Congedo di paternità: l’evoluzione del ruolo del padre nell’era della genitorialità condivisa

Congedo di paternità: l’evoluzione del ruolo del padre nell’era della genitorialità condivisa

L’85% dei manager italiani under 45 chiede di avere il diritto di passare più tempo con i figli durante l’infanzia e la preadolescenza. Una richiesta che, sebbene a livelli diversi per età e provenienza geografica, arriva sempre più forte alle istituzioni e anche alle aziende. Promuovere una genitorialità condivisa sarebbe un cambiamento culturale che aiuterebbe a combattere gli stereotipi, a favorire l’occupazione femminile, contrastare le discriminazioni di genere e, di conseguenza, costruire una società più equa. La soluzione implica una concomitanza di iniziative sia a livello normativo che aziendale, ma passa soprattutto dal soddisfare una necessità a cui, in attesa di una legge, le organizzazioni potrebbero iniziare ad andare incontro: un congedo di paternità obbligatorio più lungo.

Già l’anno scorso, in questo stesso periodo, abbiamo pubblicato un articolo sul tema della paternità per portare a galla i cambiamenti socio culturali in atto riguardo alla figura del padre. Ne era emerso un quadro dalla doppia faccia, composto da una notizia buona e una cattiva: se da un lato, infatti, è importante sottolineare che la spinta al cambiamento stava diventando sempre più forte, come testimonia il numero crescente di congedi parentali fruiti dagli uomini e la richiesta in costante aumento di un numero di giorni maggiore di congedo di paternità obbligatorio, dall’altro era ancora, purtroppo, innegabile che il carico e le conseguenze lavorative più pesanti della scelta di fare figli ricadessero sulle donne.

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E a distanza di un anno, come vanno le cose?

Da qui a dire che l’ambivalenza del quadro si sia annullata, purtroppo, ci vorrà ancora parecchio tempo, ma nonostante questo è importante evidenziare che la faccia positiva della medaglia negli ultimi dodici mesi ha acquisito ancora un po’ di lucentezza. 

I numeri, infatti, dimostrano che il cambiamento non si sta arrestando.

Secondo un’indagine di Manageritalia in collaborazione con Ipsos, il numero di Manager o uomini con incarichi di vertice o dirigenziali si dice disposto a lasciare temporaneamente il proprio posto di lavoro, anche per periodi medio-lunghi, pur di non perdersi gli anni dell’infanzia e della preadolescenza dei figli. Lo studio, svolto su un campione di 547 manager italiani (58% uomini e 41% donne), testimonia che il 61% degli intervistati maschi vorrebbe che il congedo parentale fosse più lungo e obbligatorio, e nel caso dei manager uomini under 45, questa percentuale sale all’85%, andando addirittura a superare le donne, tra cui il quantitativo di intervistate favorevoli a un cambiamento in questo senso si ferma all’83%. 

In alcuni casi, la scelta di essere più presenti in casa diventa definitiva e va ben oltre i limiti temporali posti dai congedi: una ricerca del 2023 di Save the Children Italia dimostra che nel 2022 sono stati 1255 i padri che hanno scelto di dimettersi per dedicarsi a tempo pieno alle cure della famiglia, in netto aumento rispetto agli anni precedenti (erano stati 1151 nel 2021 e solo 743 nel 2020). 

Va fatto notare che, però, il cambiamento non sta procedendo per tutti con la stessa velocità: oltre a essere più sentito nella fascia manageriale più giovane, la questione della genitorialità condivisa riscuote al momento più consenso al nord Italia e va progressivamente calando mano a mano che si procede verso sud. Ma il fatto che gli effetti pratici di questa sensibilità crescente non si vedano con lo stesso livello di determinazione in tutte le regioni e in tutte le fasce anagrafiche non deve far pensare che il dibattito rischia di arrestarsi, anzi, può solo continuare: noi di Performant lo abbiamo potuto toccare con mano lo scorso ottobre, durante la nostra mostra Room for Sustainability, nella quale un’intera stanza era stata dedicata al tema della paternità. In quell’occasione abbiamo intervistato padri manager chiedendo loro in che modo avevano vissuto la paternità correlata al loro lavoro, e dalle risposte è emersa una netta volontà (o un netto rimpianto, in alcuni casi) di avere la possibilità di stare con i propri figli tanto quanto fanno le madri.

Non a caso, è stata una delle stanze che ha appassionato di più.

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Congedo di paternità: l’evoluzione del ruolo del padre nell’era della genitorialità condivisa

La parità di genere passa anche dalla genitorialità condivisa. Ma quali sono gli ostacoli?

Come ha affermato l’economista Azzurra Rinaldi a La Repubblica nell’articolo Il Tempo dei padri di Chiara Nardinocchi: “Il congedo paritario obbligatorio è una questione di equità”.

