Il tuo ruolo ti fa bene? Limiti ed equilibri per prevenire il burnout

definizione del ruolo per prevenire il burnout

Quando si parla di burnout, molto spesso si pensa ad un eccesso di carico, nella maggioranza dei casi in campo lavorativo. La verità, però, è che l’esaurimento delle energie può essere la conseguenza più di una cattiva organizzazione che del quantitativo di compiti da svolgere e che ad avere degli effetti negativi sul nostro stato d’animo sia una somma di fattori che include sia il lavoro che la vita privata. Capire come stiamo e quali sono le priorità per ciascuno dei ruoli che ognuno di noi ricopre nella vita quotidiana aiuta anche a riconoscere dove si può tracciare un limite che permetta di vivere serenamente tutte le sfaccettature di cui siamo composti. 

Lo stress: uno (su due) di noi

Se c’è un aspetto che accomuna i lavoratori di tutto il mondo in questo periodo storico, soprattutto i Millennials e Gen Z, è una vera e propria emergenza da stress. Basterebbe la situazione del nostro paese per capire quanto sia urgente iniziare a pensare in maniera concreta a delle soluzioni: infatti la ricerca The Working Future di Bain & Company, che ha coinvolto ventimila lavoratori in dieci paesi differenti, ha affidato all’Italia il primato come paese più stressato d’Europa, in cui il 64% degli under 35 intervistati dichiara di sentirsi sotto stress. Dati confermati anche dal report Gallup State of the Global Workplace del 2022, che attesta come in Italia nel corso dell’anno appena passato il 49%, quindi praticamente uno su due, degli intervistati abbia dichiarato di sentirsi stressato, il 16% di provare rabbia e ben il 27% di sentirsi triste (facendoci piazzare al secondo posto in Europa per questo sentimento, battuti solo da Cipro per un punto percentuale). 

Allargando lo sguardo a tutto il continente, la percentuale di persone che si dichiara stressata migliora leggermente, ma regala comunque un quadro abbastanza preoccupante, in quanto solo il 47% ritiene che la sua vita sia soddisfacente e fiorente da un punto di vista emotivo e personale. Il 37% dichiara di provare preoccupazione su base quotidiana (a soffrirne sono soprattutto le donne e le persone sotto i 40 anni, il 39% per entrambi i cluster) e il 39% si ritiene stressato (alzano la media gli under 40 con il 42% e le donne con il 40%). Rassicura un po’ il quadro però sapere che per il 42% degli europei lo stipendio permette di vivere in maniera serena senza preoccuparsi troppo delle finanze (a livello globale la percentuale scende al 22%).

Per riassumere tutti questi dati in una scala mondiale, c’è un dato da tener presente e che racchiude in sé il motivo per cui possiamo parlare di emergenza da stress: il 2022 è stato il terzo anno di fila in cui si è segnato un record nella percentuale di lavoratori nel mondo che quotidianamente prova stress, che è arrivata al 44%.

Sono numeri che fanno capire che ci sia molto da fare, sia in termini di società nel suo complesso che a livello aziendale, per creare un ambiente lavorativo in cui sia tutelato il benessere mentale e che permetta di avere una migliore qualità della vita. Anche perché molto stress arriva dal lavoro: uno studio di OSH ci dice che in Europa il 46% degli intervistati si sente sopraffatto dal carico di lavoro eccessivo (soprattutto donne, il 48% contro il 44% degli uomini, e persone con un contratto a tempo indeterminato, il 47% contro il 42% di chi ha un contratto precario e il 44% dei lavoratori freelance), e anche se circa la metà delle persone riconosce che si stanno facendo dei passi avanti per la tutela della salute mentale in azienda, come campagne di informazione sul tema (nel 59% dei casi), colloqui con i dipendenti per controllare il livello di stress (43%), corsi per la gestione dello stress (42%) e accesso a sedute di counselling o supporto psicologico (38%), il 50% degli intervistati ritiene ancora che parlare apertamente con il proprio capo di problemi di salute mentale avrebbe un impatto negativo sulla carriera. Nonostante la percentuale media europea sia alta, la reticenza o la paura delle conseguenze nell’affrontare questi temi varia in base alla cultura di ogni paese: in Italia, ad esempio, la percentuale sale al 63%. Nelle nostre aziende, infatti, viene ancora dato poco spazio all’attenzione alla salute mentale dei dipendenti e alla condivisione di eventuali problemi che riguardano la sfera del benessere emotivo; al contrario in Islanda, dove le conversazioni su questo argomento sono più vive e accolte con maggiore apertura, la percentuale scende al 21%.

