In Italia (ma non solo) spesso la cura dei figli viene percepita come un compito esclusivo della madre, a cui vengono affidate tutte le responsabilità. Infatti un tema dibattuto da tempo è quello dell’equilibrio tra vita privata e vita lavorativa delle madri lavoratrici. Molto meno si parla invece delle difficoltà che i padri che vorrebbero attivamente contribuire alla crescita dei propri figli incontrano sul posto di lavoro. La scelta di dedicarsi ai propri figli per un uomo per ora risulta alquanto complicata. Ciò dipende parzialmente dalle leggi e dalle norme vigenti, ma anche dalla cultura lavorativa che non considera e addirittura penalizza gli uomini che scelgono di dedicarsi attivamente ai propri figli. Se da un lato, però, le cose stanno iniziando a cambiare, sia a livello culturale che legislativo, dall’altro serve che anche le aziende facciano la loro parte per costruire una società in cui la genitorialità, sia maschile che femminile, sia supportata. Una società in cui nessuno è costretto a scegliere tra carriera e famiglia è una società in cui tutti possono decidere cosa fare e vivere con completezza il loro modo di essere.
Ci sono scelte che mettono davanti a un bivio e che, una volta prese, precludono la strada ad una possibilità diversa rispetto a quella che si è deciso di seguire. La scelta tra genitorialità e carriera non dovrebbe essere una di queste.
Lavoro e vita familiare sono due aspetti che influiscono allo stesso modo sulla soddisfazione e sulle aspirazioni personali, quindi è importante che le organizzazioni riescano a trovare un modo per realizzare sistemicamente un equilibrio che consenta di raggiungere i propri obiettivi in entrambi i campi, senza rinunciare a niente.
Il primo passo che come società stiamo compiendo negli ultimi anni è lo scardinamento del pregiudizio secondo cui l’aspetto di cura dei figli spetti di più (se non solo) alla madre: un’idea che ha delle conseguenze notevoli sull’economia e sul gender gap, in quanto contribuisce a mantenere basso sia il tasso di natalità che quello di occupazione femminile, ostacolando l’autorealizzazione e l’indipendenza, e lascia gli uomini costretti in un ruolo che blocca loro la possibilità di vivere l’esperienza genitoriale e di essere davvero partecipi del nuovo assetto familiare. Infine (ma non meno importante) andare a rompere questa cultura ha anche degli effetti positivi sulla salute del bambino.
Come infatti afferma Paola Villa in Cenni storici sui congedi di paternità in Italia, “Laddove i padri partecipano maggiormente alla cura dei figli e alla vita familiare, i bambini hanno risultati cognitivi ed emotivi più elevati, e migliore salute fisica. E i padri che si impegnano di più con i loro figli tendono a riportare una maggiore soddisfazione personale e una migliore salute fisica e mentale, rispetto a chi si occupa meno e interagisce meno con i propri figli”.
C’è ancora tantissimo da fare, però: nonostante le nuove leggi e un progressivo cambio di mentalità, una ricerca promossa dalle Nazioni Unite che ha coinvolto paesi di diverse aree del mondo testimonia come durante la pandemia da Covid-19 le attività di cura dei bambini abbiano impegnato in media 31 ore a settimana per le donne e solo 23,8 per gli uomini.
Non solo maternità, ma anche paternità e congedi parentali
Dare la possibilità ad entrambi i genitori di godere di congedi a seguito della nascita di un figlio è sicuramente uno strumento di equità che agevola il momento di cambiamento che l’intero nucleo familiare sta vivendo e favorisce una più giusta divisione di compiti, senza dare a solo una parte della coppia tutto il peso e la responsabilità di ciò che sta succedendo.
Modificare le leggi sul congedo di paternità quindi era una necessità di cui da lungo tempo si sentiva il bisogno. A fare da traino su questo aspetto, in Europa, c’è la Spagna che nel 2022 ha equiparato il numero di settimane di congedo di paternità obbligatorio retribuito a quello di maternità (16 settimane): un paese che, come dimostrano i dati OCSE relativi al 2020, fa da apripista da anni, staccando di molto il Portogallo (al secondo posto con 5 settimane) e ancora di più l’Italia (al 18° posto con 1,4 settimane).
In una fase seguente alla nascita, possono venire incontro alle famiglie i congedi parentali, ovvero periodi di astensione dal lavoro che in Italia arrivano a 6 mesi, che possono essere richiesti sia dalla madre che dal padre, anche contemporaneamente, entro i 12 anni di età del bambino.
