"Supervision is a place where a living profession breathes and learns …supervision can be a very important part of taking care of oneself, staying open to new learning" (Peter Hawkins and Robin Shohet)
Vorrei riprendere le riflessioni condivise nel post di maggio dal titolo “L’essenza della Supervisione” per soffermarci su un aspetto, a mio avviso, molto rilevante nel considerare l’importanza e l’utilità della supervisione nello sviluppo della professione di Business Coach: il “Self as instrument”.
Nel precedente post ci eravamo posti, ed avevamo risposto ad alcuni quesiti di fondo, quali:
- Perchè la Supervisione?
- Quali funzioni di promozione ha la Supervisione?
- Quali le finalità chiave della Supervisione?
Risposte che ci avevano condotto a sottolineare l’importanza di affrontare il tema della Supervisione non in modalità pompieristica ma ciclica e continuativa. Certamente può essere utile ricorrere alla Supervisione quando si vivono momenti difficili… ma è un approccio limitato e limitante. Il vero senso della Supervisione e la sua ricchezza generativa è quando si comprende che la professione del Business Coach è una professione che richiede una disponibilità/volontà a fermarsi, confrontarsi, riflettere, apprendere dall’esperienza in modo continuo e quindi la Supervisione è vista e vissuta come elemento essenziale, facente parte della vita, della evoluzione esperienziale del Business Coach e quindi la si intraprende in modo ciclico e programmato durante tutto il ciclo di vita della pratica.
A rafforzare questa conclusione è la consapevolezza che la Supervisione ci aiuta a promuovere e potenziare la nostra costante presa di coscienza dell’importanza della nostra persona nella sua interezza, quale strumento chiave della relazione di business coaching: ci aiuta a vedere e lavorare sul nostro Self as instrument.
Quando noi agiamo nella nostra veste di business coach portiamo nelle nostre sessioni oltre alle competenze, abilità, tecniche, metodi che abbiamo appreso, portiamo noi stessi, nella nostra
interezza con le conseguenti ricadute, e non dobbiamo sottostimare il fatto che nelle relazioni di aiuto/sviluppo alle persone noi siamo il principale strumento.
Questa consapevolezza a volte è stata ed è offuscata dal “bombardamento” di tecniche, metodologie, processi…saperi, facendo perdere o distrarre il focus su di noi. Non fraintendetemi, non dico che tecniche, metodologie, strumenti ecc… non siano importanti ma non bastano, non si sostituiscono a noi, ai nostri punti di forza e di debolezza, ai nostri valori e credo, alle nostre storie…a come noi siamo presenti o meno nella nostra interezza nella professione.
Quello che facciamo e quello che siamo si intrecciano profondamente…
Chi sono? Cosa sto diventando? Quali sono i miei principi, i miei valori? Che tipo di relazioni costruisco?…la consapevolezza e la manutenzione periodica di tutto questo è chiave di autenticità e quindi di armonizzazione e valorizzazione dei saperi, approcci, metodologie in modo genuino e consapevole con la nostra persona.
Dobbiamo riconnetterci al fatto che questa professione richiede non solo l’attenzione ed il potenziamento/aggiornamento dei saperi (competenze, abilità, tecniche …..) ma richiede lo sviluppo continuo della nostra capacità umana in quanto noi siamo la risorsa chiave nel nostro lavoro, e questa capacità richiede manutenzione lungo tutto il ciclo di vita in quanto siamo (noi, i Coachee, il contesto) in evoluzione continua.
Dobbiamo prenderci cura di noi e attivare un processo, grazie anche alla Supervisione, di Self understanding e di Self changing in quanto ci assumiamo la responsabilità delle ricadute del nostro Self sui Coachee, sulle loro organizzazione, sulla società in generale.
In copertina | Teresa Capasso – Gallo, 2015, Stampa digitale 150 x 150 cm