La sfida dei team internazionali: allenarli con il Coaching

Il Team Coaching è una disciplina finalizzata ad aiutare i team a diventare più funzionali e produttivi. Il Coach lavora insieme al team per creare coesione, comprensione sui punti forti per valorizzarli e su quelli deboli per migliorarli. Serve per far sì che il team riesca a realizzare aspetti e individuare elementi di cui le persone individualmente non riuscirebbero mai a diventare consapevoli. Tutto questo è già una bella sfida in un ambiente culturalmente omogeneo: in un contesto multiculturale la complessità aumenta ulteriormente.

Oggi ci sono inoltre tanti team che lavorano anche per molto tempo in remote, addirittura alcuni non si incontrano mai di persona, ma si conoscono solo attraverso lo schermo del computer. A maggior ragione in queste situazioni, serve avere una profonda consapevolezza su come relazionarsi con gli altri, su come prendere decisioni funzionali ed efficaci, su come gestire il tempo.

Cristina Nava, Executive Business Coach e Anja Puntari, Senior Business Coach, lavorano con team internazionali supportandoli e fornendo loro gli strumenti per mettere a fuoco come intervenire sulle dinamiche collettive e come diventare più efficaci. Due Business Coach di origini diverse, Cristina italiana e Anja finlandese: il tema dell’interculturalità è così presente anche nella loro coppia di lavoro.

Anja, in riferimento alla tua esperienza, quali sono le principali sfide e problematiche che riguardano i team internazionali? In che modo il Coaching ha contribuito a risolverle e migliorare le dinamiche di team?

AP: Il Business Coaching getta luce e consapevolezza sulle dinamiche che si instaurano nei team, e in particolare, su quelle che possono essere le difficoltà, le incomprensioni, e gli attriti dovuti meramente a differenze culturali e geografiche, in modo da migliorarne la gestione e le relazioni interpersonali, anche nella distanza fisica e culturale. Le differenze culturali, potenziale fonte di ricchezza, crescita, innovazione, se non valorizzate e affrontate con consapevolezza, possono invece allontanare, portando nei team internazionali malesseri e malfunzionamenti: serve allenare le competenze giuste, e in generale un approccio di apertura al nuovo e al diverso, che non è scontato soprattutto nella frenesia del lavoro giornaliero, a maggior ragione quando poi si lavora da remoto.

Inoltre, entrare in contatto con culture diverse permette di instaurare un dialogo estremamente fruttuoso, non solo sul piano lavorativo. Innanzitutto poter osservare nel quotidiano, con i propri occhi, prospettive, modalità di comunicazione, espressioni ed emozioni differenti dalle proprie non solo è fonte di arricchimento, ma consente anche di diventare più consapevoli di sé, delle proprie dinamiche interiori e dei propri condizionamenti dovuti al contesto e al proprio background culturale. Per usare la metafora, il pesce non è consapevole dell’acqua: finché siamo immersi in qualcosa, come una determinata cultura, non ci rendiamo conto delle sue peculiarità e del modo in cui queste ci influenzano, e perciò è necessario un punto di vista esterno, che ci consenta di uscirne e considerarlo da fuori.

Cristina, nel tuo lavoro di Coach, quali sono i maggiori benefici che vedi che il Coaching porta ai team internazionali?

CN: Dal mio punto di osservazione, quando lavoro con team internazionali, è davvero affascinante assistere all’emersione di comportamenti latenti. Per esempio, ho recentemente lavorato con un team composto da 6 nazionalità diverse, con una grande presenza di culture “latine” e culture “nordiche”. Il team era molto sotto stress, concentrato sul come, sull’obiettivo… ognuno tirava verso il proprio interesse e sottobiettivo, ma con modalità differenti. Era evidente un conflitto sotteso, non esplicitato e una mancanza di fiducia reciproca. Durante una delle sessioni è esploso un conflitto molto forte, in diretta. Nel ruolo di Coach, noi abbiamo dato spazio a questo momento molto importante, abbiamo supportato il team nel prenderselo in carico, nel gestirlo secondo la lettura culturale di ognuno, e nell’indirizzarlo verso una direzione comune come team. Incredibile è stata la reazione “culturale” di ognuno: in alcune culture, per esempio, alzare la voce, essere diretti e usare toni concitati sono comportamenti considerati tabù… questo tipo di reazioni infatti provoca sofferenza, imbarazzo e anche diffidenza.
In altre culture, al contrario, è normale “scontrarsi” apertamente e successivamente prendersi un caffè, quasi come se nulla fosse successo… reazione, questa, incomprensibile agli occhi di ulteriori altre culture.

