E se il mito degli Alfa fisicati fosse vero?

Quando raggiungono l’età adulta, i giovani leoni iniziano a sfidare i maschi dominanti di altri branchi per usurparne il posto. Si instaura quindi una lotta per la supremazia, in cui l’animale che mostra maggiore forza fisica ha la meglio e diviene il nuovo capobranco. Nell’immaginario comune, si presenta così: una criniera folta e scintillante, zampe muscolose e imponenti, capaci di reggere gli attacchi più feroci, una resistenza fisica ineguagliabile, che assicura protezione da ogni pericolo, trasmette fiducia e sicurezza. E il leone non è l’unico, nel mondo animale. Anche i pesci spinarelli, per esempio, scelgono il leader del gruppo seguendo criteri fisici ed estetici, gli scimpanzé usano la forza bruta per prendere il potere nel branco. Uno dei ruoli principali del capobranco nel mondo animale è infatti quello di guidare e proteggere il gruppo, difenderlo dalle frequenti e pericolose minacce quotidiane cui gli animali in libertà sono esposti. Che sia nella savana oppure nell’oceano, per farsi rispettare è effettivamente necessario rispondere a determinati criteri fisici. La lotta alla sopravvivenza richiede prestanza fisica, e questa è determinante non solo per poter essere il leader del gruppo, ma addirittura per poterne fare parte: tant’è che quando i leoni perdono il vigore della giovinezza vengono estromessi dal branco dai maschi più forti e robusti.

Tutto ciò vale anche per gli esseri umani, soprattutto all’interno dei contesti organizzativi contemporanei dove provocatoriamente potremmo dire che l’organo più essenziale è il cervello? Diventa leader chi è il più fisicato, chi è il più grande oppure seguiamo logiche di un altro tipo? E, oltre per chi sta al vertice, che ruolo ha la forma fisica per chi lavora in azienda in generale?

Staccarsi dall’idea del capo come quello “dominante” anche fisicamente, non è immediato, anche quando si cambia radicalmente contesto, passando da un ambiente selvaggio a quello più formale del business. Pensiamo al ruolo del leader, che guida i propri dipendenti verso il successo, li protegge dal fallimento e dall’eccessivo stress quotidiano, coordina le decisioni verso l’obiettivo comune, ovvero la sopravvivenza, la crescita, il pieno sviluppo del team: non ci viene proprio naturale immaginare un individuo esile, smilzo e un po’ curvo su se stesso. Questo anche perché inevitabilmente una persona dal fisico prestante occupa più spazio, è più imponente, trasmette sicurezza, stabilità, salute.
Ma è davvero così? Abbiamo davvero bisogno di sviluppare la forza fisica, essere prestanti e sfoggiare i muscoli per essere leader efficaci? Sono queste le caratteristiche che ci permettono di definirci tali? I pettorali sono funzionali ad ottenere il rispetto e la fiducia del team? In generale, che ruolo ha il corpo nel business?

Pur riconoscendo che il corpo con la sua presenza fisica svolge un ruolo determinante nella relazione e nella comunicazione interpersonale tra le persone, anche in un contesto organizzativo, oggi certamente contano anche molti altri aspetti meno tangibili, più legati alle abilità cognitive e di gestione della dimensione emotiva e relazionale. Ma ciò che esce dalla porta rientra dalla finestra, poiché in realtà anche il cervello, come qualsiasi altro organo, è fisico e rimane performante se nutrito e trattato in maniera adeguata.

L’intreccio tra corpo e business

La questione del benessere e della salute fisica è strettamente connessa a quella del successo professionale poiché un corpo sano permette di performare meglio. “Mens sana in corpore sano”, diceva già il poeta latino Giovenale, espressione oggi molto conosciuta e utilizzata proprio per intendere che il corpo e la mente possono raggiungere il pieno sviluppo solo se curati ed esercitati insieme. La salute dell’una dipende strettamente dalla salute dell’altro e questo ha inevitabilmente ripercussioni sulla sfera lavorativa: il benessere fisico è associato a un maggiore successo professionale.

