Comunicazione interpersonale: Cosa arriva all’altro?

Comunicare è facile: tutti lo facciamo e, anzi, non possiamo non farlo. La comunicazione è infatti componente fondamentale della vita umana, esprimersi è un’esigenza: ci permette di relazionarci con gli altri e vivere in società. Ma comunicare in maniera adeguata ed efficace non è così immediato. Come abbiamo approfondito nell’articolo Esiste l’equazione della perfetta comunicazione, sono tanti gli elementi da monitorare: non comunichiamo solo con le parole, la cui scelta è comunque fondamentale e significativa, ma anche con i gesti, il tono di voce, la postura, l’espressione del volto, il ritmo, l’intenzione che abbiamo. Ciò che comunichiamo non è solo ciò che diciamo: trasmettiamo emozioni, sensazioni, atteggiamenti, veicoliamo valori e storie; ancora, creiamo legami, trasformiamo incontri in vere e proprie relazioni.

La comunicazione è così una dinamica sociale molto delicata, con conseguenze di ampia portata. Questo è ancor più vero sul luogo di lavoro, in cui le dinamiche relazionali e il clima collettivo hanno un’importanza cruciale. Il modo in cui comunichiamo ha un impatto dirompente capace di determinare il nostro successo come professionisti e quello di intere organizzazioni.

A questo proposito, molti sono gli studi che dimostrano come i dipendenti capaci di creare relazioni sane e costruttive e i team governati da dinamiche funzionanti contribuiscono in modo significativo al successo dell’azienda, in termini di produttività, fatturato e benessere. Reinsch e Gardner (2011) hanno citato i risultati di un sondaggio rivolto a dirigenti d’azienda, confermando addirittura che i lavoratori con forti capacità nella comunicazione interpersonale sono considerati con più facilità dai loro superiori per ulteriori promozioni: conoscere come comunicare in maniera adeguata con i propri collaboratori fa dunque la differenza anche sulle possibilità di carriera dei singoli.

Proprio in quest’ottica, molte aziende integrano, ai percorsi di formazione dei dipendenti, moduli espressamente dedicati all’acquisizione di skills di comunicazione interpersonale, con l’obiettivo di aumentare il coinvolgimento e l’impegno, come racconta ad esempio la ricerca di Hynes (2012), Improving Employees’ Interpersonal Communication Competencies: A Qualitative Study.

Anche se sappiamo quanto è importante una comunicazione interpersonale chiara, e in generale intrecciare relazioni funzionanti sul lavoro, nella pratica poi non è così semplice: lo sperimentiamo quotidianamente sul luogo di lavoro. Quante volte, con i nostri collaboratori, sorgono incomprensioni, fraintendimenti e conflitti che influiscono negativamente sul nostro rendimento, oltre che sul nostro benessere? A chi non è capitato di perdere un cliente importante, di non riuscire a chiudere una negoziazione o una trattativa in modo soddisfacente e non capire esattamente cosa non ha funzionato? La conseguenza di tutto questo non è solo quella di rovinare le relazioni con i colleghi o, in generale, i nostri interlocutori: il clima di ansia, stress, rabbia, malessere e timore compromette le dinamiche di team, diminuisce l’efficacia individuale e collettiva, rischia di ostacolarci nel raggiungimento degli obiettivi di business.

Conoscere come comunicare con gli altri in modo funzionale diventa quindi cruciale, soprattutto nei contesti organizzativi. Un approccio di Coaching agevola in questo senso perché consente di costruire un dialogo genuino con l’altro e di aprire uno spazio di scambio reciproco in cui entrambi gli interlocutori sono pienamente coinvolti e si accolgono a vicenda.

La comunicazione interpersonale è una delle competenze sulla quale ci viene sempre più spesso chiesto di lavorare nelle sessioni di Coaching. Tramite l’allenamento, grazie anche all’uso di strumenti come il Dizionario del toolkit flowknow® dove questa competenza viene declinata in comportamenti osservabili facilmente comprensibili, il Coachee apprende come attuare uno scambio conversazionale pienamente appropriato al contesto, all’obiettivo e alla persona che si trova di fronte. Quali sono dunque i comportamenti da mettere in pratica e quali altre competenze sono richieste per una comunicazione interpersonale efficace?

