Come organizzarsi in azienda se il futuro è imprevedibile?
È possibile prevedere il futuro? Se in generale la risposta a questa domanda è sempre stata tendenzialmente no, negli ultimi anni i cambiamenti sociali, ambientali e politici a livello globale ci stanno insegnando che prevedere ciò che accadrà su un lungo periodo è davvero impossibile. Questo complica di molto la vita anche per le aziende, il cui intento di avere visione e provare a delineare strategie lungimiranti si sta dimostrando sempre più complesso. Come possono fare quindi le organizzazioni a intuire oggi ciò che accadrà nei prossimi 5/10 anni? Una buona arma di difesa può essere leggere dei trend del presente e capire quali saranno quelli durevoli. Recentemente è stato nei nostri uffici Pietro Scarpino, CTO di NTT Data, che ce ne ha indicati alcuni.
Ormai, nel mondo del lavoro, questa frase è diventata un mantra: viviamo in un contesto in cui tutto cambia molto velocemente. Basta guardare a quello che è successo negli ultimi quattro anni per avere anche solo un’idea macroscopica: pandemia, smartworking, inflazione, nuove esigenze che nascono, crisi dei talenti e cambiamenti climatici sono solo alcuni degli elementi epocali che hanno influenzato, stanno influenzando e influenzeranno il mondo del business.
È sufficiente volgere lo sguardo di poco indietro per accorgersi di come il mondo sia stato completamente rivoluzionato.
Ma se guardiamo avanti, che cosa vediamo? Quello che caratterizza il nostro presente, infatti, e che rappresenta anche il problema maggiore quando si cerca di trovare strategie aziendali lungimiranti, è l’incertezza globale. Per la prima volta ci ritroviamo in un momento storico in cui cercare di guardare a un futuro a medio-lungo termine può essere controproducente, perché ciò che oggi immaginiamo accadrà potrebbe essere completamente diverso da quello che avverrà effettivamente. Al contrario, paradossalmente, mantenere un approccio che guarda a un orizzonte più vicino potrebbe rendere più pronto il Management delle aziende a vedere e conseguentemente affrontare ciò che succederà. Allo stesso tempo, è anche la prima volta in cui si può davvero dire che l’esperienza serva a poco: cercare ispirazione in soluzioni già messe in atto per problemi diversi potrebbe non portare a nulla, considerato che niente di ciò che abbiamo vissuto nei decenni precedenti è paragonabile a ciò che stiamo vivendo oggi.
Rispetto al passato, oggi però abbiamo di sicuro un’arma in più, ovvero i dati, ma l’evoluzione della tecnologia, con l’avvento dell’intelligenza artificiale, se da un lato risolve diverse questioni pratiche, dall’altro rischia anche di creare problemi che prima non esistevano, come ad esempio fake news da cui bisogna diventare abili a difendersi, la necessità di figure professionali sempre più specializzate o un’omologazione dei contenuti creati.
La vera risorsa in un mondo sempre più tecnologizzato è l’aspetto umano
Restando quindi nella prospettiva di un futuro abbastanza vicino, possiamo dire che nell’incertezza generale una sicurezza arriva dal fatto che la curva della tecnologia sarà sempre più alta. Per fare in modo che sia efficace, però, va sviluppata in modo che possa essere utilizzata nella maniera più opportuna e diventa quindi necessario creare processi di design che permettano alle persone di interagire in maniera semplice e intuitiva.
Se dovessimo traslare questo concetto in ottica di competenze utili alle aziende, possiamo dire che le competenze tecniche, per quanto fondamentali, stanno perdendo centralità rispetto alle soft skill: come confermato anche da uno studio di McKinsey del 2022, Overcoming the fear factor in hiring tech talent, questo approccio, oltre ad allargare il campo di ricerca di talenti (rappresentando quindi una soluzione per la carenza di personale), è significativo anche perché indica come l’aspetto emotivo, del benessere, della persona a tutto tondo sia ciò che davvero può fare e farà la differenza nelle strategie di assunzione ma anche di business delle aziende. In un contesto dominato dall’incertezza, quindi, è opportuno per le aziende puntare su quello che ancora sembra resterà l’unica costante: le persone.
Su tutto il resto è impossibile fare previsioni, ma analizzare alcuni trend può aiutare il Management a scegliere una direzione da seguire.
