Gli ostacoli del Coaching: come superarli per renderlo efficace

Implementare un percorso di Coaching all’interno della propria azienda può significare apportare un miglioramento strutturale, con benefici notevoli sia per il singolo sia a livello collettivo. Si tratta infatti di una disciplina che supporta gli individui, i team e le organizzazioni nella crescita, consentendo di raggiungere il pieno sviluppo. Per far sì che il Coaching, però, produca tutto il valore di cui è capace e che i benefici siano massimizzati, è importante che le aziende e i professionisti conoscano come approcciarsi adeguatamente a questa disciplina. Altrimenti può accadere che, nonostante le persone si dicano soddisfatte del percorso intrapreso e riconoscano anche miglioramenti effettivi in seguito all’esperienza, l’impatto del Coaching sia, in un certo senso, limitato e indebolito. Quali sono dunque i principali ostacoli che possono minare l’efficacia di un percorso di sviluppo? A quali elementi i professionisti e in generale le aziende devono porre attenzione per assicurarsi un progresso radicale e duraturo a livello sia individuale che organizzativo?

Capita non di rado che i clienti e gli sponsor delle iniziative di sviluppo abbiano reazioni positive e restituiscano feedback espressi nella forma: «è stata una bella esperienza», «…una bella opportunità», «…un momento di consapevolezza e riflessione», ecc. Ad una sensazione emotiva di soddisfazione possono però non necessariamente corrispondere risultati tangibili, duraturi, misurabili e soprattutto correlati ad obiettivi specifici e concordati. In questi casi non significa che il Coaching, di per sé, non abbia portato alcun frutto o che non abbia funzionato, ma piuttosto che non ha agito al massimo delle sue potenzialità. Soprattutto considerando l’impatto trasformativo e la concretezza dei risvolti positivi che i percorsi di Coaching hanno dimostrato avere in molteplici altri casi, vale la pena di comprendere quali sono le criticità più diffuse e come evitarle.

Negli ultimi due anni ho incontrato più di 100 Coach organizzativi, affiancandone una parte come supervisore e una parte come assessor durante processi di assessment di sviluppo. Nonostante la loro seniority, la diversificazione della loro formazione, delle loro esperienze e la loro appartenenza a 5 diverse associazioni di Coaching, molte delle problematiche da loro riscontrate durante lo svolgimento dei percorsi di sviluppo manageriale e organizzativo che hanno condiviso con me, sono riconducibili alle seguenti 3 tematiche:

  • Un contracting poco efficace o incompleto, con accordi talvolta poco esplicitati o non ben ripresi e meglio specificati durante il percorso. Se l’accordo iniziale tra il coach e la persona coinvolta nel percorso di sviluppo richiede attenzione nella definizione specifica degli obiettivi, le cose si complicano quando il sistema è più complesso e gli interlocutori coinvolti nel progetto aumentano.
  • Scarsa preparazione delle persone interessate, che non hanno ben compreso il funzionamento, l’utilità e il loro contributo personale allo sviluppo organizzativo oppure che sono poco propense ad affrontare un’attività di riflessione e di cambiamento comportamentale funzionale agli obiettivi del programma. Entrambi questi fattori però sono fondamentali per la riuscita del percorso, perché consentono di coinvolgere e motivare le persone. In questo caso è opportuno predisporre una fase di preparazione del programma che permetta alle persone di capire piano piano in cosa consista l’intervento di sviluppo, perché è necessario, come lo vogliono utilizzare, se e cosa vogliono cambiare a livello comportamentale e che competenze occorre mettere in campo per affrontare il cambiamento.
  • Utilizzo di assessment per stabilire gli obiettivi di sviluppo con la conseguente creazione di un clima di valutazione: in generale infatti l’assunzione di atteggiamenti valutativi disincentiva la fiducia e agevola invece un clima difficile e giudicante, in cui le persone si sentono poco libere di esprimersi. Inoltre, il fatto che un individuo abbia alcune caratteristiche più o meno sviluppate può avere un impatto molto poco rilevante sull’efficacia con cui interpreta un determinato ruolo. Proprio a questo proposito, ho l’impressione che in alcuni casi la realtà venga letta cercando di giustificare l’esito dell’assessment e che si guardi e ascolti il report più che la persona. L’assessment è uno strumento che può espandere la consapevolezza se utilizzato quando la persona ritiene necessario comprendere meglio alcune sue caratteristiche in funzione di un obiettivo. È poco utile e, nella mia esperienza, anche controproducente se invece utilizzato per definire gli obiettivi di sviluppo. Il rischio per i manager è quello di uscire depotenziati da questi incontri iniziali. In tutti questi casi occorre ristabilire la fiducia e la reciprocità nelle relazioni, anche per evitare il rischio che il coach stesso possa essere visto con diffidenza più che essere percepito come alleato.

Portare l’azienda al pieno sviluppo

Delineate dunque le aree di criticità e i punti da tenere monitorati, come si possono potenziare gli interventi di sviluppo organizzativo e renderli pienamente efficaci? Quali azioni concrete mettere in atto per trasformare queste criticità in punti di forza?