Ma il lavoro, per quanto sia stressante, è l’unico fattore da prendere in considerazione quando si parla di burnout?

Burnout: non solo lavoro, ma anche vita privata 

Esattamente come le emozioni, i pensieri o, in senso esteso, la vita, anche il nostro benessere non funziona per compartimenti stagni: stare in una situazione di malessere al lavoro influenza la vita privata, ma anche viceversa, in un continuo scambio di sensazioni, sia positive che negative, che permeano la nostra quotidianità. Questo principio è da tenere ben presente quando si parla di burnout: spesso, infatti, si tende a cercare la causa del burnout nel lavoro (soprattutto nel suo eccesso), perdendo di vista che ad influire sul benessere psicofisico della persona sia un equilibrio olistico, che include, ad esempio, la qualità e la quantità del tempo libero, la capacità di disconnettersi o la gestione della famiglia.

Proviamo a prendere in esame le cause principali del burnout:

  • Carichi di lavoro eccessivi e protratti nel tempo
  • Mancanza di controllo sul proprio lavoro
  • Basso senso di appartenenza all’organizzazione
  • Tensioni tra colleghi e clima organizzativo non supportivo
  • Insicurezza lavorativa o mancanza di riconoscimento per il proprio lavoro
  • Lavoro monotono, ripetitivo o senza sfide e obiettivi adeguati al livello di sviluppo della persona
  • Ambiente lavorativo caotico o con pressioni eccessive

Per quanto facciano tutte riferimento all’ambiente lavorativo, sono facilmente traslabili in situazioni della vita privata:

  • Eccesso di impegni familiari e poco tempo per portarli a termine (come ad esempio la gestione dei figli)
  • Mancanza di controllo su situazioni che riguardano i familiari di cui ci si sente responsabili (figli, ma anche genitori)
  • Rottura o deterioramento di un legame affettivo (ad esempio un divorzio)
  • Mancanza di un senso di riconoscimento di quello che si fa nel corso della giornata (ad esempio la gestione della casa)
  • Senso di annullamento dovuto al carico di impegni che fa perdere di vista chi si è realmente
  • Pressioni e responsabilità che impediscono un’organizzazione efficace della giornata.

Quando un dipendente inizia a dare segni di un forte stress, quindi, può aver senso non solo valutare la sua vita lavorativa, ma ampliare lo sguardo alla situazione personale nel suo complesso e capire come si può dare una mano: prevenire il burnout ha molto a che fare con l’organizzazione, in quanto spesso non è il carico di lavoro e di impegni ad essere sbagliato, ma il modo in cui lo si gestisce e si tenta di incastrare tutti i pezzettini del puzzle di cui si compongono le giornate a creare caoticità. 

Per fare questo, è importante che le aziende riescano a dare supporto ai dipendenti e ai collaboratori, creando spazi di dialogo. Vanno valorizzate e protette i momenti di condivisione come gli incontri di feedback e feedforward piuttosto che i percorsi di Coaching, nell’identificare quali sono le priorità, sia lavorative che personali, di ciascuno.

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L’importanza del ruolo: dove finisce il job title e comincia la persona

Ognuno di noi nel corso della giornata ricopre più ruoli: quello sul posto di lavoro, quello di genitore, di figlio, di marito o moglie, di amico, di persona sportiva o appassionata di lettura. Non sempre però è facile, soprattutto da quando è possibile lavorare da remoto, riuscire a chiudere, anche metaforicamente, la porta per separare ciò che si è e ciò che si fa per lavoro da tutto il resto: eppure sapere come fare per, da un lato, comprendere e, dall’altro, mantenere la giusta distanza dal proprio ruolo o dai propri ruoli è fondamentale per riuscire a portare avanti in parallelo e in maniera sana tutte le sfaccettature della propria quotidianità.