Società oracolare e spheric innovation
Il passaggio epocale a cui stiamo assistendo (e prendendo parte) è quello dalla società archiviale, ovvero che apprende dal passato per capire il presente, a quella oracolare, che quindi parte dal presente per cercare di capire cosa avverrà in futuro. Un contesto che ha costantemente bisogno di una forte spinta innovativa per riuscire a concretizzare soluzioni nuove a problemi che fino a ieri non si erano mai presentati. A complicare questo quadro, c’è anche il valore sempre più necessario che le aziende possono avere nel dimostrare un impatto sia in termini di sostenibilità che sulla società. Quando un’organizzazione guarda alla sua crescita, oggi, non può esimersi quindi dal promuovere una valutazione a tutto tondo delle sue azioni e usare la creatività che ha a disposizione al suo interno per innovarsi a 360°: da qui il termine spheric innovation, quindi un sistema di innovazione che oltre al fatturato, mira anche a rendere il mondo un posto migliore, sia dal punto di vista ambientale che umano.
Gaming: il lavoro non è un gioco. O forse sì?
Tra i problemi più grandi che le aziende si stanno trovando ad affrontare c’è senza dubbio il tema del coinvolgimento: come rendere persone che lavorano spesso da remoto, magari anche in sedi diverse, ingaggiate nelle iniziative e nei valori dell’organizzazione o anche in piani di upskilling e reskilling?
In questo campo, il gaming offre una vera e propria rivoluzione: già da qualche anno ha fatto il suo ingresso nelle realtà aziendali, ma ora sempre di più, anche grazie al progresso di tecnologie immersive che favoriscono uno storytelling efficace, sta letteralmente esplodendo, soprattutto nei contesti delle start-up. Uno studio di StartUs Insights svolto a livello globale mette in luce infatti come le startup integrano ormai comunemente elementi di game-design e principi di gioco in contesti non di gioco, migliorando così il coinvolgimento degli utenti, la conservazione delle conoscenze, la valutazione dei dipendenti e altro ancora. In Italia questo settore non sta crescendo alla stessa velocità di altre parti del mondo (complice anche il pregiudizio che il gioco mal si adatti ai contesti di lavoro), eppure i vantaggi sono più che noti, su tutte le fasce di età e in settori che vanno dalla formazione, al marketing, ai processi HR (soprattutto l’onboarding): oltre ad aiutare il coinvolgimento, infatti, la gamification diverte, motiva e rende l’apprendimento più veloce e duraturo.
È quindi un elemento che le aziende non dovrebbero sottovalutare nei loro processi.
Un approccio sempre più antidisciplinare
Il mondo è complesso, variabile, ogni scelta influenza diversi campi di azione: per questo le organizzazioni che potrebbero diventare più rilevanti nei prossimi anni sono quelle che riusciranno ad avere un approccio sempre meno verticale e sempre più aperto a coinvolgere diverse discipline nelle soluzioni da trovare. Questo rappresenta per le aziende sia un’opportunità che un cambio di atteggiamento necessario: significa infatti allenarsi a puntare sul dialogo, sulla diversità di background, sulla comunicazione di punti di vista differenti e sul knowledge sharing. In questo modo, però, si promuoverebbe la responsabilità individuale, il senso di appartenenza e il riconoscimento del valore di ognuno.
La nascita di un terzo luogo: l’ufficio
Non è casa, non è il posto dove si va (solo) a lavorare: è un luogo terzo, diverso, in cui persone con interessi diversi si possono ritrovare per socializzare e confrontarsi in modo confortevole. È l’ufficio. Il primo a esprimere questo concetto è stato il sociologo americano Ray Oldenburg già negli anni ‘80, e nella fase Back to Work post Covid che moltissime aziende si trovano a fronteggiare la sua definizione rappresenta delle validissime linee guida. Molte aziende e spazi di co-working negli ultimi anni si sono mosse in questa direzione: rendere l’ufficio un terzo luogo non significa semplicemente mettere un tavolo da pingpong nell’area relax o allestire uno spazio per fare yoga, ma prevede una riorganizzazione radicale degli spazi e dell’idea con cui siamo stati abituati ad usarli. Il nuovo concetto di ufficio, infatti, esce dalle mentalità business only e punta sull’informalità, sulla formazione di comunità, sulla creazione di incontri casuali e momenti di ispirazione, sulla generazione spontanea di nuove idee. Oltre a vantaggi in termini innovativi (e di produttività, conseguentemente) per le aziende, la nascita di questo terzo luogo ha anche un forte impatto sulle persone, migliorando l’equilibrio tra lavoro e vita privata e la soddisfazione.
E alla fine arriva lei: l’empatia
A fare da collante tra tutti questi trend che molto probabilmente segneranno il futuro prossimo delle organizzazioni, l’empatia è l’elemento che non può mancare. Infatti il punto di partenza per i Manager di oggi e domani è importante che sia: che cosa vogliono le persone con cui collaboro? Quali sono le loro necessità e aspirazioni? Sviluppare un approccio empatico è la base per riuscire a mettere l’essere umano al centro e, solo di conseguenza, trovare il modo migliore per sviluppare la tecnologia che favorirà il business di domani.