Il processo di Coaching è costituito da due fasi principali, entrambe determinanti il successo del percorso. Nella prima fase – di contracting – l’individuo chiarisce e concorda con l’organizzazione quali sono gli aspetti determinanti che caratterizzano la ragion d’essere, l’identità, il contributo e l’efficacia del suo ruolo nel funzionamento e nello sviluppo dell’organizzazione. La seconda poi coincide con l’allenamento vero e proprio, per cui l’individuo sviluppa le competenze e i comportamenti necessari per interpretare più efficacemente quel ruolo.

Noto spesso che, nei percorsi di Coaching organizzativo, la prima fase è data per scontata dalle aziende: gli interventi si focalizzano quindi sulla seconda fase. A volte ci si dimentica anche del ruolo dell’individuo e, assessment alla mano, ci si limita a sviluppare le competenze ritenute “deboli”. La prima fase, invece, è estremamente delicata e funzionale al successo dell’intero percorso e per questo va gestita con attenzione: il modo in cui viene affrontato il contracting infatti svolge un ruolo cruciale nel rafforzare la coesione e in generale le relazioni all’interno dell’organizzazione. Così, mentre viene data molta enfasi allo sviluppo delle risorse e delle competenze dell’individuo (nella seconda fase), meno importanza viene attribuita al potenziamento della relazione fra l’individuo e l’organizzazione, che può aver luogo proprio nella fase iniziale: questa relazione interdipendente può diventare proprio la vera fonte di sviluppo e apprendimento per l’individuo e per l’organizzazione. Per questo, è cruciale ricordarsi che la prima fase non deve consistere in un accordo puramente formale, quanto piuttosto in un’occasione di allineamento genuino di tutte le parti coinvolte verso l’obiettivo comune.

In un mondo sempre più connesso, in cui le relazioni umane sono spesso l’oggetto e la fatica principale dell’azione nel contesto lavorativo, questo permetterebbe di coltivare un’attenzione alle relazioni e al riconoscimento reciproco come base per lo sviluppo organizzativo.

Ciò che serve è un investimento di tempo nell’allineamento frequente degli obiettivi con gli stakeholder coinvolti e nel rendere più solide le relazioni nell’intero sistema. Il contacting non si esaurisce nel primo incontro, all’avvio del processo, ma va ripreso, è necessario ritornarvi per assicurarsi che, nel proseguimento del percorso, tutti gli interlocutori continuino ad essere motivati, allineati, che si muovano determinati verso la stessa direzione. In questo modo il processo di Coaching non agisce solo sugli individui, sulle loro competenze e sui loro comportamenti: agisce anche sulle relazioni tra gli individui.

Il Coach dunque può creare le condizioni affinché questa valorizzazione e potenziamento delle relazioni inizi a svilupparsi attraverso una metodologia basata sull’intersoggettività e sul contracting con ricadute sulle performance, sull’apprendimento e sull’evoluzione delle organizzazioni. Dall’altra parte però è importante che anche l’azienda – e in particolare i diversi interlocutori coinvolti – affrontino l’incontro con un atteggiamento di ascolto e apertura, con l’intenzione esplicita di cimentarsi in un lavoro comune, attraverso un dialogo alla pari ed un confronto genuino. In questo modo l’incontro si trasforma in una occasione in cui due o più soggetti (HR, il capo, il manager coinvolto, il coach) parlano di un oggetto e concordano su particolari significati: l’oggetto in questione può essere, ad esempio, il ruolo del manager e l’impatto del ruolo sull’organizzazione, le competenze e i comportamenti più efficaci per quel ruolo, ecc. Questo permette di impostare una relazione intersoggettiva. Un conto infatti è parlare di cosa l’individuo coinvolto dovrebbe cambiare o migliorare, un conto è concordare e allinearsi insieme a lui, alla pari, sul perché esiste quel ruolo e su come quel ruolo può interagire più efficacemente con il resto dell’organizzazione.

Da queste considerazioni emergono, per le organizzazioni, elementi di riflessione su come possono preparare gli interventi di sviluppo, stare in un continuo processo contrattuale (recontracting) e su come possono coinvolgere maggiormente gli individui nel mettersi in relazione, co-creare e cooperare verso uno scopo condiviso. In questo modo, in sostanza, si agisce direttamente sulle problematiche rilevate nel paragrafo precedente, risolvendone le criticità e rimuovendo alcuni potenziali ostacoli al pieno sviluppo.
Per l’organizzazione, percorrere il processo contrattuale a più mani e il conseguente sviluppo di relazioni intersoggettive, è strategico in quanto l’infrastruttura relazionale rimane un patrimonio dell’organizzazione anche quando il Coach termina il suo intervento e lascia l’organizzazione. Non si tratta infatti di avere nell’organizzazione solo degli individui più competenti: si tratta di avere individui più competenti in un sistema di relazioni che permette loro di continuare a crescere e svilupparsi in quelle relazioni. Si creano così le basi per un’organizzazione che si sviluppa autonomamente.

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