Però, come testimoniano sempre i dati OCSE che analizzano il periodo che va dal 2016 al 2020, se da un lato sono aumentati i numeri di congedi di paternità goduti (da poco meno di 95 mila nel 2016 a circa 135 mila nel 2020), dall’altro il 79,5% delle persone che hanno fruito del congedo sono ancora donne.
Questo mette sicuramente in evidenza una tendenza e un cambiamento culturale in atto, ma dimostra anche che le leggi (per quanto siano necessarie) ancora non bastano.

Che cosa può fare un’azienda per favorire la genitorialità?
Quando la necessità di un cambiamento si fa sentire, non bisogna aspettare che la trasformazione arrivi dall’alto, ma possiamo noi stessi farci promotori del cambiamento. Questo è valido anche e soprattutto per le aziende che si relazionano con il tema della genitorialità: sono tante infatti le iniziative che si possono intraprendere per permettere a dipendenti e collaboratori di trovare nel posto di lavoro un supporto, sia valoriale che quotidiano, nella propria scelta di essere genitori.
Come testimonia anche il report di Save the Children LE EQUILIBRISTE La maternità in Italia 2022, in questo caso assume un ruolo sempre più rilevante la scelta delle aziende di avere un buon sistema di welfare: il welfare, infatti, è una forma di investimento che può avere un impatto di valore non solo perché aiuta economicamente i dipendenti, ma perché contribuisce a creare un clima in cui tutti si sentono accolti, tutelati e compresi.
Tra i principali benefit che un’azienda può proporre ci sono:
- smartworking e orario flessibile, per andare incontro alle esigenze organizzative della vita privata delle persone
- servizi aziendali, come asili nido per creare un’alternativa agli asili comunali, in cui è molto spesso complicato trovare posto
- sanità e previdenza integrativa, con servizi assicurativi che coprono le spese mediche non solo del lavoratore, ma di tutta la famiglia
- agevolazioni economiche e convenzioni, con strutture ricreative, associazioni culturali o negozi per tutta la famiglia
- supporto psicologico per aiutare i genitori in momenti di difficoltà
Il Coaching: un supporto a genitori, neo genitori e genitori futuri
Diventare genitori è un evento che cambia l’assetto della vita delle persone, ne modifica le priorità, le prospettive, i valori e ne sconvolge la quotidianità. Essere spaventati, incerti, vulnerabili, quindi, è normale. Si tratta di una fragilità che, però, seguendo la logica della performance che molto spesso ancora impera sui posti di lavoro, i nuovi genitori possono ritrovarsi costretti a nascondere, alimentando così la sensazione di ansia e di inadeguatezza, con ripercussioni sia sulla salute mentale e della famiglia che dell’ambiente dell’azienda.
Questo è vero soprattutto per le donne, per cui la scelta della maternità è ancora vista (molto più che per gli uomini) come un ostacolo alla carriera, se non, nei casi peggiori, una vera e propria debolezza. Ma anche per gli uomini può essere una questione spinosa: un uomo che sceglie di essere più presente nella vita dei figli può non essere compreso dal capo e dai colleghi, può vedere intaccato il suo ruolo di responsabilità e messa in discussione la sua autorevolezza o la fiducia nei suoi confronti. Vivere a pieno la paternità è ancora qualcosa che esce dagli schemi mentali e per questo crea delle resistenze.
Per realizzare davvero un ambiente in cui le persone non si ritrovino scisse tra il desiderio di famiglia e l’ambizione lavorativa, bisogna puntare sul valore che ognuno può dare e su una cultura aziendale più inclusiva. Uno strumento fondamentale in questo senso nella gestione delle persone è il dialogo. Innanzitutto perché la necessità crescente dei padri di essere presenti in famiglia crea un conflitto generazionale: se per i Baby Boomer era normale che a occuparsi di casa e figli fosse la donna, la generazione dei Millennial è attenta alla parità e all’equa divisione dei compiti. L’unica leva che ha un manager per andare incontro alle necessità del collaboratore, soprattutto quando queste si discostano, anche in termini valoriali, dalle sue, è parlarci per capire che cosa vuole davvero: per farlo è importante costruire con le risorse una relazione costante, nel tempo, di fiducia e apertura, che permetta uno scambio finalizzato a far emergere e comprendere i sentimenti, le difficoltà e gli eventuali momenti di stanchezza.