Le competenze e i comportamenti per una comunicazione interpersonale efficace

Innanzitutto, per stare con efficacia in una conversazione con l’altro devo aver ben presente:

  • con chi mi relaziono
  • l’obiettivo dello scambio
  • il contenuto che voglio comunicare
  • il modo in cui lo comunico: il mezzo, il tono, il luogo ecc..

Una comunicazione interpersonale efficace si attiva poi in concomitanza con altre competenze. Sono indispensabili:

  • L’intelligenza emotiva
  • L’ascolto attivo
  • La sospensione del giudizio

Il primo passo è quello di fare chiarezza, innanzitutto, dentro di sé: questo significa avere una solida consapevolezza di ciò che si vuole comunicare, per articolare il proprio punto di vista chiaramente. Tra ciò che siamo intenzionati a dire e ciò che arriva effettivamente all’altro c’è una grande differenza. Lo schema sottostante visualizza l’imbuto tra ciò che è la nostra intenzione iniziale, ovvero ciò che vogliamo passare all’altro e ciò che effettivamente l’altro carpisce e ricorda dopo. Per conversazioni critiche bisogna infatti riflettere in maniera acuta su qual è il messaggio principale che vogliamo passare all’altro per non perderlo in mezzo a contenuti di minore valore.

Un ruolo fondamentale nella comunicazione interpersonale lo ha poi il sentito emotivo, ma anche l’attenzione al contesto e alla persona con cui mi interfaccio. Per questo diventa fondamentale l’intelligenza emotiva. Porre attenzione al sentito proprio e altrui, creando un clima in cui le emozioni possono emergere ed essere comprese permette di entrare pienamente in sintonia e in contatto con l’altro. Consapevolezza emotiva significa anche saper fermare un contagio emotivo distruttivo che nuoce la conversazione e a volte prendere le giuste distanze dall’altro. Una relazione di empatia nasce dalla nostra capacità di sentire ciò che accade dentro di noi. Da un lato infatti saper gestire le proprie dinamiche interne significa esercitare maggiore controllo sull’energia che trasmetto mentre comunico e così su ciò che arriva all’esterno; dall’altro lato incentivare l’espressione delle emozioni altrui e ascoltarle consente di comprendere chi ho di fronte, allineandosi e così trovando le leve giuste.

L’ascolto attivo invece è fortemente connesso alla sospensione del giudizio. L’atteggiamento da adottare è quello di apertura: ascoltare l’altro significa orientarsi a comprenderlo, non solo non interrompere l’interlocutore mentre parla, ponendo attenzione a ciò che dice senza aver fretta di rispondere, ma anche cercare di coglierne esigenze e tempistiche. Significa osservare gli elementi verbali e non verbali, come per esempio i gesti, le espressioni e la postura. Questo permette di adeguare non solo il linguaggio, in modo che sia comprensibile all’interlocutore, ma anche il tono e il ritmo della conversazione, aspetto cruciale e determinante perché questa abbia una buona riuscita. Sembra facile ma in pratica non lo è. Come dice Anja Puntari, Senior Business Coach: «Ascolto e osservazione sono due pratiche faticose da mettere in atto, perché non abbiamo tempo, perché richiedono pazienza, perché non ne comprendiamo il valore né sappiamo praticare i comportamenti necessari per attivarle».

Quanto spesso ci succede di far fatica a seguire l’altro semplicemente perché troppo lento o veloce in confronto al nostro modo di fare e pensare? Oppure perché abbiamo fretta e semplicemente manca il tempo necessario? L’altro non riesce a finire la frase perchè non abbiamo la pazienza di aspettare. Il pensiero principale sembra essere: “So già cosa vuol dire”, ma la maggior parte delle volte è un pensiero errato poiché non possiamo mai sapere come l’altro concluderebbe la sua frase, se non gliene diamo la possibilità. Le interruzioni poi vengono quasi sempre percepite come un modo irritante di conversare e non giovano lo scambio. Nel film zootropolis vediamo una scena eccezionale sul concetto di tempo personale e il disallineamento che porta con sé in una conversazione tra diversi interlocutori.