Il Coaching aiuta proprio a stare nell’apprendimento, a comprendere e condividere il significato di un impatto sul singolo e di conseguenza sul team, a esplicitare la parte emotiva, a indirizzare le reazioni e a riconoscere il valore di questo confronto per le persone e per il team, che è un organismo che sa agire e reagire, con consapevolezza. Questo permette di maturare e di elevarsi.

I team internazionali, in questo senso, hanno una ricchezza incredibile, che il Coach aiuta a esplicitare e a rendere pubblica, leggibile e comprensibile.

Anja, quali competenze e comportamenti, se attivati, sono efficaci nel migliorare le dinamiche e l’operato di team in cui collaborano persone provenienti da paesi diversi e che parlano lingue diverse?

AP: Senz’altro le competenze su cui serve lavorare all’interno di un contesto internazionale, composto da persone con provenienze culturali diverse, sono la comunicazione interpersonale efficace, il decision taking e la leadership. Può poi essere utile focalizzarsi anche su come dare e ricevere feedback costruttivi. Risulta senz’altro abbastanza facile per tutti capire che lo stile comunicativo può essere molto diverso tra i vari paesi e le differenti culture. Un tema che ho notato durante gli anni in cui svolgevo il ruolo di esperto nel Programma Horizon 2020 in UE è per esempio quello dell’approccio nordico, specialmente dei miei connazionali finlandesi, molto diretto che spesso causava un allontanamento da parte dei rappresentanti di altre culture, specialmente quelle latine. I finlandesi tendono a fare poco small talk e a voler andare direttamente al tema dell’incontro. Per gli italiani, gli spagnoli e i francesi, questo modo “poco relazionale” risulta troppo violento e poco produttivo. Il finlandese invece, dal suo punto di vista, si stanca e trova frustrante il fatto che le cose procedano troppo lente, o che bisogna ripetere cose già dette: ho visto per esempio delle scene in cui gli italiani hanno ridiscusso gli stessi argomenti più volte e i finlandesi non capivano perché ci fosse bisogno di tornare su aspetti già precedentemente conclusi. In generale, c’è poi una predilezione da parte dei popoli nordici verso la comunicazione scritta mentre i latini preferiscono quella verbale, per esempio facendo una telefonata. Insomma, anche la scelta del canale di comunicazione da usare subisce un’influenza culturale.

Per quanto riguarda lo stile di Leadership, senz’altro i nordici prediligono un approccio che lascia ampia responsabilità al singolo, mentre nel Sud-Europa è maggiormente diffusa una gerarchia top down. Poi ovviamente dipende dall’organizzazione e dagli individui coinvolti. Queste sono solo delle generalizzazioni operate in base alle situazioni che ho potuto osservare nel mio lavoro e ovviamente riguardano contesti europei perché io sono soprattutto attiva qui. Per le poche esperienze che ho avuto fuori dal continente Europeo, ho riconosciuto nello stile messicano alcuni tratti simili alla cultura italiana e infatti nel progetto su cui sono attualmente con team members italiani e messicani il modo di fare comportamentale culturale non crea tanti ostacoli. La cultura più lontana che ho conosciuto è stato quella indiana, dove sono stata anche fisicamente per due mesi nel 2006 e devo dire che sono tornata con la sensazione di aver toccato solo la superficie per quanto riguarda la complessità di quel mondo molto ricco di modelli di pensiero diversi.

Tornando alle competenze da allenare nei contesti internazionali merita un’attenzione anche il feedback poiché anch’esso risente fortemente delle differenze culturali. In generale, possiamo dire che gli europei, quando danno feedback ai collaboratori, tendono ad essere molto “sinceri” e ad esprimere ciò che pensano senza filtri, mentre per esempio gli americani seguono la regole del sandwich, che consiste nel “confezionare” un parere negativo accompagnandolo con tre positivi, tre espressioni di apprezzamento dell’operato. Possono così nascere delle incomprensioni o dei fraintendimenti, per esempio tra un capo americano e un riporto europeo: dal feedback dell’americano l’europeo potrebbe pensare di aver svolto un ottimo lavoro quando in realtà, al contrario, il suo superiore potrebbe nutrire dei dubbi sulla sua performance.

Qual è stato un libro o un film per voi, come Coach, particolarmente utile per affrontare al meglio questo tipo di progetti con team internazionali?

AP: Un libro molto ricco di spunti e riflessioni in relazione ai temi di interculturalità è The Culture Map di Erin Meyer. In questo libro si trovano innumerevoli esempi pratici, oltre che una teoria interessante sul concetto di cultural effectiveness in contesti multiculturali.

CN: Un film che mi ha colpito profondamente sulle differenze culturali e su come il punto di contatto, a volte, si accenda su tematiche molto vicine, che accelerano la connessione e la comprensione è Invictus – L’invincibile.

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