensiero divergente e il problem solving, mentre la lettura migliora le capacità di linguaggio e comunicazione.
- migliorare il clima aziendale: svolgere un’attività che piace e che prevede il raggiungimento di un obiettivo fa produrre dopamina, mentre un’attività rilassante alza i livelli dell’ossitocina, due sostanze con un effetto benefico sui processi cognitivi e sulle relazioni di fiducia e affetto con le altre persone. Una sensazione di benessere che continua anche dopo che l’attività è terminata e che le persone portano all’interno dell’ambiente lavorativo rendendolo meno stressante, più piacevole e più fruttuoso
Avere all’interno del team persone che svolgono più attività, quindi, non è un rischio, ma qualcosa da accogliere, coltivare e in alcuni casi anche spronare: tutto ciò che le persone imparano fuori dall’ufficio è ricchezza che porteranno all’interno.