Attenzione alla sostenibilità e giovani talenti: come evitare il climate quitting

“Se non ti prendi cura dell’ambiente mi licenzio”: questo è un altro dei messaggi che arriva da Millennials e Gen Z nei confronti del mondo del lavoro. Uno statement che è la prova di quanto la sostenibilità sia un concetto imprescindibile per le generazioni più giovani e solleva un alert molto importante per le aziende: per quanto l’offerta di lavoro possa essere appetibile, sarà sempre più difficile trovare nuovi talenti se non ci si impegna sul fronte ESG.

Entro la fine del decennio, tra le persone che lavorano diventerà decisamente considerevole il numero di Millennial e di Gen Z: un ricambio generazionale che, rispetto ai precedenti, richiede un cambiamento di passo da parte delle aziende, un’attenzione maggiore a tematiche che fino a qualche anno fa erano meno rilevanti e una più spiccata necessità di attivare skill relazionali finalizzate alla comunicazione interpersonale e alla comprensione reciproca.
Ora più che mai, infatti, è fondamentale chiedersi: che cosa può fare un’azienda per attirare (e trattenere) giovani talenti?
Uno degli accorgimenti da mettere in atto per essere considerati interessanti è evitare il rischio di “washing”, di qualunque tipo (rainbow washing, green washing, wellbeing washing): l’importanza che la coerenza tra i messaggi che si comunicano e le azioni fatti svolge per gli under 40 è nota e può essere un vero discrimine in fase di offerta di recruiting.
È quindi rilevante tenere presente che, tra i parametri che le persone valutano nell’accettare o mantenere un lavoro, oltre alla retribuzione, al work-life balance e alle prospettive di crescita (che restano tra le leve principali nella decisione) c’è anche l’attenzione che un’azienda dimostra di avere nei confronti della sostenibilità, quali sono gli obiettivi ESG e quali sono le azioni che si ha intenzione di mettere in atto per migliorare sempre di più.

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Non tenere conto di questo aspetto, tra i vari effetti negativi in termini di reputazione, rapporto con gli stakeholder e anche economici, porta l’azienda a correre un rischio: il climate quitting.

Che cos’è il climate quitting?
Nonostante il nome sia stato coniato recentemente da un giornalista di Bloomberg Green, la tendenza ha cominciato a diffondersi già da qualche anno, con il crescere dell’attenzione alle tematiche ambientali e della sostenibilità: con climate quitting, infatti, si intende la tendenza a rifiutare un’offerta di lavoro o a lasciare il posto attuale se si ritiene che l’azienda non faccia abbastanza in termini di parametri ESG. E ad essere convinti di questo pensiero non sono in pochi: una ricerca dell’Osservatorio HR Innovation Practice del Politecnico di Milano realizzata nel 2023 dimostra che per il 65% degli under 30 è importante che il proprio lavoro abbia un impatto positivo sulla società. In generale, chi ha cambiato lavoro o ha intenzione di farlo nei prossimi sei mesi ha preso questa decisione per questioni legate all’impatto sociale o ambientale dell’organizzazione nel 6% dei casi, ma se si prendono come campione solo gli under 30, questa percentuale sale all’11% (+4% rispetto al 2022). Un’indagine di KPMG riflette invece quanto l’impegno ambientale di un’azienda influenzi l’idea, se non di che lavoro si vuole fare, quantomeno di dove lo si vuole fare: quasi un persona su due (46%) vuole lavorare in aziende che si impegnano concretamente sulla sostenibilità, un percentuale che sale al 55% per la fascia di età 25-34, al 51% per i 18-24 e al 48% per i 35-44; inoltre, il 20% degli intervistati ha rifiutato offerte perché il piano ESG dell’azienda non era coerente con i loro valori, e anche qui la percentuale sale tra i più giovani (33% per i 18-24). Si tratta di scelte ideologiche molto sentite, tanto che chi le mette in pratica dichiara anche di essere disposto ad accettare uno stipendio più basso pur di sapere che sta facendo la sua parte per l’ambiente e la società.
In un futuro molto vicino, quindi, le aziende che vorranno continuare ad avere al loro interno talenti si ritroveranno costrette ad avere un piano concreto riguardo alla tematica ambientale.

