Di cosa parliamo quando parliamo di Mentoring: intervista a Matteo Perchiazzi

Di cosa parliamo quando parliamo di Mentoring: intervista a Matteo Perchiazzi

Di cosa parliamo quando parliamo di Mentoring? Abbiamo scavato nel profondo del tema grazie al Dottor Matteo Perchiazzi, Direttore e fondatore SIM - Scuola Italiana di Mentoring, a cui abbiamo fatto qualche domanda mirata. 

Cos’è il Mentoring?

Il Mentoring è la forma più antica dei processi di socializzazione alla vita, al lavoro, alla scuola e in qualsiasi contesto sociale, che sia sportivo o organizzativo… è il tramandare le regole del gioco, di chi si vuole diventare, il linguaggio, i modelli di comportamenti di un determinato contesto organizzativo. Prima ancora che parlare di Mentoring nella modalità organizzata e formale come metodologia codificata, bisognerebbe parlarne come pratica che affonda nei processi naturali di socializzazione. Ci tengo a dirlo perché tanti autori e consulenti definiscono il Mentoring come qualcosa di origine anglosassone. A mio parere, ha origine nella società in generale.

Che cosa apprende un Mentor da un programma di Mentoring? 

Per un Junior è chiaro il valore utile del Mentoring, tanto che molto spesso ci si dimentica dell’utilità per il Senior. Il Mentor apprende tanto quanto uno junior e ha la possibilità di lasciare traccia nella storia e di avere un posto per far germogliare la propria esperienza. Per lo junior, d’altro canto,  non c’è però solo utilità. Il Mentoring, infatti, affonda le sue radici nel modo più naturale dell’apprendimento: l’imparare guardando modelli. Impariamo, sin dall’infanzia, da modelli: a scuola si guarda sempre il compagno più integrato, al lavoro quello un po’ più bravo e “skillato”… il Mentoring è questo. Prima ancora che una metodologia codificata, è un processo di apprendimento che affonda le sue origini sui processi naturali di socializzazione.

Che differenza c’è tra Mentoring e Coaching?

Ci sono tante definizioni e approcci, ma il punto focale è: un Coach non è chiamato necessariamente ad offrire un modello positivo. Soprattutto negli ultimi approcci, è tipico che il Coach non sia direttivo, in quanto individuo che gestisce un processo d’aiuto d’apprendimento su condizioni specifiche e tempi più brevi.

Il Mentor è, invece, uno che è chiamato a trasmettere la propria esperienza. Dal punto di vista, psicopedagogico l’effetto è sostanziale. Tante competenze nella gestione del processo sono in comune, ma cambia l’impatto iniziale: il fatto che il Mentor rappresenti un modello di aspirazione per il Mentee, che pensa “voglio aspirare a diventare come lui”. Usando un esempio concreto, io sono un Coach di tennis. Da questo punto di vista, potrei essere un Coach di un altro giocatore di tennis, ma non posso esserne il Mentor perché non sono e non sono stato un atleta professionista.

Perché un’azienda dovrebbe investire in un programma di Mentoring?

Perché le risorse interne di un’azienda non le conosce nessuno meglio dell’azienda stessa. Il Mentoring è un modo per mettere a sistema le competenze, le eccellenze, le storie lavorative del top management e anche del middle management per metterle al servizio della crescita delle nuove leve sulle quali vogliono puntare. Noi mettiamo a sistema le eccellenze di un’organizzazione.

 Quali sono i miti da sfatare in tema di Mentoring?

Normalmente quando si pensa la parola Mentor, questa viene associata a un guru che risolve tutte le cose. Si pensa a Yoda, a Mago Merlino, a figure storiche e mitiche e viene naturale, in un programma di Mentoring, pensare “anche se sono top manager io non sono Mago merlino”. Uno dei miti da sfatare è che ognuno di noi può apprendere il Mentoring, ma non tutti nonostante abbiamo storie positive da raccontare e siano eccellenze, possono diventare Mentor. Il Mentor è colui che riesce a trasmettere la propria storia come modello positivo, anche se non è un guru.

Quali sono le competenze di un Mentor?

Ci sono molti approcci, molte classificazioni. Le competenze chiave di un mentore sono quelle che hanno a che fare con la capacità della trasmissione della propria esperienza: lo storytelling è una delle più affascinanti e più interessanti da apprendere, nell’accezione in cui si evitano cloni di esperienze altrui. La gestione dell’esempio positivo è una delle caratteristiche più belle dei percorsi di Mentoring, anche nella formazione. Viene naturale, per un Mentor, chiedersi: “Qual è la responsabilità che ho nei confronti di un mentee? Ci sono esercizi, in questo senso, che vanno nel profondo e che scavano su come devo gestire il mio esempio. Quali sono i miei valori, come possono essere messi al servizio dello sviluppo dell’altro?”
Importantissima è anche l’intelligenza emotiva, cioè la capacità di apprendimento attraverso le emozioni. Spesso, quando se ne parla, si intende l’aiuto a capire le emozioni dell’altro (che è tipico del Coaching). Nel Mentoring, invece, si parla di apprendimento attraverso le emozioni.
Infine, un’altra competenza tipica del Mentor, che è strettamente legata alle tre precedenti, è quella di gestire questa storia che io mentore mi preparo a raccontare, io la devo gestire proprio perché la gestione dell’esempio positivo porta talvolta ad allontanare il Mentee, soprattutto quando racconto una storia impossibile da raggiungere, posso provocare distanza e non vicinanza. La gestione di questo esempio deve avvicinare il Mentee, deve fornire soluzioni e ispirazioni.

Come si sceglie un mentore? E il mentee?

Il Mentor e il Mentee si scelgono tra loro per chimiche bellissime da vedere nei programmi di Mentoring organizzati. Un conto sono i processi di socializzazione naturali di cui si parlava prima. Un conto è un programma di Mentoring per raggiungere un obiettivo di sviluppo personale e organizzativo, dove si scelgono target group di Mentor e Mentee. Un Mentor per un programma Mentoring di Talent Management può essere un top manager o una persona con incarico che rappresenta ed è emblematica dei valori e di tutti quei comportamenti non scritti dell’azienda stessa, raccoglie tutti i valori dell’azienda stessa. Un altro conto è se faccio programma di Mentoring per la gestione di apprendisti o per creazione di back-up, non può esserci un top manager, perché troppo lontano, ma dev’essere un responsabile di funzione o altro, e quindi una persona che è vicina. Ci sono criteri oggettivi che dipendono da alcune cose anagrafiche: non troppa distanza anagrafica, proprio per il discorso di vicinanza e lontananza, a volte è bene che ci siano coppie di Mentor-Mentee dello stesso genere, di stessi ruoli organizzativi ecc., altre volte no.

Criteri oggettivi, quindi, su cui i due devono essere combinati. Ci sono anche caratteristiche naturali che un Mentor deve avere: la simpatia, il desiderio di aiutare gli altri (la generatività), e non è detto che un top manager abbia quest’ultima. Importante la naturale curiosità nello sviluppo degli altri. Pre-competenze prima ancora che competenze, queste, che ci aiutano a capire quali sono i Mentor potenziali e non ideali, perché in ogni programma di Mentoring una delle cose più importanti è la formazione dei Mentor sulle competenze su cui si parlava prima.

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