Se siamo a digiuno da molte ore non riusciamo a pensare in maniera chiara, la disidratazione provoca emicrania e scarsa concentrazione, quando abbiamo dormito poco facciamo più fatica a trovare la motivazione. Se non curiamo il nostro corpo, dunque, lavoriamo male. Tutto questo è risaputo, ma soprattutto nelle condizioni contemporanee ce ne dimentichiamo. La maggior parte delle volte, perché non abbiamo tempo. Siamo presi dalle mille scadenze, non ci fermiamo mai, trascorriamo la pausa pranzo in riunione, ci dimentichiamo di bere, di mangiare, di riposare. Lo smart working poi ha peggiorato tutto questo, con il suo stile di vita al contempo più frenetico e più sedentario che ha ridotto al minimo i nostri spostamenti: possiamo svolgere ogni task e connetterci con chiunque dalla nostra scrivania, siamo seduti per la maggior parte della giornata.

Abbiamo la sensazione che dedicare tempo al corpo significhi toglierlo agli obiettivi di business, quando in realtà la cura del corpo è proprio uno strumento cruciale. Bere il giusto, mangiare adeguatamente, dormire un numero sufficiente di ore, fare movimento: sono tutte cose che possono influire significativamente sul nostro rendimento e così sul nostro successo professionale. A questo proposito, numerosi sono gli studi che mostrano come effettivamente l’attività fisica correttamente gestita porti benefici tangibili nella sfera professionale, tra cui:

  • aumento di produttività
  • aumento di memoria e concentrazione
  • maggiore energia e motivazione
  • migliori relazioni con i colleghi

Lo sport che alimenta determinazione e svago

È lo stare in salute che porta al successo oppure è il successo a far sì che le persone rimangano in salute? Questa domanda è un po’ come quella dell’uovo e della gallina: chi viene prima? Secondo molti studi esiste una correlazione chiara tra persone di grande successo e un’attenzione rigorosa alla dimensione fisica. Innumerevoli sono gli esempi di storie di manager e persone di successo che seguono un rigido programma di allenamento. Barack Obama era conosciuto per il suo daily workout, così come l’Ex CEO della Nike, Mark Parker, che faceva i suoi esercizi fisici in un orario in cui il resto dell’umanità ancora dormiva. Ma è anche vero che stiamo parlando di individui estremamente determinati, sia nella vita privata che al lavoro. In queste persone possiamo infatti riscontrare una relazione tra l’abilità di goal setting e la determinazione con cui seguono gli obiettivi fissati. Tanti sono per esempio i manager e gli executive che oltre al proprio lavoro impegnativo corrono anche le maratone, fanno gare di triathlon o si dedicano ad attività simili.
Praticare sport è anche un forte stress releaser e per questo per tante persone in posizioni di vertice diventa un modo efficace con cui rilassarsi e sfogarsi dalle tensioni che il proprio ruolo comporta. Sembrerebbe infatti che nei livelli Executive e Upper Management gli sport praticati nel tempo libero spesso siano di carattere intensivo. Tanti Executive per esempio praticano sport come skydiving, sub, sci alpinistico e altre attività adrenaliniche, che in un certo senso “obbligano” la persona a staccare i pensieri dal lavoro. In questo senso il momento dedicato allo sport ha una funzione liberatoria che permette alla persona di separarsi dalle tensioni lavorative in maniera efficace.

Il corpo che comunica

Nell’epoca contemporanea, come anche nel passato, il corpo è anche un mezzo per comunicare se stessi. L’identità, la self-image, la reputazione individuale, il modo in cui veniamo percepiti dagli altri, sono tutti aspetti connessi al corpo. Ci vestiamo in una certa maniera seguendo le logiche e i codici del contesto, e così gli altri ci “leggono” anche attraverso il nostro corpo. Per esempio l’altezza sembra essere tuttora un elemento che condiziona fortemente l’interpretazione delle persone, poiché correlata a “quanto spazio” il corpo occupa. Qui subentrano senz’altro dinamiche interessanti della comunicazione non verbale, che influenzano anche le conversazioni tra le persone.