Il tema dell’equità e della parità di genere è proprio uno dei punti che ha approfondito la ricerca La genitorialità condivisa: uno strumento per il raggiungimento della parità di genere sul lavoro, sempre di Manageritalia, e il risultato parla chiaro: questo argomento è un tema tangibile e molto sentito, tenendo valido il principio per cui più diminuisce l’età degli intervistati, più viene percepito come prioritario. Se infatti solo il 63% degli uomini intervistati over 54 ritiene che la parità di genere “è sicuramente un problema reale che richiede un’attenzione urgente” oppure quantomeno che “rappresenta un problema reale, ma è importante riconoscere che sono stati compiuti progressi significativi”, la percentuale sale al 68% nella fascia di età 45-54 e all’80% per gli under 45. Per le donne la percentuale d’urgenza è maggiore, in quanto la frequenza di accordo con le stesse due risposte è dell’89% per le over 54, del 93% per la fascia di età 45-54 e addirittura del 96% per le under 45.

Focalizzandosi poi sul tema della genitorialità condivisa e dei congedi parentali, i dati purtroppo confermano ancora la tendenza dell’anno scorso, ovvero che gli effetti della scelta di avere una famiglia ricadono ancora in prevalenza sulle donne. Anche in termini economici, come fa notare sempre Azzurra Rinaldi nel già citato articolo di La Repubblica: “Le donne con figli nel lungo periodo arrivano ad avere il 50% di stipendio in meno rispetto alle colleghe senza”.

Quello che potrebbe essere utile per raggiungere la tanto agognata parità di genere è, da un lato, creare una cultura che supporti la genitorialità condivisa e, dall’altro, agire su un livello più pratico e normativo, creando un maggiore numero di servizi di assistenza e allargandone l’accessibilità. Tra gli ostacoli maggiori a un’equa condivisione della gestione dei figli tra uomini e donne, infatti, la ricerca fa emergere:

  • L’assenza di una cultura che supporti la genitorialità condivisa
  • La carenza di servizi di assistenza all’infanzia accessibili e di qualità
  • Il pregiudizio sociale che vede le donne come le principali caregiver dei bambini

Congedo di paternità obbligatorio più lungo: la voce contro gli stereotipi

Cambiamento culturale e aggiornamento delle normative sono due aspetti che vanno di pari passo e molto spesso si influenzano a vicenda e sul tema dei congedi di paternità obbligatori stiamo assistendo proprio al periodo in cui le voci dei padri si stanno alzando e chi deve fare le leggi discute su come andare incontro a questa necessità. La richiesta è chiara: gli uomini vogliono essere più presenti: il 37% degli uomini, infatti, sostiene che sia opportuno che la madre si assenti dal lavoro per più tempo del padre, ma sarebbe giusto aumentare il congedo di paternità a 2-3 mesi, mentre ben il 45% ritiene che sarebbe opportuno aumentare il congedo di paternità obbligatorio retribuito ed equipararlo a quello di maternità. Percentuale, quest’ultima, che sale al 57% per gli uomini under 45, superando la media delle donne, che si ferma al 42% (il 45% della popolazione femminile intervistata sarebbe comunque favorevole all’estensione del congedo di paternità obbligatorio a 2-3 mesi).

Tra i benefici maggiori che scaturirebbero dall’estensione del congedo di paternità obbligatorio, le persone intervistate citano con più frequenza:

  • Maggior coinvolgimento degli uomini nella cura dei figli
  • Percorsi di carriera più paritari tra uomini e donne
  • Maggiore occupazione femminile
  • Miglioramento del clima aziendale

Un cambiamento normativo in questo senso, quindi sembra stia diventando sempre più rumorosamente richiesto come condizione imprescindibile per una società e anche per un’azienda che tutela i diritti, le scelte e anche la salute mentale di tutte le persone, indipendentemente dal genere.

Ma in attesa delle leggi… le aziende?

La legislazione potrebbe fare di più, questo è chiaro, ma anche da parte delle aziende i padri (e le madri) si aspettano una presa di posizione decisa. Il 53% degli intervistati, infatti, ritiene che, sebbene dei passi in avanti siano stati fatti, nella propria azienda ci siano ancora ampi margini di miglioramento in questo senso, mentre solo l’8% è soddisfatto delle iniziative che la propria azienda ha messo in campo.

Tra le misure che più andrebbero a compensare queste mancanze ci sono proposte con un fine economico/pratico, come asili nido aziendali o convenzionati, organizzative, come maggiore flessibilità di orario e luogo di lavoro, culturali, come la creazione di un ambiente di lavoro che supporti la genitorialità condivisa e corsi di formazione specifica sul tema, supporto psicologico e, ovviamente, un congedo di paternità retribuito superiore a quello previsto per legge.

Diverse aziende hanno provato a mettere in pratica queste idee e i risultati ottenuti confermano che la spinta alla genitorialità condivisa faccia bene anche alle organizzazioni: ambiente lavorativo migliore, maggiori performance e riduzione del turnover sono solo i principali della lista di vantaggi riscontrati.

Un ottimo spunto per spingere le aziende che ancora non hanno agito a supportare, a partire dal loro interno, la genitorialità condivisa.