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È importante quindi per ogni persona avere ben presente chi si è in ciascuna situazione, quali sono le sensazioni che ciascun ruolo causa, i propri compiti e responsabilità perché in questo modo si possono stabilire i confini più giusti. In questo un grande aiuto, soprattutto per le risorse più giovani, che sono quelle più soggette a stress e conseguente burnout, può arrivare anche dalle figure manageriali, che possono farsi promotrici di una cultura più flessibile e attenta alla salute mentale dei dipendenti.

Sono tanti infatti gli aspetti che pesano sul benessere psicologico di chi si trova nella fascia di età 30-40 (oltre al carico di lavoro, spesso molto elevato a cui in alcuni casi si associa un’instabilità contrattuale e una retribuzione che non rispecchia le aspettative, ma anche scelte personali, come se avere una famiglia o no, le conseguenze della pandemia che ancora si fanno sentire in maniera molto forte o la situazione globale da un punto di vista sia politico che ambientale) e un manager può fornire un valido aiuto sia nel riconoscere i segnali dell’insorgere del burnout che nel prevenirli. Oltre a un ascolto e un’osservazione costante dello stato d’animo dei collaboratori, un manager può aiutare nel diffondere la consapevolezza dei rischi del burnout, anche provando a contrastare atteggiamenti tossici come il lavoro extraorario o nel weekend. Ma può fare la differenza soprattutto nel creare consapevolezza sui ruoli che vivono le persone con cui lavora, attuando con loro un percorso per comprendere come stanno in quei ruoli, cosa li motiva, quali sono le priorità di ciascun ruolo, in modo da guidarli nel porre quei limiti che possono tutelare dal sovraccarico mentale ed emotivo.

La differenza nel trovare un modo di lavorare più equilibrato e adatto alle necessità di ciascuno, quindi, la possono fare proprio le persone che occupano le posizioni più alte delle gerarchie, che dettano i ritmi e le regole dell’ambiente lavorativo.  

Work life integration: molto più di work-life balance

Lo smartworking ha cambiato le nostre vite sotto tanti aspetti, ma una delle sue promesse non è stata (del tutto) mantenuta: migliorare l’equilibrio tra vita e lavoro. Una ricerca di McKinsey & Company, infatti, dimostra come esista un vero e proprio stress da smartworking, soprattutto per chi ricopre più ruoli durante la giornata, come ad esempio quello di genitore o più in generale di caregiver. Il concetto di work-life balance, quindi, inteso come una divisione equilibrata e in parti uguali di lavoro e vita privata, si è dimostrato quasi del tutto utopistico.

Il modello di lavoro, dopo essere cambiato drasticamente con la pandemia, sta continuando ad evolvere ed è per questo che le aziende ora devono provare a fare un passo in più, attuando strategie che facciano evolvere il concetto di work-life balance in work-life integration, ovvero un’integrazione dei due aspetti che abbia come capisaldi l’ottimizzazione dei tempi, il coinvolgimento delle persone e la qualità nel realizzare i progetti. La work-life integration, quindi, è un modo per dare la possibilità alle persone di dedicare uguale tempo ed attenzione a tutte le aree della loro vita, senza dover necessariamente sacrificare l’una per l’altra.

Le aree su cui un’azienda può lavorare per andare in questo senso sono:

  • Flessibilità: negli orari di lavoro e nelle modalità di interazione tra colleghi
  • Attenzione alle esigenze: consentendo alle persone di integrare la vita lavorativa in modo diverso per ciascuno, sulla base sia degli impegni professionali che di quelli personali
  • Pianificazione anche in base all’orologio biologico: per permettere a tutti di coordinare al meglio vita lavorativa e vita privata
  • Maggiore importanza alla produttività: non importa quante ore si lavora ma quanto le si sfrutta. Bisogna concentrarsi sul valore che si crea piuttosto che sulle ore passate al computer

Tutti questi accorgimenti permettono ai collaboratori di riuscire a destreggiarsi in maniera più comoda ed efficace tra i vari ruoli ricoperti nella giornata, migliorando davvero il benessere mentale e la qualità della loro vita e, di conseguenza, prevenendo il burnout.