Il corpo è poi correlato ai modelli ideali posti da noi o dagli altri. Un aspetto importante è quindi come vediamo noi stessi, poiché correlato a competenze come assertività e autorevolezza che senz’altro aiutano in situazioni di negoziazione e leadership, ma anche banalmente in un colloquio di lavoro. Una bassa autostima e una body image non positiva possono per questo influenzare notevolmente anche la crescita professionale delle persone. La relazione che abbiamo con il nostro corpo diventa quindi un elemento importante per il nostro agire al lavoro indipendentemente se svolgiamo un lavoro che nulla ha a che fare con l’ambito beauty né con lo sport.

Il corpo può diventare un ossessione?

Per chi si pone obiettivi sfidanti, misurare l’esito è importante. In questo, tecnologie sempre più avanzate ci accompagnano nel quotidiano: orologi che misurano i nostri parametri vitali, telefoni che contano i passi compiuti, l’app che ci ricorda di bere e quella che monitora la qualità del sonno.

Tutti questi strumenti possono effettivamente essere un utile supporto, perché forniscono una comprensione più completa e approfondita di noi stessi e ci aiutano a capire cosa è funzionale al nostro benessere. Il problema diventa quando ne diventiamo schiavi, quando non possiamo più farne a meno, quando si sostituiscono a noi rendendoci incapaci di capire, da soli, ciò di cui abbiamo bisogno.

Allo stesso modo l’attività fisica, come abbiamo visto funzionale alla sfera professionale, non deve diventare un’ossessione. Il professionista di successo è senza dubbio colui che cura anche il proprio corpo, oltre che l’intelletto, ma questo ha comunque poco a che fare con i muscoli.

Significa piuttosto attivare l’ascolto di sé e del proprio corpo, fermandosi e imparando a cogliere i segnali che questo ci manda: il corpo comunica ciò di cui ha bisogno. Questa è una competenza indispensabile all’esercizio della leadership e ad una buona gestione del sé, che richiede di essere allenata per poter essere davvero efficaci, e in questo senso l’attenzione al corpo è cruciale e ha valore per la figura del leader. L’esercizio di una leadership efficace richiede infatti anche l’allenamento di determinate competenze, che poco hanno a che fare con la prestanza fisica:

  • l’ascolto attivo, di sé e dei collaboratori: come abbiamo visto, l’ascolto di sé, che passa primariamente dal corpo, è la base, ma deve essere necessariamente accompagnato dall’ascolto attivo dell’altro, un atteggiamento di apertura finalizzato ad accogliere e comprendere l’interlocutore, ponendo attenzione al suo sentito emotivo.
  • In questo senso l’intelligenza emotiva si rivela cruciale, perché permette di porre le condizioni per cui ciascun membro del team possa sentirsi a proprio agio, esprimersi a pieno e così apportare un contributo di valore all’organizzazione.
  • La comunicazione interpersonale e l’assertività, per riuscire a stabilire un contatto intimo e autentico con i propri collaboratori, di sintonia, conoscenza profonda e fiducia reciproca, ma allo stesso tempo una relazione di rispetto, in cui si riescono ad esprimere le proprie esigenze e il proprio punto di vista, senza farsi sovrastare ma raggiungendo i propri obiettivi senza l’imposizione brutale e forzata.

Per poter essere riconosciuto come tale, per poter dunque ottenere fiducia, credibilità, rispetto dal team, per poter guidare le persone verso il successo, la prestanza fisica forse allora non è sufficiente, né l’unica determinante. Non è solo una questione di muscoli, ma anche di carisma, di postura, di atteggiamento, di energia emanata e trasmessa. E ovviamente, di abilità della persona di portare risultati e creare valore all’azienda.

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