Altrettanto importante a questo scopo è l’utilizzo di pause, per lasciare il tempo di assimilare ciò che è stato comunicato, e quello delle domande, per accertarsi che l’interlocutore abbia compreso. Allo stesso modo assicurarsi di aver capito a fondo il punto di vista altrui evita eventuali incomprensioni e fraintendimenti, spesso fonte di discussioni e conflitti.

Affinché ci sia un incontro, aperto e fruttuoso per entrambi, è necessario così predisporsi a fare spazio all’altro. La comunicazione è infatti un processo che coinvolge due soggettività distinte, me e l’altro, ciascuno con i propri universi personali e i propri background. La scelta delle parole, il modo in cui vengono pronunciate, gli stati emotivi, fluiscono all’interno del canale che intercorre tra i due, e inevitabilmente incontrano (o si scontrano con) linguaggio, pensiero, emotività, atteggiamento, vissuto dell’altro: tutti filtri interpretativi che rischiano con elevata probabilità, se non stiamo attenti, di distorcere il messaggio complessivo.

L’aspetto forse più difficilmente comprensibile a tanti è quello che riguarda l’energia. Noi siamo infatti fatti di energia e in una conversazione tra due o più interlocutori c’è sempre uno scambio di energia, una tensione in cui la presenza degli interlocutori è evidente. L’energia va aldilà delle parole e determina quanto potenti, forti, intenzionati, convinti arriviamo all’altro. A volte al lavoro ci tocca affrontare conversazioni complicate dove diventa essenziale arrivare con una carica energetica forte. In questi casi ci vuole anche una preparazione prima e dopo per accogliere l’energia necessaria e per scaricare eventuali tensioni.

Comunicazione efficace: per iscritto o a parole?

«The medium is the message» diceva già Marshal McLuhan e con ciò intendeva che il tipo di comunicazione che effettuiamo dipende fortemente dal canale scelto poiché il mezzo attraverso cui comunichiamo influenza anche ciò che arriva all’altro. L’ascolto e la comunicazione interpersonale non deve infatti limitarsi a se stesso e all’altro, ma deve aprirsi all’esterno, come osservazione profonda del contesto e della situazione. Qui scegliere il momento opportuno e le modalità più appropriate diventa cruciale.

A questo proposito, dal nostro osservatorio di Coach ci è capitato di incontrare team caratterizzati da dinamiche poco funzionanti, a causa di un utilizzo sbagliato della messaggistica scritta. La comunicazione che non va in tempo reale può rendere più fluida la gestione dei task. Le e-mail e le chat ci sono di grande utilità se usate per passare le informazioni da una persona all’altra in un momento opportuno a ciascuno. Come dicevano già i latini lo scritto inoltre ancora il messaggio a un supporto su cui possiamo tornare dopo. A volte questo è importante per creare chiarezza su ciò che abbiamo pattuito, su ciò che bisogna fare. Dall’altro canto lo scritto a volte non permette un contatto empatico oppure addirittura veicola in maniera errata o troppo aggressiva dei messaggi, cosa che in una conversazione face to face non capiterebbe. Questo non solo rende meno immediato e quindi più ostico lo scambio di informazioni, ma compromette a lungo andare le relazioni interpersonali: la comunicazione verbale crea una vicinanza e un calore assenti invece in quella scritta, e così agevola le dinamiche collettive, anche perché si rivela maggiormente efficace. Una comunicazione più fredda e asettica come quella scritta può infatti rallentare la risoluzione dei problemi, facilmente risolvibili alzando la cornetta e parlando direttamente con l’altro, e anzi provocarne l’aggravamento – con un effetto “snowball”.

Il solo sentire la voce dell’altra persona può rendere lo scambio più fluido: per questo, ad esempio, quando si deve affrontare un argomento particolarmente spigoloso e formale, in cui è comunque più opportuno inviare anche una mail scritta, fare prima una chiamata agli interessati aiuta ad evitare di compromettere il rapporto, o di venir fraintesi e di causare conflitti o tensioni.

Così dunque per le persone nelle organizzazioni è indispensabile imparare ad utilizzare il mezzo giusto, ovvero quello più appropriato al tipo di comunicazione in questione: avere la maturità di capire di volta in volta quale canale utilizzare, a seconda dell’obiettivo, del contesto, della situazione e dell’interlocutore, fa la differenza sul raggiungimento del risultato desiderato.

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