Inclusione e dialogo come strumenti per promuovere la sostenibilità

Quello che, a livello più alto, questa tendenza ci insegna, è che se in passato per i Manager l’elemento principale da tenere in considerazione era il profitto, oggi è indispensabile riuscire a guardare l’azienda da una prospettiva più olistica, considerando sì il fatturato, ma anche come si arriva al profitto, perché si fa il proprio lavoro e con chi lo si fa. Ogni stakeholder ha i suoi bisogni e le sue priorità e per rendere l’azienda efficiente è necessario avere ben presente il punto di vista di tutte le persone coinvolte, inclusi i dipendenti.
È per questo quindi che la soluzione al rischio del climate quitting non può prescindere da una cultura aziendale che promuova l’inclusione e il dialogo, per tracciare una direzione comune che non lasci indietro nessuno.
Perché anche se l’interesse sul tema e la tendenza a lasciare il posto di lavoro attuale per uno più sostenibile è maggiore tra gli under 40 (e ancora di più tra gli under 30), c’è un principio che non bisogna dimenticare: la tutela dell’ambiente e il raggiungimento di obiettivi ESG è nell’interesse di tutti, nessuno escluso. E, di conseguenza, anche di tutte le aziende.
Lasciare quindi spazio al pensiero e alle proposte che arrivano dai più giovani, instaurando un dialogo tra generazioni, creare un ambiente in cui ogni diversa visione del mondo viene accolta e rispettata, è funzionale alla realizzazione di un contesto in cui lo scambio, anche su temi che riguardano l’identità aziendale e non solo l’operatività, è costante e arricchente e permette di ideare soluzioni sempre nuove che possono essere più efficaci della strada percorsa fino a questo momento.

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La leadership, in questo momento di cambiamento, assume un ruolo fondamentale e complesso: chi si trova a occupare posizioni manageriali deve sviluppare tutte le competenze necessarie per promuovere comportamenti che vadano in questa direzione, allenando e facendo allenare l’ascolto, gestendo i conflitti e tenendo in considerazione le diversità e le esigenze specifiche.
Nell’attuare questo cambio di mindset, i risultati che si possono raggiungere saranno positivi da tanti punti di vista: dell’ambiente, del benessere dei dipendenti, della crescita dei collaboratori e, di conseguenza, anche del fatturato.

Contrastare il climate quitting fa bene ai risultati di fine anno

Le aziende che più si concentrano sul raggiungimento di obiettivi ESG performano meglio (o addirittura, in alcuni casi, overperformano): a dirlo è una ricerca di pwc, che già nel 2017 delineava una significativa correlazione tra attenzione all’ambiente e alle persone e crescita. Per gli investitori, ad esempio, l’innovazione riguardo alla sostenibilità è sicuramente un incentivo in più che può far pendere l’ago della bilancia per un’azienda oppure un’altra.
Anche per questo avere dei valori in linea quelli dei potenziali climate quitter può essere una duplice forza per le aziende: da un lato perché incentiva i talenti ad arrivare e/o a restare, dall’altro perché, coinvolgendo attivamente all’interno dell’azienda persone che hanno uno spiccato interesse per questa tematica, può creare una spinta maggiore a evolversi in quella direzione.
In molte aziende stanno nascendo dei green team che hanno il compito di generare idee e nuove soluzioni per rendere l’organizzazione sempre più compliant con i criteri ESG e di creare un engagement sempre maggiore tra collaboratori, per realizzare concentricamente una diffusione e condivisione di valori sempre più radicata nella cultura aziendale.
Un grande ruolo in questo contesto è nelle mani dell’HR: il concetto di coinvolgimento dei dipendenti si sta infatti trasformando sempre di più in un green employer branding che renda i collaboratori stessi i primi ambassador felici dei valori dell’azienda. Fornire l’uso gratuito di biciclette per andare al lavoro, dotare i parcheggi di colonnine per le auto elettriche, utilizzare solo prodotti a km0 per la mensa aziendale o darsi l’obiettivo di certificarsi BCorp sono solo alcune delle iniziative che si possono intraprendere.
Un altro aspetto da non sottovalutare è quello della formazione: secondo il Global Green Skill Report di Linkedin, nonostante il bisogno di professionisti del settore della sostenibilità sia costantemente in aumento (+8% all’anno dal 2015 a oggi), il numero di persone adatte a ricoprire questi ruoli non cresce di pari passo (solo +6% all’anno). Investire sulla formazione significa quindi, in questo contesto, andare a sviluppare il potenziale dei talenti già in possesso dell’azienda per lavorare sulle competenze necessarie ad andare a colmare quei gap che il mercato del lavoro non è ancora in grado di colmare.

Lavorare sulla definizione e il raggiungimento degli obiettivi ESG, dunque, significa mostrare ai propri dipendenti prima di tutto quanto l’azienda abbia a cuore una delle tematiche a cui i più giovani fanno maggiormente attenzione: andare incontro ai loro valori permette di espandere le possibilità di business facendo fiorire il talento dei dipendenti in un contesto in cui si rispecchiano a pieno e che li rende orgogliosi di ciò che fanno ogni giorno.