Circa 130.000 anni fa, in una ristretta zona dell'Africa, inizia a caratterizzarsi la nostra specie: Homo Sapiens. Al suo apparire sulla scena evolutiva, sul pianeta vivono almeno una decina di specie diverse del genere Homo: Homo Erectus, Homo Ergaster, Homo Abilis, Homo di Neanderthal, ecc.
Di tutte queste specie Homo, che poi si sono estinte, solo l’Homo Sapiens riuscirà a sopravvivere e, a partire da circa 50/70.000 anni fa, partendo dall’Africa inizierà a migrare in tutto il pianeta prendendone il controllo totale. Costruirà piramidi, monumenti, opere d’arte, città, strade, ponti, grattacieli, reti di telecomunicazioni globali, volerà da una parte all’altra del pianeta in poche ore, andrà sulla Luna, nello Spazio e prenderà il controllo su tutte le specie viventi.
Una velocità evolutiva mai vista prima sul pianeta.
Tutto questo sviluppo è avvenuto ad una velocità incredibile: dal punto di vista evolutivo la nostra specie è infatti appena nata. 50.000 anni ci possono sembrare tanti ma, messi sulla scala temporale totale della vita sulla Terra, rappresentano un puntino invisibile.
Se rappresentassimo la vita sulla Terra con delle monetine da un centesimo impilate l’una sull’altra, dovremmo fare una pila alta quasi 60 metri e l’Homo Sapiens sarebbe rappresentato soltanto dall’ultima monetina in cima.
Eppure per milioni di anni i primati e tutte le altre specie sono vissuti sulla terra senza particolari impatti sul pianeta. In questo momento invece la nostra specie ha preso in mano le sorti del pianeta: potrebbe renderlo un luogo inabitabile fino ad estinguere quasi tutte le specie viventi oppure potrebbe trasformarlo in un luogo sempre più vivibile, privo di disuguaglianze e in continuo progresso sostenibile.
Quali sono le caratteristiche della nostra specie che le hanno permesso un successo imparagonabile a qualsiasi altra forma vivente?
All’inizio Homo Sapiens aveva una capacità cognitiva e di linguaggio leggermente superiore alle altre specie Homo. I nostri cervelli erano predisposti socialmente grazie ai nostri lobi prefrontali attraverso i quali possiamo sviluppare anche i pensieri e la saggezza (“sapiens” significa proprio “saggio”). L’uso del linguaggio spinse lo sviluppo del cervello in due direzioni: da una parte lo sviluppo della socialità, dall’altra la capacità di astrazione e riflessione.
Nella nostra specie la socialità è così sviluppata che ci rende in grado di coordinarci anche tra milioni di individui e ci permette di ottenere risultati spettacolari. E’ emblematica la tappa nella storia dell’astrofisica raggiunta in questi giorni: si è riusciti a fotografare per la prima volta un buco nero alla distanza di 54 milioni di anni luce grazie a un network di telescopi distribuiti su tutto il pianeta. Il progetto ha coinvolto 30 istituti di ricerca e 18 nazioni.
Grazie alla saggezza abbiamo invece la capacità di riflettere sulle esperienze per astrarne apprendimenti che possono essere messi a beneficio di sé stessi e di altri. La saggezza combinata con la socialità rende possibile una rapida evoluzione grazie alla possibilità di imparare velocemente da modelli di riferimento, aiutati dalla riflessione svolta insieme. Così, di generazione in generazione, l’Homo Sapiens ha continuato a fare esperienze, riflettere su di esse, creare saggezza e tramandarla ad altri individui desiderosi di riceverla. Questo gli ha permesso un’evoluzione velocissima accompagnata anche da un forte processo di encefalizzazione, cioè di progressivo aumento di volume e di complessità del cervello.
Condividere la saggezza: il Mentoring
Nelle ultime migliaia di anni abbiamo codificato la competenza del tramandare la saggezza, chiamandola Mentoring. Si tratta della capacità che hanno alcune persone sagge di riflettere sull’esperienza, creare saggezza per sé e riuscire a trasmetterla mediante la riflessione con altri individui. Un esempio di codifica di questa competenza lo troviamo nell’Odissea: la dea della saggezza Athena, prende le sembianza di Mentore, il cortigiano a cui Ulisse aveva affidato il figlio Telemaco, e lo aiuta a sviluppare la propria saggezza. Athena, più che insegnare, aiuta gli individui a riflettere sui propri errori e a percorrere le strade che ciascuno sceglie. Nel mettere a disposizione la propria saggezza Athena ha un atteggiamento non direttivo. La figura del saggio che utilizza la propria saggezza per aiutare gli altri a sviluppare la propria c’è in tutte le culture, è tipica della nostra specie. Così come l’imparare da modelli a cui ispirarsi, il “voler fare come…”, il “voler essere come…”, fa parte dello sviluppo sia in età evolutiva che in età adulta.
Alcune tribù che sono rimaste isolate dal resto del mondo hanno lo stesso tipo di caratteristica: da una parte alcuni saggi mettono a disposizione la loro esperienza e le loro riflessioni su di essa, dall’altra alcuni giovani instaurano con loro una relazione (che noi chiameremmo mentoring) che permette loro di crescere e maturare.
Una relazione ad alto potenziale di sviluppo
Negli ultimi 30 anni queste relazioni che si instaurano fra un saggio (Mentor) e una persona desiderosa di avere dei modelli di riferimento da cui imparare (Mentee), sono state studiate e definite sempre di più in modo da isolare quei comportamenti che permettono ai Mentor di essere efficaci. Il Mentor deve possedere molte competenze relazionali, a volte simili a quelle che caratterizzano la leadership.
Nelle organizzazioni, a seconda di obiettivi specifici o di contenuti che si vuole trasferire, viene selezionata la popolazione aziendale che possiede caratteristiche comportamentali che si vogliono portare a modello. Con una buona formazione siamo in grado di dotare questi individui delle competenze necessarie per instaurare un’efficace relazione di Mentoring con individui più junior (Mentee). Si creano così le condizione per una relazione ad alto potenziale di sviluppo a beneficio sia del Mentor che del Mentee.
I programmi di Mentoring, in cui si mettono in relazione numerose coppie all’interno delle organizzazioni, sono cresciuti in efficacia e oggi sono sempre più un potente strumento di sviluppo per le aziende. Abbiamo a disposizione molte ricerche, know how e best practice che permettono di massimizzare il potenziale di questo strumento.
Non è sufficiente infatti mettere semplicemente in contatto alcune figure aziendali per fare un programma di Mentoring. Questa è però una convinzione molto diffusa che porta ad implementare programmi improvvisati, inefficaci e costosi dal punto di vista del tempo perso dalle persone coinvolte.
La relazione fra Mentor e Mentee è molto critica, non può essere una specie di “matrimonio combinato”. Occorre creare le condizioni perché la relazioni si inneschi come relazione di apprendimento e contaminazione reciproca mettendo in atto tutta una serie di strumenti e best practice per catalizzare, mantenere e rendere proficua la relazione. E’ intorno ad una solida relazione, avendo ben presente il purpose, gli obiettivi e i contenuti del mentoring, che si organizza un programma di successo.
Immaginate quali impatti possono avere le organizzazioni, sia dal punto di vista delle performance sia dal punto di vista del clima interno, se riuscissero a fare maggior leva sulle caratteristiche vincenti della nostra specie: la socialità, la capacità di riflessione e l’imparare tramite modelli.
La storia della nostra specie ce lo conferma.