L’apprendimento dell’importanza del dialogo si può acquisire attraverso un adeguato percorso di Coaching, che, nel campo della genitorialità, può anche aiutare un’azienda a:
- lavorare su una nuova linea di leadership: al pugno di ferro e alla barra costantemente dritta si può sostituire un approccio più importato all’empatia, all’ascolto, alla creatività e al pensiero laterale. Le strade da tracciare sono molteplici e una non esclude l’altra: esattamente come la genitorialità non esclude la carriera e viceversa. Far passare il valore della flessibilità e della capacità di adattamento può essere una dimostrazione utile ai collaboratori per veicolare il messaggio che l’azienda li appoggia nelle loro scelte e si prende cura del loro benessere.
- migliorare la gestione del tempo, l’organizzazione del team e la capacità di delegare: l’assenza di una persona in congedo di paternità o maternità può essere vista come un problema (e di conseguenza un costo) per l’azienda, un disagio nel caso in cui il collaboratore abbia bisogno di assentarsi, anche dopo il rientro dal congedo, ogni volta che il bambino ne ha bisogno. Una buona organizzazione, che prevede la possibilità di avere un orario flessibile o di lavorare da casa, la capacità di delegare e la collaborazione del team sono un valido supporto per evitare che il lavoratore/genitore si senta in colpa o percepisca di essere venuto meno alle sue responsabilità. Il modo di portare comunque a termine il lavoro con efficacia c’è, bisogna solo trovarlo.
- migliorare la comunicazione interpersonale, ponendo l’attenzione anche su quella non verbale: lasciare spazio ai colleghi di esprimersi liberamente senza che sentano di dover nascondere agli altri qualcosa, notare un disagio prima che diventi preponderante aiuta a costruire un ambiente di lavoro più sereno sotto tutti i punti di vista.
Attraverso percorsi specifici di Coaching ai neo genitori, inoltre, si può rendere più facile il rientro sul posto di lavoro mostrando come vita privata e carriera non si escludono, ma si completano (e arricchiscono) a vicenda:
- valorizzando le competenze che un nuovo genitore assume: quando si diventa genitori si migliorano le capacità di problem solving, di multitasking, di negoziazione. Tutte skill che, se si ha la possibilità di portare sul posto di lavoro, possono essere utili all’azienda. Delle esperienze che si fanno fuori dall’ufficio niente va buttato: è importante però trovare il modo per valorizzarle e renderle utili sul lavoro, facendo sentire a tutti di essere partecipi di qualcosa di valore.
- capendo in che modo può evolvere la carriera in una nuova fase della vita: per i neo genitori il Coaching può essere d’aiuto per ricostruire il percorso lavorativo. Stabilire nuovi obiettivi, creare un processo di reinserimento basato sulla consapevolezza, ma anche offrire un sostegno a tutto tondo nella gestione del doppio ruolo lavoratore/genitore sono strumenti che il Coaching può dare per creare un miglior equilibrio tra vita professionale e privata.
L’aiuto da parte delle aziende alle famiglie nella gestione degli equilibri quotidiani è un supporto fondamentale e preziosissimo, anche in termini economici. Non dare la possibilità ai neo genitori di vivere a pieno entrambe le dimensioni può portare a tre scenari:
- il neo genitore torna dopo il periodo di congedo, ma non trova un supporto adeguato in azienda: questo causa stress, ansia, cattiva concentrazione, insoddisfazione e, sulla lunga distanza, può portare al burnout o perdita di motivazione
- il neo genitore decide di non tornare dopo un congedo parentale: questo per l’azienda significa dover trovare un’altra persona, formarla e aspettare che acquisisca tutte le competenze che aveva la persona precedente
- un collaboratore decide di non diventare genitore per non affrontare le difficoltà che ha visto nei suoi colleghi: impedendosi quindi di vivere una felicità che avrebbe voluto e di sviluppare competenze che avrebbero potuto essere utili.
Al contrario, invece, un ambiente in cui è stato realizzato l’approccio del Coaching, favorisce la serenità e lo sviluppo delle persone in tutte le loro dimensioni, inclusa quella genitoriale. Diventare madre o padre e prendersi un periodo di pausa (oppure no) dal lavoro per i figli deve essere solo una scelta personale, non dovrebbe essere influenzata dal contesto lavorativo, e trasformare la cultura dell’azienda per realizzare un ambiente in cui sia davvero così è fondamentale per trattenere i talenti, continuare a stimolarli ad essere se stessi e renderli felici e soddisfatti.